La musica secondo... i Berliner Philharmoniker
Da un articolo della rivista Europeo, del 7 luglio 1984
Musica: la guerra tra Karajan e i filarmonici di Berlino.
Bacchetta si, bacchettate no.
Doveva essere un sodalizio eterno.
Il più grande Maestro del mondo con la più grande orchestra del
mondo. Ma dopo trent'anni qualcosa va storto. Un direttore che
diventa dittatore? Musicisti troppo pieni di sé? Ecco qui una
storia di prepotenze, ripicche e risse che può portare al
divorzio musicale del secolo.
di Enzo
Piergianni
Nel programma della Berliner Philharmonisches
Orchester per la stagione di concerti 1984/85 la prima direzione
di Herbert von Karajan è in calendario il 27 agosto a Salisburgo,
per l'inaugurazione del festival d'estate con musiche di Mozart e
di Richard Strauss. Stampato in ventimila copie, già pronto per
la distribuzione, l'elegante fascicolo rischia di finire al
macero, perché la burrasca scatenatasi fra il 76enne Maestro e i
suoi centoventi filarmonici potrebbe culminare da un giorno all'altro
nel naufragio della loro unione trentennale, esaltata da circa
1400 concerti in tutto il mondo e da oltre 300 incisioni
discografiche. Un epilogo assolutamente inimmaginabile nel
dicembre 1954, allorché l'assemblea dei filarmonici all'unanimità
proclamò eterna fedeltà all'austriaco Karajan, figlio di un
agiato medico di Salisburgo, eleggendolo direttore a vita dell'orchestra:
onore e privilegio che nessuno dei suoi tre predecessori (Hans
von Bülow, Arthur Nikisch e Wilhelm Furtwängler) si era mai
sognato di ottenere.
«Rimarrò con voi fino alla morte», fu in quell'inebriante
momento la leggendaria promessa di Karajan tra gli applausi dei
Filarmonici e l'entusiasmo dei berlinesi che gli conferirono la
cittadinanza onoraria. L'elezione si rivelò un trionfo per
entrambe le parti. L'orchestra, dopo il buio della guerra,
ritrovò finalmente sicurezza e prestigio sotto la direzione di
Karajan che, reduce da successi travolgenti alla Scala, si
annunciava come «il primo erede» di Arturo Toscanini. Per
Karajan, il quale aveva scontato con due anni di forzata
inattività le sue simpatie naziste (tessera numero 1607525 del
partito hitleriano datata 8 aprile 1933), il podio della
Philharmonie concludeva un'anticamera durata vent'anni, quasi
sempre in lotta con l'implacabile rivale Furtwängler che, anche
sul letto di morte, tentò in tutti i modi di sbarrargli la
strada alla successione. Dopo le affermazioni nel dopoguerra a
Milano, Salisburgo, Vienna e Londra, la direzione stabile dei
Filarmonici berlinesi trasformò la bacchetta di Karajan nello
scettro di un imperatore incontrastato e riverito sull'intera
scena musicale europea, ben disposto a concedersi, a suon di
dollari, all'ammirazione di americani, giapponesi e cinesi con
storiche trasferte in altri continenti. Celebrato con solennità
nibelungica, il più celebre matrimonio artistico nella storia
musicale di questo secolo ora si sta spegnendo in un clima
avvelenato da pettegolezzi e malignità.
Karajan ha di fronte un'orchestra in piena rivolta. Lo accusano
pubblicamente di essere diventato un despota arrogante, un uomo
che esige soggezione cieca anche quando scende dal podio e umilia
la tradizione e le regole di cogestione democratica del più
qualificato complesso sinfonico tedesco, un'istituzione pubblica
dipendente dall'assessorato alla Cultura di Berlino Ovest pagata
dal contribuente (i Berliner costano all'erario della Rft l'equivalente
di 9 miliardi di lire all'anno). «Io pretendo moltissimo da me,
l'ho fatto sempre fin dall'inizio e continuerò sicuramente a
farlo», ha spiegato Karajan in un'intervista. «Chi vuole
lavorare con me deve semplicemente condividere il mio metodo, io
non obbligo nessuno a venire. Detto questo, ricordo che c'è una
bella differenza tra sfruttare e pretendere. Qualunque musicista
potrà testimoniare che mai durante le prove m'è uscita una
parola dura verso chicchessia. Io chiedo il meglio, è vero, e
avere o dare il meglio è faticoso. Tutto qui».
Divorziare da Karajan «non sarebbe una catastrofe», ha tagliato
corto il sindaco berlinese Eberhard Diepgen dopo avere tentato
invano di placare i contrasti recandosi personalmente dal maestro
a Salisburgo («un inutile viaggio a Canossa» secondo diversi
giornali). Per Karajan, hanno ammesso i suoi fedelissimi, la
stoccata di Diepgen è stata atroce. «Era convinto», sussurrano,
«di essere insostituibile». «È il crepuscolo degli dei», ha
sentenziato Stern con commozione wagneriana. «Crolla l'impero
di Karajan», ha sparato in copertina lo Spiegel. «L'orchestra
dei Filarmonici berlinesi», ha commentato misticamente Quick,
«sta suonando una sinfonia del destino che, anche se gli
strumenti rimangono muti, reca lo sconvolgimento nel mondo della
musica».
È stata una donna, la bionda clarinettista 24enne
Sabine Meyer, a fare aprire le ostilità, or sono due anni. La
richiesta di Karajan di affidarle il posto di primo clarinetto (l'organico
ne prevede due) al fianco del solista Karl Leister fu bocciata
dall'orchestra. Motivo: la Meyer non aveva le doti per inserirsi
appieno nella perfetta musicalità del complesso. Molti
imprecarono contro un presunto maschilismo dei Filarmonici,
disegnandoli come una congrega di monaci in perpetua clausura
davanti allo spartito, ma sorvolando sul fatto che tra i ventidue
violinisti dell'orchestra c'è anche la francese Madeleine
Carruzzo. Karajan non volle mollare.
Con l'aiuto determinante del sovrintendente Peter Girth, l'anno
scorso, egli ottenne l'assunzione della clarinettista con un
contratto di prova per una stagione. Così, per la prima volta,
era stato calpestato il diritto di veto degli orchestrali nell'assunzione
di un nuovo elemento. Per i suoi irriducibili nemici (Karajan:
«C'è un piccolo gruppo di persone che da vent'anni diffonde
menzogne sul mio conto») non era altro che la plateale impennata
di un vecchio presuntuoso da sempre assetato di pubblicità e di
potere. Però «il vecchio», questa volta, sottovalutando il
granitico spirito di corpo dell'orchestra, aveva compiuto un
passo falso. L'eco mondiale della firma del contratto risuonò
nella Philharmonie come una sfida imperdonabile. Nella storia
ultracentenaria del complesso, arroccato tuttora con spirito
prussiano nella strenua difesa del suo diritto di veto nei
confronti di facce nuove poco gradite, si verificava il primo
«grave affronto». È difficile trovare oggi un'altra
istituzione tedesca, anche fuori della musica, così omogenea,
austera, impenetrabile. Non a caso i Filarmonici (tutti assunti
con contratto a tempo indeterminato e uno stipendio iniziale
garantito pari a quattro milioni di lire) sono stati spesso
paragonati ai cavalieri del Sacro Graal o all'ordine dei Templari.
Anche se poi succede che qualcuno dei «sacerdoti della
Philharmonie», come è accaduto al clarinettista Leister e al
contrabbassista Rainer Zepperitz, si lasci sedurre dalla
mondanità e dai quattrini e chieda le ferie per andare a suonare
come solista a Nuova York o su una nave in crociera nel
Mediterraneo.
Al contestato arrivo della Meyer la commissione interna dell'orchestra,
nucleo dell'opposizione a Karajan, reagì subito con una denuncia
al tribunale amministrativo di Berlino Ovest contro Girth, poi
archiviata per non surriscaldare l'ambiente. A causa di una
graziosa bionda viene pregiudicata la quiete nella Philharmonie,
fecero notare i più maligni, giocando ambiguamente sul fascino
che le bionde hanno sempre esercitato su Karajan. «Casco d'oro»
è il soprannome di sua moglie Eliette, la terza, cinquantenne,
ex indossatrice parigina, sposata nel 1958. Sabine Meyer,
snervata dall'insofferenza dei nuovi colleghi, avrebbe poi
annunciato il suo volontario ritiro dall'orchestra alla scadenza
del contratto, ma ormai il braccio di ferro fra il Maestro e i
Filarmonici era sfociato in un duello ai ferri corti.
Alla vendetta di Karajan che, quasi senza preavviso, li rimpiazza
con i Filarmonici viennesi nel concerto di Pentecoste l'11 giugno
a Salisburgo, i Filarmonici berlinesi replicano senza indugio con
la rescissione in tronco del contratto che li legava in esclusiva
fino al 1987 per la produzione di dischi, film e videocassette
con la società monegasca Telemondial, proprietà di Karajan, il
quale nel Principato di Monaco ha fatto registrare anche il suo
lussuoso yacht Helisara VI. Per i centoventi filarmonici è un
amaro sacrificio finanziario. «La nostra dignità», dichiara un
loro portavoce, «ha la precedenza sul nostro portafogli». Se la
clarinettista dai riccioli d'oro ha incarnato il pomo della
discordia, la goccia che fa traboccare il vaso è l'allontanamento
di Girth, sostituito il 20 giugno dal suo predecessore Wolfgang
Stresemann (79 anni) come commissario straordinario. Il contratto
della Meyer come altre decisioni amministrative di Girth a
vantaggio di Karajan e la sua inclinazione al protagonismo sulla
stampa più che alla discreta mediazione gli hanno tolto l'appoggio
degli inesorabili Filarmonici.
Il Maestro, dopo avere difeso Girth a oltranza, adesso si trova
isolato. A lui tocca la prossima mossa. Il suo infinito orgoglio
non gli permette di arrendersi senza combattere. C'è chi
sostiene che Karajan, sofferente da tempo di artrosi alla spina
dorsale, potrebbe accettare un dignitoso stratagemma (forse la
nomina a direttore onorario dell'orchestra) per ritirarsi in buon
ordine da Berlino a Salisburgo optando definitivamente per i
Filarmonici viennesi. Per la sua successione a Berlino si fanno
già i nomi di Riccardo Muti, del giapponese Seiji Ozawa e dell'americano
Lorin Maazel, tutti quarantenni rampanti che hanno già al loro
attivo numerose brillanti direzioni nella Philharmonie e non
dovrebbero quindi temere il veto degli orchestrali.
È
un maestro: in colpi di mano Anche se finì in gloria, l'ascesa
di Karajan alla testa della Filarmonica di Berlino non fu
condotta secondo le regole del gioco democratico. Tutt'altro.
Ecco come andò. |