Le responsabilità di una stampa bugiarda, nella denunzia di Gaetano Salvemini
Una intransigente e dura campagna contro le esagerazioni e le falsificazioni della stampa patriottica fu condotta da Gaetano Salvemini, storico illustre e uomo politico di parte democratica. Sdegnato dal favore con cui gli ambienti della sinistra democratica guardavano all'impresa di Libia, Salvemini fondò un settimanale, «L'Unità», che fu un organo di battaglia e un esempio di serietà morale e scrupolo scientifico. Pubblichiamo due pagine polemiche dedicate al «Corriere della Sera», che sono comprese nel volume Come siamo andati in Libia (Firenze, La Voce, 1914) in cui Salvemini raccolse gli articoli dell'«Unità» 1911-12, e ripubblicate nell'edizione completa delle opere di Salvemini, nel volume Come siamo andati in Libia e altri scritti dal 1900 al 1915 (Milano, Feltrinelli, 1963), alle pp. 133-34 e 139.
Chi
vorrà fare a suo tempo la storia del modo come siamo andati a
Tripoli, dovrà senza dubbio attribuire un grado altissimo di
responsabilità in questa impresa al «Corriere della Sera».
Nel settembre del 1911 era questo il giornale, non solo più
diffuso d'Italia, ma anche più accreditato - e meritatamente -
per serietà e probità. Fino agli ultimi d'agosto si era tenuto
estraneo alla campagna libica del «Giornale d'Italia », del
«Corriere d'Italia», della «Stampa». Sarebbe bastata nel
settembre del 1911 una parola di prudenza, detta con fermezza e
con dignità dal grande giornale di Milano, per calmare molti
bollori e dare un miglior orientamento allo spirito pubblico. Né
mancavano fra i collaboratori del «Corriere» gli uomini
competenti e autorevoli, capaci di dire questa parola [...]
Il «Corriere della Sera», invece, entrò a un tratto durante il
settembre impetuosamente nella campagna per l'impresa militare
immediata. E l'opera di gettare a piene mani olio sul fuoco della
sovraeccitazione pubblica, la compì l'on Andrea Torre con una
processione di articoli solenni e monumentali, sul valore
economico e politico della Libia; dai quali gl'italiani
impararono, fra le altre straordinarissime cose, che « l'Africa,
com'è noto, ha una conformazione speciale, per cui si
può partendo dall'occidente verso l'oriente dividerla in
grandi strisce o zone parallele: alla zona nordica mediterranea
succede la zona desertica del Sahara e della Libia, e a questa la
zona tropicale» (12 settembre); e furono informati che i nomadi
Thuareg sono una regione dell'Africa centrale ad ovest del lago
Ciad; e seppero di «importanti miniere di fosfati», che
facevano gola alla Francia lungo il confine fra la Tunisia e la
Tripolitania, mentre fino dalla primavera precedente il
Pervinquière, che aveva visitato i luoghi con la missione franco-turca
per la delimitazione dei confini, aveva accertato che i pretesi
fosfati e nitrati si riducevano a una mescolanza di gesso e di
calcite, adoperata dagli indigeni come ... dentifricio («La
Geographie», 15 giugno 1911); e trovarono gabellata la Ito
come un'associazione sionista («Corriere», 15 settembre 1911),
mentre essa è nata appunto per opera degli ebrei non sionisti
dopo la scissura dai sionisti; e furono sbalorditi dalla notizia
di «colossali miniere di zolfo, che si estenderebbero per
migliaia di chilometri»; e da altre notizie dello stesso calibro
[...].
Ma i nazionalisti e i gazzettieri tripolini sanno tutto.
Per essi una notizia, vera o fallace che sia, purché risponda ai
loro preconcetti, è sempre buona, e va subito messa in
circolazione senza ritardo.
Ricordiamoci che la frottola delle 340 spighe nate da un solo
chicco in Cirenaica, fu pubblicata su 600 mila copie del
«Corriere della Sera», nell'articolo di fondo, proprio la sera
del 27 settembre, mentre non era ancora lanciato alla Turchia il
nostro ultimatum. Questa frottola è stata letta e creduta
da milioni d'italiani; è stata riprodotta da migliaia di
giornali e giornaletti locali; ha contribuito certo fortemente a
creare quella frenesia, da cui tutta l'Italia era presa sugli
ultimi di settembre; frenesia fatta 1) d'ingordigia per le
ricchezze favolose da conquistare; 2) di sicurezza leggerona per
la nessuna difficoltà dell'impresa (gli arabi «ci aspettano a
braccia aperte», «avevano preparate le bandierine», «i turchi,
vile razza cenciosa, si sarebbero subito sbandati»); 3) di
furore bestiale contro chi si rifiutava di abdicare all'uso della
ragione nella stoltezza universale; frenesia contro cui nessun
governo poteva oramai lottare.