Lettera di Giovanni, imperatore d'Etiopia, a Menelik, negus dello Scioà (ottobre 1886)


Questa lettera dimostra con quanta lucidità la penetrazione italiana fosse vista alla corte abissina e come l'imperatore Giovanni avesse compreso i motivi di prestigio che stavano sotto lo sbarco a Massaua. Giovanni sapeva anche che per vincere gli italiani aveva bisogno di avere dietro a sé tutto il suo paese: chiedeva perciò con questa lettera il concorso di Menelik, re dello Scioà, suo potente ed infido vassallo. Sennonché Menelik intendeva avvantaggiarsi dello scontro tra Giovanni e gli italiani per accrescere la sua potenza; consegnò quindi la lettera in questione al conte Antonelli, rappresentante italiano alla sua corte, il quale la inviò subito a Roma. Menelik continuerà ad osservare una specie di neutralità tra Giovanni e gli italiani, fino al giorno in cui, morto Giovanni, diventerà a sua volta imperatore d'Etiopia. La lettera, in sostanza, ci ricorda anche che la penetrazione italiana fu possibile per le discordie dei capi etiopici.
La lettera è pubblicata in LUIGI CHIALA, La spedizione di Massaua, Torino, Roux, 1888, pp. 288-89.
Da "Il colonialismo italiano" La prima guerra d'Africa

Per quello che riguarda gli affari cogli italiani, il loro inganno e la loro malafede non cessano mai.
Prima vennero da me per chiedere la via di Harrò, e volevano impossessarsi dell'Aussa, dicendomi che così avremmo potuto fare una buona strada per il commercio.
Io non aderii né a questo, né a molte altre proposte che mi fecero, e li feci ripartire senza dare ascolto alle loro parole.
Disgustati pel modo come li avevo licenziati, per vendetta hanno occupato Massaua e tutti i luoghi che avevano preso gli egiziani.
In Massaua hanno fatto dei grandi fossi per fortificarsi dalla parte del nostro paese.
Hanno costruito una casa per gl'infermi. Quelli che sono ammalati li fanno tornare nel loro paese, e fanno venire quelli che stanno bene.
Alcuni viaggiatori erano venuti avanti perché volevano studiare il mio paese e conoscerne i confini.
Io pero li ho fatti tornare indietro, e non li ho voluti né vedere né ascoltare le loro parole.
Non è gente seria, sono degli intriganti, e questo deve essere tutto un lavoro che mi fanno gli inglesi.
Gli italiani non sono venuti da queste parti perché nel loro paese manchi il pascolo ed il grano, ma vengono qui per ambizione, perché sono troppi e non sono ricchi.
Coll'aiuto però di Dio ripartiranno umiliati e scornati e con l'onore perduto avanti a tutto il mondo.
Non è questa gente che può farci temere. Noi dobbiamo restare uniti. Non puoi venire da me perché il paese è sprovvisto di pascoli e granaglie; sarà meglio perciò che andiamo insieme nei paesi galla dalla parte di Kaffa dove si trova tutto.
Tu intanto devi chiudere la via del mare e non devi far passare nessuno sia dalla parte dell'Aussa che dalla parte del Cianciar.
Quelli che si trovano nel tuo paese li farai partire, e così saranno scornati.
Se noi due resteremo sempre uniti, non solo i fiacchi italiani, ma anche i forti di altre nazioni, con l'aiuto di Dio, vinceremo.
Come Adamo volle gustare il pomo proibito per l'orgoglio di diventare più grande di Dio, ed invece non trovò che il castigo e il disonore, così accadrà agli italiani.