La musica secondo... Maria Callas
Maria Callas, la voce. - Maria Callas: CD Dossier - Maria Callas: parla Walter Legge.
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Maria Callas,
la voce.
Una volta, scrivendo sulla Callas, Eugenio Gara invocò questo
appropriatissimo proverbio cinese: "Chi cavalca la tigre non
può più scendere". Se consideriamo l'evidenza della
carriera della Callas, e registriamo i trionfi, l'audacia ed i
pericoli della sua vita artistica, una sola è la conclusione che
emerge: con un repertorio così vasto ed un coinvolgimento così
intenso nei suoi personaggi, la Callas ha richiesto da se stessa
più di quanto le avrebbe fatto comodo. Ed è altrettanto chiara
un'altra conclusione: se non si fosse sfidata sino a quel punto,
se si fosse contenuta entro i limiti per lei più confortevoli,
probabilmente non sarebbe mai diventata 'la Callas'. Non si può
arrivare dove è arrivata lei con mezze misure.
L'esperienza della Callas ricorda un po' le sensazioni che si
provano al circo allo spettacolo dei trapezisti. La tensione e l'eccitazione
derivano dai rischi che vi sono implicati. Tuttavia, al circo c'è
la rete, il trapezista lo sa, e lo sa anche il pubblico. Quindi,
sebbene il controllo e l'abilità siano sempre elementi
essenziali per il successo dello spettacolo, sia l'azione, in
alto, che la reazione, in basso, si riducono, in un certo senso,
ad una benevola simulazione da entrambe le parti. Invece, si
viene a creare un'atmosfera totalmente diversa quando gli
esercizi sono senza rete. Ogni spettatore sembra allora essere
strettamente legato ad ogni movimento che si svolge in alto,
perché non si tratta più di simulazione. Si potrebbe dire che
la Callas era una delle rare interpreti operistiche che lavorasse
senza rete. Nessuna meraviglia, quindi, se si era instaurato un
rapporto così intenso tra lei ed il suo pubblico, e che il
fascino della Callas sia durato anche dopo la fine delle sue
esibizioni.
Talvolta cadeva. Ma era sempre pronta a rialzarsi e a sfidarsi di
nuovo. Questo coraggio non era dovuto soltanto al suo grande
talento ma anche alla consapevolezza dei difetti della sua voce.
Anche nei suoi giorni migliori (per esempio il periodo di Città
del Messico), la voce della Callas era divisa in tre registri
diversi: quello basso, velato, imbottigliato; quello medio, esile;
e il registro acuto così brillante da suonare talvolta stridente,
e che ogni tanto sembrava minacciare di sfuggire al suo controllo.
Tuttavia seppe conquistarsi un vasto pubblico, e sia per questi
suoi 'difetti', se si considerano tali, sia per le sue virtù. In
realtà, questo fenomeno non è nuovo nella storia del canto. Nel
1824, un centinaio di anni prima che nascesse la Callas, Stendhal
scriveva queste parole a proposito di Giuditta Pasta, che si
possono adattare benissimo anche alla Callas:
«Possiede il raro dono di poter cantare da contralto con
la stessa facilità con cui canta da soprano. Direi... che l'esatta
designazione della sua voce è di mezzo-soprano, pertanto
qualsiasi compositore che scriva per lei dovrebbe usare la gamma
vocale del mezzo-soprano... pur toccando di tanto in tanto, come
se fosse per caso, le note più periferiche della sua estensione.
Molte delle note di questa categoria non sono proprio bellissime
in se stesse, ma riescono a produrre una specie di risonanza, di
vibrazione magnetica che, grazie alla combinazione di alcuni
fenomeni fisici rimasti ancora oggi inspiegati, esercita un
effetto ipnotico immediato sull'animo dello spettatore.
[Stendhal continua, sottolineando, come io farei per
la Callas, che la voce della Pasta non era] forgiata dallo stesso
metallo, come direbbero in Italia; e questa fondamentale varietà
di toni prodotti da una stessa voce diventa una delle vene più
ricche di espressività musicale che l'arte di una grande 'cantatrice'
possa sfruttare.
...Molte altre cantanti famose della vecchia scuola
hanno già dimostrato da tempo come un apparente difetto possa
essere trasformato in una fonte di infinita bellezza, e come
possa essere sfruttato per apportare un fantastico tocco di
originalità. Infatti, la storia di questa arte ci dovrebbe
insegnare che non è certo una voce perfettamente pura, argentina,
impeccabilmente intonata in ogni nota della sua estensione che
può raggiungere i migliori risultati di canto appassionato. Una
voce totalmente incapace di variazioni non potrà mai produrre
quel timbro opaco, o soffocato, che risulta subito così
commovente e naturale nel ritrarre certi istanti di emozione
violenta, o di angoscia appassionata.
È stato detto, e non senza ragione, che la voce della Callas
"aveva molte meno qualità di qualsiasi altra che abbia
raggiunto la fama internazionale via fonografo", un mezzo
che, necessariamente, favorisce le doti timbriche, dato che non
può trasmettere direttamente le qualità fisiche e drammatiche.
Tuttavia, era una voce che non si poteva dimenticare. Ha
tormentato e infastidito tanti, quanto ha ispirato e colpito
altri, ed erano i colori personalissimi della sua voce, insieme
ai suoi limiti, che rendevano il suo sound così originale.
Altrettanto interessante era il suo modo di cantare. La Callas
veniva da una severa formazione belcantistica, sotto la guida
della sua insegnante Elvira De Hidalgo, una prospettiva poi
riaffermata dal suo consigliere Tullio Serafin. Questo tipo di
incanalamento vocale era l'ideale per il carattere della Callas.
Era una tradizionalista convinta, una puritana musicale che
cercava avidamente limiti stilistici e poi si evolveva all'interno
di essi. Maggiori erano i confini, più grande era la sfida e
quindi, in fin dei conti, la sua libertà. Una partitura la
metteva di fronte ad un suo dato problema. Il riuscire a superare
un dato problema era l'incentivo che la spronava a fare nuove
conquiste, a mettere ulteriormente alla prova la sua voce e le
sue capacità. Tutto questo, a sua volta, la portava ad una
prodigiosa padronanza di difficoltà tecniche come il trillo, l'acciaccatura,
le scale, i gruppetti ed altri abbellimenti. Queste qualità, la
capacità di cantare a gola spiegata, un senso innato del legato
e una dizione imperniata sulle vocali, tutto la predestinava ad
un repertorio preminentemente belcantistico, sebbene la sua voce
fosse fondamentalmente quella di un soprano drammatico.
Comunque, alla lunga, il sound particolare della Callas e le
sue conquiste tecniche avrebbero avuto un minore impatto sul
pubblico se non le avesse usati entrambi per modellare la musica
a fini creativi ed espressivi. Tutte le risorse di un cantante (respirazione,
tempi, dinamica e accenti agogici, abbellimenti, rubati, e
perfino i silenzi), li usava al massimo per comunicare
impressioni e stati d'animo. Anzi, la Callassembrava addirittura
incapace di essere inespressiva; perfino quando cantava una
semplice scala vi implicava un atteggiamento o un sentimento
drammatico. Questa capacità di comunicazione era qualcosa di
totalmente innato in lei. La sua capacità di lavorare duramente
e la sua grande curiosità la portavano a chiedersi
incessantemente cosa richiedesse una certa partitura, e anche
ciò che lei stessa voleva. Poco a poco riuscì a far sua l'arte
di dare ad ogni frase la giusta intensità espressiva e ad
indovinare sempre il giusto accento per sottolineare o
evidenziare un dato pensiero. Quando era al massimo della forma,
la voce della Callas diventava uno specchio rivolto verso le
emozioni umane. Tono ed intenzione diventavano incredibilmente
interdipendenti. In una interpretazione non si limitava mai ad
offrire una serie di punti cruciali impastati con delle pezze
indifferenti o incomplete, come fanno molti. Con la Callas, un
recitativo risultava altrettanto attento e integrato di un'aria.
Uno potrebbe anche non condividere qualche aspetto del suo modo
di cantare, e potrebbe anche dire che era tanto perfetta per un
ruolo quanto inadatta per un altro, ma in genere la Callas
riusciva a far accettare o rifiutare il suo concetto del canto
nel suo insieme, tanto era consistente e chiaro il suo approccio
ad una parte. Era questa la sua fondamentale motivazione come
artista.
(Brano tratto dal libro The Callas Legacy di John Ardoin,
Duckworth 1982, revised edition.
Maria Callas:
CD Dossier
Su Maria Callas si è già detto tanto. Nei primi dieci anni dopo
la sua morte è stato pubblicato tutto il materiale che lei ha
registrato in studio e quasi tutto il materiale che si trovava
nei vari archivi pubblici o privati. Ma l'era del CD e le
pubblicazioni in questo supporto sonoro delle vecchie
registrazioni disponibili in microsolco faranno scorrere nuovo
inchiostro su questi vecchi temi. La EMI, che detiene in assoluto,
a parte pochissime eccezioni, la proprietà delle registrazioni
in studio di Maria Callas, ha inspiegabilmente ritardato
moltissimo la pubblicazione delle opere complete della grande
soprano, immettendone peraltro sul mercato, fino ad ora, solo
sette su ventitre che possiede e solo due CD di arie, sebbene
avesse la possibilità ed il materiale per pubblicarne almeno
dieci. Ma la multinazionale inglese notoriamente non segue le
innovazioni tecnologiche a pari passo con le concorrenti società
tedesche e olandesi; ci ricordiamo che quando, nel 1955, la
Polygram e la Decca iniziavano le registrazioni stereo la EMI
stampava ancora dischi da 78 giri. La cosa ha fatto comodo alle
piccole case che, facilitate dalla legge sul dominio pubblico,
hanno riempito gli spazi vuoti con le registrazioni live della 'Divina'.
Siamo comunque agli inizi, poiché sicuramente presto o tardi la
EMI sfrutterà tutto il materiale dei suoi archivi (la Callas e i
Beatles sono la fonte inestinguibile di guadagno) e le piccole
case continueranno a passare su CD il resto del materiale che,
spesso con mezzi di fortuna, è stato registrato in questi undici
anni, tra il 1950 ed il 1965, della carriera folgorante dell'ineguagliabile
artista.
Questo nostro articolo è un'istantanea sulla situazione attuale,
soggetta a cambiare prima che il testo arrivi alla stampa. Non ci
dilungheremo troppo in critiche riguardanti l'interpretazione in
quanto sono cose già dette e ridette, ma ci limiteremo ad
elencare i dischi disponibili, casa per casa, segnalando spesso
particolari tecnici che si riferiscono al passaggio da microsolco
a CD.
L'onore della precedenza va naturalmente alla EMI in quanto
casa discografica che ha avuto in contratto di esclusiva Maria
Callas dal 1953 fino alla morte e che non ha saputo sfruttare il
tesoro che aveva fra le mani.
Uno dei momenti culminanti della storia del suono registrato è
la famosa Tosca prodotta nell'agosto del 1953 da Walter
Legge. Nel mondo della discografia operistica non c'è altra
registrazione così perfetta e ideale come questa. La Callas ha
nel sangue il personaggio, Di Stefano realizza un Cavaradossi
ineguagliabile e Gobbi fa scuola per gli 'Scarpia' a venire. De
Sabata ha firmato la sua esperienza musicale più completa.
Era naturale che la EMI iniziasse la pubblicazione delle opere
della Callas con questa registrazione (CDS 7471758 - 2 CD). Unico
neo di questa favolosa edizione: un taglio illogico in mezzo al
secondo atto per cambiare disco, quando si poteva mettere il
primo atto nel primo CD (42'36'') e gli altri due nel secondo (65'28''
in tutto).
Sette mesi dopo la registrazione di Tosca, Maria Callas
incide la sua seconda opera per la EMI: la Norma (CDS
7473048 - 3 CD). Il direttore è Tullio Serafin, non all'altezza
del sinfonismocorale di De Sabata ma grandissimo conoscitore di
voci, mentore della Callas (l'aveva realmente scoperta lui e le
stava sempre vicino).
L'interpretazione del grande soprano non ha le finezze e l'approfondimento
che troviamo nella successiva registrazione del 1960, ma la voce
è in piena salute; robusta, olimpica, granitica, sono aggettivi
che possono descrivere solo in parte la qualità di questo canto.
Mario Filippeschi è un Polione anemico, Rossi-Lemeni, anche se
non in piena forma, è un Oroveso monumentale. Il primo e il
secondo CD contengono il primo atto (52'34'' - 37'28''), il terzo
CD contiene il secondo atto (71' 08'').
Rigoletto è la terza opera della Callas che la EMI ha
pubblicato in CD (CDS 7474698 - 2 CD), tralasciando, fino a
questo momento, Lucia, Puritani, e Cavalleria
del '53, Pagliacci, Forza e Turco del
'54, e Aida del '55. Questa volta i tecnici della EMI non
ripetono l'errore commesso nella Tosca, mettendo il
primo atto nel primo CD (56'08'') e gli altri due nel secondo (61'51'').
La Callas realizza un ritratto di Gilda drammatico e reale, Tito
Gobbi è un tragico Rigoletto, Di Stefano un frizzante duca.
Serafin, grande maestro di canto, collabora con gli artisti e
respira insieme a loro il ritmo e le melodie di Verdi. La
qualità del suono è molto buona, se si considera la data di
registrazione: settembre 1955.
Ancora un vuoto che contiene Trovatore, Bohème
e Ballo del '56 e Barbiere del '57, e siamo
alla Sonnambula registrata nel marzo del 1957,
esattamente due anni dopo il debutto di Maria Callas alla Scala
con questa stessa opera. Due anni che, anche se hanno lasciato il
segno nelle sue qualità vocali, sono stati utili per l'approfondimento
dell'interpretazione del personaggio di Amina.
Votto non ha la bacchetta folgorante di Bernstein, che ha diretto
la prima alla Scala, né Monti riesce a eguagliare l'Elvino
interpretato da Valletti, ma anche con i loro limiti danno un'interpretazione
che rispetta il testo musicale.
Giusto il taglio dei CD: primo atto, primo CD (60'44"),
secondo atto, secondo CD (59'48") (CDS 7473788 - 2 CD).
Le EMI ha pubblicato Manon Lescaut, mantenendo il buon
senso degli atti (CD 58'42" - 61'38").
La Callas non era nelle migliori condizioni vocali e questo si
sente durante l'aria "In quelle trine morbide" dove i
do acuti sono incerti e i si bemolle non precisi, ma la ricerca e
l'approfondimento musicale che la Callas ha fatto sul personaggio
di Manon restano ancora irraggiungibili. Di Stefano è un partner
perfetto nel dare con lei il colore "francese" del
dramma di Prèvost nell'opera tipicamente italiana di Puccini. La
qualità del suono è veramente molto buona (CDS 7473938 - 2 CD).
La Lucia di Lammermoor (CDS 7474408 - 2 CD) registrata
nel marzo 1959 è stata preferita per la pubblicazione su CD a
quella del 1953, che era stata anche la prima opera registrata
per la EMI dal soprano greco. A torto! In quanto nella versione
del '53, sul piano vocale, la Callas era in piena forma e trovava
in Di Stefano il partner ideale. Non che questa interpretazione
del '59 abbia dei demeriti: i "pianissimo" sono
bellissimi e il registro acuto è cantato con estremo controllo,
ma il resto del cast è insignificante e solo Serafin mantiene la
giusta tensione drammatica.
La ragione di questa preferenza sta sicuramente nel fatto che la
versione del '59 è stata registrata originariamente in stereo.
Il suono è eccellente e il taglio dei CD giusto, tenendo la
parte prima nel primo CD (38' 54") e la parte secondo nel
secondo CD (71'53' '); la divisione dell'opera in tre atti che
appare sul libretto della EMI è errata, in quanto, per
definizione dello stesso autore, essa è composta da due parti:
la prima di un atto unico e la seconda di due atti.
La penultima opera completa registrata per la EMI da Maria Callas
è stata la Carmen.
Dalle memorie di Walter Legge, pubblicate in seguito, veniamo a
scoprire che anni prima Beecham aveva proposto alla Callas di
registrare quest'opera con lui, ma lei rifiutò. Beechamripiegò
con successo su Victoria De Los Angeles, mentre la Callas dovette
attendere il luglio 1964 per registrare quest'opera con Prêtre e
l'orchestra dell'Opéra. La nostra fantasia non basta per
immaginare cosa sarebbe diventata una Carmen cantata da
Maria Callas e diretta da Beecham; sono sfortune inspiegabili.
Nell'estate del 1964 la Callas si trovava a Parigi per cantare Norma,
Glotz e Prêtre la convinsero a registrare subito dopo la Carmen
di Bizet. Vocalmentenon è la cosa più bella registrata dalla
Callas, ma come sempre lei dà una nuova luce al personaggio.
Nicolai Gedda è un Don José perfetto, Andrea Guiot una Micaela
affascinante, Massard uno squisito Escamillo. Prêtre non ha la
finezza di Beecham ma riesce a dare la drammaticità di un "jeux
de scene".
L'opera è pubblicata in tre CD di 49'39'', 39'39'' e 56'55''; è
un peccato! Poiché si poteva facilmente distribuirla in due CD
di 73 minuti ciascuno, facendo il taglio nel numero 17 della
partitura prima del duo Carmen-José: "tout doux monsieur".
Il suono è perfetto e la stereofonia ampia e profonda (CDS
7473138 - 3 CD).
La Fonit Cetra, che ha avuto la fortuna di avere il primo
contratto in esclusiva con la Callas e la sfortuna di perderlo
poco tempo dopo, ha pubblicato in CD tre opere, registrate con la
collaborazione delle orchestre della RAI. La prima è la Gioconda
del settembre '52, che è anche la prima opera completa
registrata dalla Callas in studio.
Se il resto del cast fosse stato all'altezza della Callas avremmo
avuto un altro punto culminante della storia della discografia.
La sua interpretazione dispiega tutti i colori possibili e
immaginabili che una voce possa possedere, giustamente Giorgio
Gualerzi intitola così le note del libretto: "Scrivo
Gioconda e dico Callas.". È un documento che non deve
mancare a nessuna collezione.
È pubblicata in tre CD di 53'46'', 53'07'' e 58'32'', ma si
poteva, con un po' di impegno da parte della casa discografica,
mettere sull'ultimo CD tutto il terzo atto portandolo a 74' per
evitare il taglio in mezzo. La ricostruzione tecnica è lodevole,
tenendo presente la qualità del materiale originale (VDC 9 - 3
CD). Ogni volta che mi cade tra le mani la Traviata
registrata nel settembre '53, un mese dopo la Tosca con
De Sabata, con l'orchestra della RAI di Torino, mi viene in mente
San Giovanni Battista. Perché come lui la Callas durante queste
due ore, che è la durata di quest'opera, è una voce che parla
nel deserto: Santini non ha l'impeto necessario, Albanese è
sbiadito e Savarese non è all'altezza; sarà anche la differenza
di statura che li fa sentire ancora peggio. Basta comunque la
presenza della Callas per fare di questo album una pietra miliare
della discografia della Traviata (CDC 2 - 2 CD: 68'04''
- 54'18'').
La Norma, che è la terza opera pubblicata dalla
Fonit Cetra, non fa parte del contratto che la Callas ha avuto
con la casa discografica; è stata registrata invece durante un
concerto alla Rai di Roma il 29 giugno 1955. La qualità della
registrazione non è molto buona in quanto all'epoca avevano
trasferito il suono dai nastri originali in microsolco.
Una parte di questi nastri è stata distrutta (come ad esempio
tutta l'introduzione all'aria "casta diva") ed è stata
ricostruita minuziosamente dai microsolchi sopravvissuti.
Sia la Callas che Del Monaco hanno utilizzato questo concerto
come "prova generale" dello spettacolo che cinque mesi
dopo apriva la stagione della Scala. Loro due sono davvero in
forma: si può rimpiangere l'Adalgisa di Ebe Stignani che
appartiene ad un mondo anteguerra; Giuseppe Modesti è un
mediocre Oroveso. Tullio Serafin dirige l'opera come un poema
epico con momenti di notevole lirismo.
Con un taglio di 58' e 53" del primo CD, 59' e 58" del
secondo CD, l'opera finisce a 34' e 34" del terzo CD,
lasciando spazio per 34' e 25" di musica che la Fonit Cetra
riempie con arie di Bellini cantate dalla Callas:
-"oh, s'io potessi... con sorriso d'innocenza" da il
Pirata, Concertgebouw Orchestra diretta da Nicola Rescigno.
2 luglio '59 (17'44")
- "ah, non credea mirarti... ah, non giunge uman pensiero"
da La Sonnambula, Orchestra del Teatro alla Scala
diretta da Antonino Votto 4 luglio '57 (9'17").
- "oh, vieni al tempio" da I Puritani,
Orchestra della Rai di Milano diretta da Alfredo Simonetto. 19
novembre '56 (7'24")
(CDC 4-3 CD).
La Hunt Productions ha immesso sul mercato, nel 1986, otto
opere cantate da Maria Callas ed altre cinque sono state
pubblicate in seguito.
Per quanto riguarda l'elaborazione sonora, è importante notare
che le musiche sono state controllate persino dal punto di vista
della tonalità e ricostruite in ogni minimo dettaglio.
L'ottima ricostruzione tecnica, effettuata dai nastri radiofonici,
è di Hans Peter Ebner.
Medea è stata un'opera molto amata dalla Callas, il
personaggio della mitologia greca che lei interpretò è quello
che considerava più vicino al suo carattere.
Quest'album di due CD (57'55" - 65'44"), ci riporta
alla straordinaria serata del 7 maggio 1953, in cui lei ricreò
dal nulla il ruolo di questa donna mistica e reale, al limite fra
l'umano ed il soprannaturale; è un gioiello da non perdere (2
HUNT CD 516).
Di tutte le opere che la Callas ha cantato in teatro due sono i
momenti irraggiungibili che per lungo tempo hanno lasciato la
loro ombra nella storia dei teatri d'opera: la Traviata
prodotta da Visconti e diretta da Giulini e la Lucia di
Lammermoor prodotta e diretta da Karajan.
La Traviata del 28 maggio '55 alla Scala, insuperata,
sarà l'incubo di tantissimi soprani, direttori e sovrintendenti
di vari teatri che non avranno il coraggio di affrontarla oppure,
quando l'hanno fatto, hanno dovuto fare i conti con la sua
memoria.
Il suono non ha la stessa qualità di quello della Lucia, ma si
guarda a quest'opera come si guardano i grandi monumenti del
passato dove le piccole smagliature danno prestigio. Ci sembra
inutile dilungarci riguardo a quest'opera di risaputa importanza;
la versione qui dataci è qualitativamente la migliore di tutte
le pubblicazioni ascoltate fino ad ora (2 HUNT CD 501 - 70'17"
- 53'26"). La Lucia di Lammermoor, per fortuna
registrata durante la tournée del Teatro alla Scala a Berlino il
29 settembre '55, ci è pervenuta con un suono bellissimo, molto
vicino a quello delle registrazioni effettuate in studio. Tutti
sono perfetti nei loro ruoli, Karajan trascina orchestra e
cantanti in una interpretazione espressiva e drammatica verso un
trionfo finale; tutto il settimino della quinta scena del primo
atto della seconda parte è bissato a furor di pubblico.
È strano che Karajan non abbia ripetuto questa felice esperienza
ritornando a dirigere un'opera con la Callas a teatro.
L'opera è pubblicata in due CD (2 HUNT CD 502 - 55'30"
incluso il bis del settimino - 66').
Il 1955 è stato veramente l'anno più significativo nella
carriera di Maria Callas; vocalmente all'apogeo delle sue
possibilità raggiunge anche le più alte sommità interpretative.
Dopo Traviata e Lucia, come ultimo fuoco d'artificio
di questo prodigioso anno, Maria Callas apre, il 7 dicembre, la
stagione scaligera con Norma, di molto superiore a
quella cantata alla Rai di Roma nello stesso anno. Anche Del
Monaco è più veritiero sulla scena che in concerto e la
Simionato ci dà finalmente un'Adalgisa moderna. Antonino Votto
realizza un'interpretazione drammatica dell'opera belliniana.
I ventiquattro minuti della Sonnambula che ci vengono regalati
nel terzo disco appartengono a quella del 5 maggio '55 sotto la
direzione di Bernstein, e non del 3 marzo '57, com'è
erroneamente scritto sull'etichetta. L'opera è pubblicata in tre
CD di 57'39" - 59'38" - 34'03", più i 23'48"
dei brani scelti dalla Sonnambula (3 HUNT CD 517).
Il revival dell'Anna Bolena alla Scala, il 14 aprile
1957, ha segnato l'inizio di una nuova era operistica: quella del
ritorno verso il bel cantismo delle opere semisconosciute,
dimenticate a causa del Verismo, sopraggiunto con il '900, che
aveva cambiato l'impostazione vocale dei cantanti.
Quello di Anna Bolena, anche se è stato interpretato solo
pochissime volte da Maria Callas, è il personaggio che lei ha
individuato meglio di qualsiasi altro da lei cantato, sia sul
piano vocale che su quello interpretativo. Anche il resto del
cast questa volta è alla sua altezza: Simionato, Raimondi e
Rossi Lemeni, sotto la sanguigna direzione di Gianandrea
Gavazzeni, portano, insieme alla Callas, la tensione drammatica
di quest'opera fino al parossismo (2 HUNT CD 518 - 67'54" -
72'14").
Il famoso successo ottenuto da Maria Callas il 5 marzo '55 con la
Sonnambula ha fatto sì che l'opera fu registrata per la
EMI nel marzo del '57, come già menzionato, e fu anche una delle
opere scelte per rappresentare il glorioso Teatro alla Scala
nella tournée che pochi mesi dopo toccò Colonia e Edimburgo.
Una delle due rappresentazioni a Edimburgo fu registrata e da
questa incisione proviene questa edizione in compact (2 HUNT CD
503).
Maria Callas ritrova il personaggio drammatico ma anemico di
Amina, sostenuta dalla direzione di Votto, molto più energica di
quella realizzata nell'incisione per la EMI; anche Monti, la
Cossotto e Zaccaria cantano molto meglio qui che nella versione
in studio. Siamo di fronte ad una serata miracolosa che, se non
supera quella della prima con Bernstein, perlomeno la eguaglia.
Un album vivamente consigliabile (55'07" - 67'03").
Dello stesso anno della Sonnambula è il Ballo in
Maschera registrato in occasione della serata inaugurale
della stagione del Teatro alla Scala. Se nella registrazione in
studio la Callas ci dava "la versione" di quest'opera,
qui supera se stessa, sostenuta da un cast eccezionale (Di
Stefano, Bastianini, Simionato) e da un direttore straordinario
come Gavazzeni. È una delle più belle edizioni su disco di
quest'opera (2 HUNT CD 519 - 50'56'' - 62'10'').
Nel 1960 la voce della Callas era in pieno declino e dover
affrontare l'apertura della Scala con il Poliuto di
Donizetti le sarà costato senz'altro molta fatica.
Si avverte all'inizio dello spettacolo una tensione cominciata
molto tempo prima (Visconti, che doveva essere il regista, si
ritira, scioperi sia dei musicisti che dei tecnici travagliano il
teatro). Ma basta l'applauso, durato più di un minuto, regalato
alla Callas dal pubblico milanese prima che lei scandisse una
nota, a ridare agli artisti tranquillità e all'opera la giusta
tensione drammatica. Questa serata finisce in un'apoteosi della
"Divina", come se il pubblico della Scala volesse
appagarla non solo di questa interpretazione, ma di tutta la sua
presenza nel mondo musicale milanese durante quegli ultimi dieci
anni. Correlli, Bastianini e Zaccaria rivaleggiano con lei sotto
la direzione ispirata di Votto (2 HUNT CD 520 - 50'40" - 48'42).
La Ricordi detiene, per una strana coincidenza, i diritti della Medea
registrata per la EMI nel settembre '57. Walter Legge, legato ad
un contratto per la registrazione di quest'opera, giudicandola
poco commerciale preferisce cederla alla casa discografica
italiana.
La presenza di quel mostruoso e geniale produttore che era dietro
a tutte le registrazioni della Callas realizzate per la EMI,
senza che di questo nessuno se ne rendesse conto ascoltando i
dischi, durante questa incisione non c'è. E si sente! Siamo
molto lontani dalle altre interpretazioni che la Callas ci ha
lasciato di Medea. Quanto alla bella edizione della
famosa serata del 10 dicembre '53 con Bernstein, l'unico
interesse di questa versione è la giovane Renata Scotto nel
ruolo di Glauce (2 CD ACDOCL 201 - 51'02" - 67'32").
Naturalmente, essendo le registrazioni dal vivo di dominio
pubblico, altre piccole case discografiche hanno iniziato a
sfruttare il materiale inciso durante le rappresentazioni con
Maria Callas, talvolta facendo anche dei doppioni.
Citiamo qui la Traviata registrata alla Scala il 28
maggio '55, di cui esiste anche una versione sull'etichetta Foyer
(2 CF 2001), e la cui qualità sonora non è altrettanto buona.
RECITALS. La EMI ha pubblicato due CD con arie cantate da Maria
Callas. Il primo intitolato: Callas Opera aria, il
secondo: Mad scenes and bel canto arias.
Dovendo riempire spazi maggiori ai 50 minuti del microsolco,
questi CD contengono registrazioni effettuate in date differenti
e con orchestre e direttori diversi. Così, se la durata dei CD
è estremamente lunga (70'39" il 1° - 72'34" il 2°),
manca la continuità dei microsolchi dei recitals della Callas
fino ad ora pubblicati. Sarebbe stato meglio, facendo un catalogo
di tutto il materiale registrato, iniziare a pubblicarlo con un
criterio cronologico, oppure a tema.
In ogni caso, a parte le nostre lamentele, 70 minuti di Callas in
CD valgono veramente tanto (CDC 7472822 - CDC 7472832).
La Fonit Cetra, mettendo insieme le prime registrazioni che la
Callas ha fatto per questa casa e i concerti Martini e Rossi, ha
pubblicato un album di due CD: Callas arie celebri (CDC
5 - 59'59" - 71'08").
Anche questa casa discografica non si è interessata a presentare
queste arie con un criterio cronologico, come sarebbe stato
auspicabile, ma le ha divise in questi due CD senza seguire
nessun file logico, commettendo anche errori di date e direttori
nella copertina. In ogni caso il fatto che la Callas sia nella
sua forma migliore fa di questa edizione una delle più
interessanti raccolte di arie cantate da lei.
Più intelligente è il CD pubblicato dalla Frequenz con il
titolo: Maria Callas in Hamburg, contenente due concerti
dati alla Musikhalle di Amburgo il 15 maggio '59 e il 16 marzo '62.
Per questioni di minutaggio è stata esclusa l'aria "una
voce poco fa" dal Barbiere di Siviglia, che faceva
parte del primo concerto e l'aria "nacqui all'affanno"
dalla Cenerentola che faceva parte del secondo; povero
Rossini sempre maltrattato! Il suono è eccellente (CMH 1 - 73'07").
Per finire, Movimento Musica ha pubblicato il CD intitolato: Maria
Callas recital (011002). Di recital, comunque, non ha niente
poiché i pezzi scelti da Norma, Lucia e Traviata
appartengono a registrazioni fatte durante rappresentazioni delle
opere complete.
A. Scavuzzo
Maria
Callas: parla Walter Legge.
Non c'è dubbio che Walter Legge sia stato al centro della "renaissance"
musicale europea dopo il 1945. Non solo creò la London
Philharmonic Orchestra, che divenne poi il migliore complesso
orchestrale degli anni Cinquanta, ma fu anche colui che scoprì e
portò poi alla fama mondiale, tre delle personalità musicali
più dotate del dopoguerra: Herbert von Karajan, Elisabeth
Schwarzkopf e Maria Callas.
Sarebbe in realtà difficile sottovalutare il ruolo fondamentale
di Legge nella carriera discografica della Callas. Come artista e
direttore di repertorio per l'etichetta Columbia della EMI, fu un
tramite decisivo per portare la Callas alla EMI, e in seguito i
suoi suggerimenti e le sue decisioni furono cruciali nel
determinare la scelta del repertorio da registrare. Soprattutto,
partecipò attivamente a tutte le sessioni di registrazione,
aiutando così la cantante a dare un'impronta personalissima ai
suoi principali ruoli operistici. La testimonianza di Legge è
quindi estremamente interessante, poiché fornisce un ritratto
della Callas vista da chi raggiunse con lei un livello
incomparabile di intimità artistica; e benché alcuni di questi
commenti possano forse essere stati sentiti altrove, potete
essere sicuri che ciò che leggerete proviene da una fonte
autorevole, e non da una qualsiasi cameriera o da un autista,
desiderosi soltanto di fare qualche soldo rivelando qualche
particolare sulla loro famosa datrice di lavoro.
Ma Legge non ha mai scritto delle vere e proprie memorie; ha
scelto invece di mettere su nastro ricordi della sua
collaborazione con i molti artisti che seguì e di cui fu il
produttore nel lungo periodo in cui lavorò alla EMI. Questi
nastri sono ora proprietà di Nikos Velissiotis, e cogliamo l'occasione
per ringraziarlo per averci dato l'opportunità di pubblicare una
parte del contenuto di questi nastri.
L'ho ascoltata per la prima volta
abbastanza tardi. Ne avevo sentito parlare molto. Chiesi ad un
amico, Boris Christoff, che cosa ne pensasse e lui mi disse:
"È molto brava ma non penso proprio che sia il tuo tipo di
cantante. Ora, so per esperienza che se un collega dice così,
vuol dire che c'è sotto qualche qualità straordinaria. Quindi,
quando Christoff mi disse che non era il mio tipo io capii subito
che lo era. E così, un giorno in cui io e mia moglie eravamo
ospiti dei Christoff, a Roma, e vidi che la Callas cantava la
Norma dissi a mia moglie che sarei andato e di non dire niente.
Penso che quella fosse la prima volta che cantava la Norma. Dopo
il primo atto ero talmente sconvolto che saltai in un taxi, mi
precipitai nell'appartamento dei Christoff e dissi a mia moglie:
"Devi assolutamente venire a teatro con me. Ho appena
sentito la Callas". Lei mi disse: "No, non vengo. L'ho
ascoltata alla radio nella trasmissione della Martini e Rossi.
Non ho mai sentito una coloratura così bella in vita mia."
Doveva essere il '48 o il '49.
Come cantante aveva l'elemento essenziale per arrivare ad essere
una star: una voce personalissima, inconfondibile. Basta
ascoltare anche solo mezzo solco di un vecchio LP: se è la
Callas che canta, la si riconosce subito. La sua musicalità era
enorme. In parte le veniva dall'istinto, in parte l'aveva
coltivata... Un giorno ho fatto una lunga chiacchierata con
quella che era la segretaria di Mitropoulosal tempo in cui la
Callas frequentava il Conservatorio in Grecia. Lei mi disse che
la Callas era sempre la prima ad arrivare: una ragazzotta grassa
con le tasche rimpinzate di panini. Assisteva a tutte le lezioni;
a tutte le lezioni di armonia, ad ogni lezione di contrappunto.
Era la prima persona ad arrivare la mattina e l'ultima ad
andarsene la sera. Si applicava con quella incredibile energia
che l'ha accompagnata per tutta la vita, anche quando era solo
una studentessa.
Della sua voce si può dire che non era materiale stupendo.
Voglio dire, non era certo il materiale che avevano Rosa Ponselle
(Rosa Melba Ponzillo) o Elisabeth Rethberg, per parlare di
cantanti relativamente recenti. E non era neanche una voce divina
come quella di Gigli. Ma ha saputo trasformare il materiale che
aveva in uno strumento straordinario, e questo l'ha imparato da
sola, grazie alla sua intelligenza, sebbene lei attribuisca
enorme merito alla De Hidalgo, sua maestra... Con Rosa Ponselle
non ha studiato mai. Penso che non l'abbia mai sentita dal vivo.
Ne conosceva i dischi ma penso che non le abbia mai parlato.
Credo, soprattutto, che fu la Callas stessa, a forza di volontà,
a costruire e modellare la sua voce. Vede, io non credo che
esistano buoni insegnanti di canto o cattivi insegnanti di canto;
penso che ci siano buoni studenti o cattivi studenti. Non ho mai
sentito di un insegnante di canto che abbia creato molti bravi
cantanti. Ma talvolta, per una specie di miracolo, capita che un
cantante trovi proprio l'insegnante giusto da cui può imparare.
Una cosa che pochissime persone hanno capito della Callas è che
pur essendosi preoccupata durante tutta la sua carriera del bel
canto, cioè del cantare bene, è stata una delle poche artiste
che deliberatamente potesse produrre dei suoni di grande
intensità drammatica da una sola sillaba, o addirittura da una
singola consonante, per trasmettere il significato drammatico.
Lei stessa ha spesso ripetuto: "Non sempre i testi che
cantiamo sono alta poesia, ma questo mi lascia indifferente. Io
so che per evocare un effetto drammatico per il pubblico e per me
stessa devo produrre suoni che non siano belli. Quindi non mi
importa se sono brutti finché sono veri". La Callas aveva
un disprezzo assoluto per il canto bello fine a se stesso.
Fioriture, abbellimenti e tutte queste cose di stile devono
essere eseguiti perfettamente e il suono deve essere il più
bello possibile. Ma quando si trattava di effetto drammatico,
tirava fuori suoni che potevano essere orribili per rendere quel
preciso impatto drammatico che voleva. Una delle cose più
curiose a proposito della voce della Callas, e che ho notato
dalla prima volta che l'ho sentita, era che riusciva ad emettere
dei suoni per cui io in genere dicevo: "Sembra che canti
dentro una bottiglia". Soltanto più tardi, quando ci
conoscemmo meglio e andavamo insieme da uno specialista della
gola, seppi e potei vedere che il suo palato aveva una forma
quasi gotica. Era una cosa che non avevo mai visto. Si alzava
come una guglia, e senza dubbio molti di quei suoni curiosi,
coperti, talvolta quasi tozzi, le derivavano dalla struttura
particolare della sua bocca. Ma dopotutto, la forma delle casse
di risonanza, della bocca, delle corde vocali, sono proprio quei
fattori che determinano il carattere della voce... Ho paura che
la Callas potrebbe danneggiare tutta una generazione di cantanti,
perché i giovani cantanti cercano di imitare non le virtù, o
almeno non solo le virtù, ma anche quelle cose che lei faceva
deliberatamente ma che poteva fare solo grazie alla sua
intelligenza, e perché lei ne comprendeva il fine drammatico.
Loro invece producono questi suoni che non erano belli, ma non
capiscono perché, sanno soltanto che la Callas li faceva. Molti
grandi cantanti sono stati la rovina delle generazioni seguenti.
Pensi soltanto a tutti quei tenori che hanno cercato di imitare
Caruso. Pensi a due generazioni di baritoni italiani che hanno
cercato di riprodurre il fantastico volume di voce di Titta Ruffo,
e i colori fantastici della sua voce senza avere il fisico adatto.
Perché la testa di Ruffo era diversa da qualunque altra: aveva
un naso grande, come un negro, niente collo, e non apriva mai
troppo la bocca, ma riusciva a produrre ugualmente quel sound
fantastico semplicemente per quella sua risonanza congenita,
interna.
La Callas sul palcoscenico era molto consapevole. Sapeva
esattamente cosa faceva in ogni istante e aveva un costante
controllo di se stessa. Era molto sensibile all'atteggiamento del
pubblico, e penso che lo preferisse contro di lei, all'inizio. Ho
notato spesso alla Scala che quando c'era un primo atto un po'
freddo, o una reazione fredda da parte del pubblico dopo il primo
atto, la Callas sembrava raccogliere tutte le sue energie come se
dovesse dominare il pubblico per pura forza di volontà, oltre
che con ciò che stava per fare. Li aveva nelle sue mani con un'energia
quasi demoniaca. E questo funzionava anche per le parti più
liriche, come La Sonnambula, dove non c'è traccia di
forza demoniaca. Bastava che si avvicinasse alla ribalta e
cantasse l'ultima aria con quella sua brillantezza inusitata,
incredibile, come per dire al pubblico: "Avete dubbi su ciò
che posso fare? Prendete questo!" ...Mi capitò una volta di
vedere la Callas contro il pubblico, a Parma in una Traviata.
Andammo io e mia moglie. Entrammo un minuto prima che cominciasse
lo spettacolo, e io notai che tutto intorno alle poltrone di
platea c'erano uno accanto all'altro, un poliziotto e un'infermiera,
poliziotto, infermiera, ecc. Si sentiva nell'aria una grande
attesa per il primo spettacolo della Callas in quel teatro. Dissi
a mia moglie: "Sai, stasera siamo venuti alla
rappresentazione di un'opera, e invece sarà la nostra prima
corrida". Il primo atto andò perfettamente, e così il
secondo. C'era stata qualche protesta da un lato della galleria
dopo l'aria del baritono; la parte sinistra della galleria aveva
applaudito. L'altra parte della galleria aveva gridato: "Silenzio,
non era poi così buona!" Comunque, l'atto finì in modo
tranquillo, la Callas ebbe di nuovo un enorme successo. Nell'ultimo
atto, l'aria della lettura della lettera andò magnificamente, ma
nella nota più alta in "Addio del passato" la nota le
si ruppe leggermente in gola. Tutto il teatro si unì in un
fischio fortissimo. Lei continuò a cantare come se non fosse
successo niente. L'episodio non ebbe su di lei il minimo effetto.
Per dare un'idea di quanto fosse difficile quel pubblico di Parma,
racconterò un piccolo aneddoto. C'era stata una rappresentazione
di Andrea Chenier. Al pubblico non piacque il tenore e
protestò rumorosamente nel primo atto e cominciò a battere sui
sedili. Il direttore del teatro uscì sul palcoscenico e disse
che gli dispiaceva che il tenore non avesse incontrato il favore
del pubblico, e che comunque aveva già telefonato a Milano, e
che entro quattro o cinque giorni sarebbe stato in grado di
mettere su un'altra produzione dello Chenier, sperando
di avere Di Stefano. Chi voleva poteva avere indietro i soldi del
biglietto, altrimenti poteva tenerlo e sarebbe stato valido per
lo spettacolo seguente. Il pubblico uscì: alcuni andarono a
farsi rendere i soldi ma la maggior parte andò all'ingresso
degli artisti come se avesse l'intenzione di linciare il tenore.
La polizia allora lo fece uscire da un'altra porta e lo riportò
all'albergo dove alloggiavamo. Qualcuno del pubblico era comunque
riuscito a trovare l'albergo, ed era ancora lì quando il tenore
salì in camera sua. La polizia allora avvertì il direttore dell'albergo
che non poteva garantire la protezione del tenore se egli non
fosse partito per Milano con il primo treno. Era una notte
terribilmente fredda, e c'era la nebbia. Il tenore disse che
avrebbe preso il treno delle 6.40. Si alzò molto presto e disse
di chiamargli un taxi. Il direttore cercò di trovarne uno ma non
ce n'erano. Allora il cantante chiese di trovargli almeno un
facchino, perché non ce l'avrebbe fatta a portare due valigie
pesanti. Arrivò un facchino dalla stazione, prese le valigie e
dopo qualche centinaio di metri si voltò verso il tenore e
chiese: "Lei è quello che ha cantato ieri sera?" Il
tenore rispose di sì. Il facchino lasciò cadere le valigie per
terra e disse: "Se la porti da sé questa roba!"
Un altro esempio dell'imperturbabilità della Callas, di questa
sua ammirevole qualità, ci riporta a Milano, alla Scala. Era
abitudine dei suoi fans di occupare i posti più vicini al
palcoscenico, nella galleria, e quando alla fine della
rappresentazione lei tornava per le chiamate, ricoprirla di fiori.
Un giorno i fans di una soprano sua rivale, perché in quel
periodo aveva una rivale, decisero di disturbare questo rito.
Così arrivarono prima degli altri e occuparono quei posti,
tenendo in mano mazzetti di ravanelli e di carote. Quindi, quella
sera la Callas, invece di avere la solita pioggia di fiori, ebbe
una pioggia di verdure varie, e naturalmente anche qualche
mazzolino di fiori dai fans che erano riusciti ad arrivare più
vicino possibile al palcoscenico. Ora, la Callas aveva una vista
piuttosto debole, così si chinò, raccolse una per una queste
offerte, le annusò e poi gettò le verdure nella buca dell'orchestra
e offrì i fiori ai suoi colleghi. Fu uno dei migliori esempi di
sovranità del palcoscenico e prontezza di spirito che abbia mai
visto.
E poi la sua intelligenza e il suo senso drammatico si univano
alla perfezione...
Aveva un'intelligenza mostruosa, un enorme istinto drammatico e
una capacità di proiezione della propria personalità, della
propria volontà artistica, quasi sovrumana. Aveva un
comunicazione costante non solo con le persone sul palcoscenico,
ma anche con il pubblico. Aveva peraltro una curiosa
caratteristica, che ho visto soltanto in altri tre artisti
teatrali, quella di recitare con la schiena rivolta al pubblico.
Gli altri tre erano Laurence Olivier, Feodor Chaliapin (Fëdor
Ivanovic aljapin) e la mezzo soprano scandinava Kerstin
Thorborg, che sfortunatamente, quasi nessuno ricorda più.
...Una cosa curiosa della Callas è che nonostante il suo
spiccatissimo senso drammatico, trovo che non desse il meglio di
sé nelle opere più corte. Per esempio I Pagliacci,
tutti si aspettavano che li facesse molto meglio, e così Andrea
Chenier. Avrebbe dovuto essere come bere un bicchier d'acqua per
lei, e invece non fu così. Si trovava più a suo agio nel
repertorio che va da Rossini a Puccini... È interessante anche
notare che benché la Callas fosse molto naturale, non spaziava
tutta la gamma delle emozioni. Dominio, collera, rabbia, auto-compassione,
tenerezza, amore, ma a dire la verità nessun senso dell'umorismo...
Ho visto il suo Barbiere, che ha fatto decine di volte
alla Scala, e sinceramente non è che sprizzasse di ironia. Il
senso di trasmettere buonumore era qualcosa da cui era molto
lontana. Penso che avesse troppa energia, troppa forza di
volontà, forse quasi una reticenza a rilassarsi quel tanto che
basta per poter divertire il pubblico...
Una cosa però è certa, e cioè che la Callas aveva il miglior
legato dei nostri tempi... Lei credeva che il legato doveva
essere come un filo telefonico, con le consonanti aggrappate, per
così dire a questo filo e, come le zampette dei passeri che si
posano sui fili telefonici, in campagna. Ma fondamentalmente si
poteva sempre sentire la linea del legato e non ci si rendeva
conto delle interruzioni delle consonanti che per il loro scopo
drammatico.
Ho cominciato a registrare con lei poi nel 1952, nella Lucia
a Firenze. Lavorare con lei era fantastico. È stata una delle
tre o quattro persone con cui ho lavorato meglio in assoluto.
Veniva sempre preparata alla perfezione. Era estremamente
puntuale, al contrario di molte primedonne di entrambi i sessi.
Arrivava dieci minuti prima di cominciare e bastava farle un
segno con gli occhi perché capisse immediatamente cosa si voleva
da lei...
...E davanti al microfono aveva nervi d'acciaio... insomma era la
compagna di lavoro perfetta...
Cominciammo in modo abbastanza strano, cercando di registrare le
arie di Donna Anna perché io credevo che sarebbe stato
bene avere qualche brano di riserva. Ma anche lei ebbe gli stessi
problemi che hanno avuto tutti con quelle maledette arie e cioè
che negli staccati acuti doveva rallentare un po'. Io allora, mi
ricordo che le dissi: "Tu potresti riuscire, con la tua
tecnica potresti imparare". Ma non ci siamo più tornati
sopra, e quelle che registrammo allora non sono mai state
pubblicate. Non so neanche se esistono ancora.
Molti mi chiedono spesso come mai la Callas avesse molti nemici
nell'ambiente, visto che era così puntuale e scrupolosa... Io
personalmente non l'ho mai trovata una collega scorretta. Nelle
registrazioni non stava mai troppo vicino al microfono. Ascoltava
tutto ciò che facevano i colleghi. Per quanto riguarda il lavoro,
l'ho sempre considerata come una delle migliori persone che abbia
mai incontrato. Durante i dodici anni in cui abbiamo lavorato
insieme non c'è mai stato un malinteso. Ma c'è una cosa da dire.
Un giorno mi disse: "Se un giorno dovessimo avere una
disputa sarebbe terribile, perché tu sapresti esattamente come
ferirmi, e io saprei come ferire te". Io le dissi: "Maria,
di cosa ti preoccupi, non vedo perché dovremmo litigare". E
lei rispose: "La gente con la nostra forza, la nostra
volontà e la nostra personalità, finisce sempre per litigare...".
Questo poi non è successo, o almeno non ci fu un vero e proprio
litigio. Ma quando lasciai la EMI, le dissi che me ne sarei
andato, e lei scrisse una lettera terribile alla direzione della
compagnia, dove diceva che desiderava non aver più niente a che
fare con me, che io l'avevo ingannata per il Requiem di
Verdi e che voleva che nominassero qualcun'altro per trattare con
lei. Poi non l'ho più risentita fino a due settimane fa. Quando
seppe che ero stato male mi telefonò e fu estremamente gentile e
amichevole, come se non ci fosse stato tra di noi nessun silenzio,
e mi invitò a lavorare con lei a New York alla Juilliard School
dove insegnava lo stile italiano da Rossini a Verdi. Mi disse:
"Dopo tutto, siamo le uniche due persone che ci capiscono
davvero qualcosa, e penso che sia nostro dovere farlo".
Di Stefano...
La Callas aveva qualche difficoltà con un tenore con cui aveva
cantato molto spesso, e lui era un po' geloso di lei perché alla
fine dello spettacolo lei aveva sempre più chiamate di lui. Io
pensavo che fossero una coppia straordinaria, come lo erano stati
solo Caruso e Nellie Melba al Covent Garden... Ma un giorno la
moglie di questo tenore scoprì che alla Callas dava
particolarmente fastidio l'odore dell'aglio, come mia moglie,
poiché entrambe hanno un'eccessiva secrezione di saliva. Così,
la moglie del tenore cominciò a stare dietro le quinte, e ad
ogni duetto d'amore, o prima di ogni abbraccio, il tenore si
avvicinava alle quinte, stringeva la mano della moglie prendendo
quattro o cinque spicchi d'aglio, se li metteva in bocca, li
masticava e poi abbracciava la Callas che non sapeva cosa fare
con questa saliva in bocca. E questa fu la fine di una delle
coppie operistiche più famose.
Serafin...
I suoi rapporti con i direttori comunque erano molto
professionali... Il primo con cui ha lavorato è stato Serafin. E
penso che per quanto riguarda le qualità che l'hanno fatta
diventare quello che è, ha imparato da Serafin più che da
chiunque altro. Perché questo direttore era un maestro nel
repertorio in cui eccelleva la Callas, cioè le opere drammatiche
di Rossini, Bellini, Donizetti, Verdi. Conosceva quei pezzi come
nessun altro, a parte Toscanini, e inoltre sapeva moltissimo sul
canto...
Karajan...
La prima volta che ha lavorato con Karajan invece è stato verso
la metà della prima registrazione della Lucia. Karajan
aveva già un gran successo alla Scala e Ghiringhellilo pregava
da anni di fare un'opera italiana, ma Karajan aveva sempre
rifiutato. A metà della registrazione della Lucia, in
quel duetto tra tenore e soprano "Maledetto...", l'enorme
intensità della Callas e di Di Stefano nel cantare quel pezzo
era così straordinaria che quando la sessione finì telefonai
immediatamente a Milano (noi eravamo a Firenze) e dissi a Karajan:
"Devo assolutamente vederti domattina, arrivo col treno
della notte e appena puoi cerca la partitura della Lucia.
Ti ricordi di quello che ha fatto Toscanini?" Perché
entrambi l'avevamo sentito a Berlino quando eravamo ancora
studenti. Lui disse che andava bene. La mattina seguente bastò
che gli facessi ascoltare solo due minuti e mezzo della cassetta
che avevo portato e lui disse: "Va bene. Dopo pranzo ne
parleremo con Ghiringhelli, e faremo la Lucia alla Scala
con la Callas e Di Stefano". Lui stesso curò
meravigliosamente la regia di quella produzione, e fu la stessa
che portò a Berlino, e poi a Vienna prima di essere nominato
direttore, per mostrare a Vienna ciò che era capace di fare in
quel tipo di repertorio.
De Sabata...
La Callas dava sempre il massimo con i grandi direttori. Adorava
la disciplina, le piaceva lavorare con persone che potessero
tirare fuori il meglio da lei. Le cose più belle che ha fatto,
le ha fatte con grandi direttori: De Sabata, per esempio. Penso
che tra le sue registrazioni, quella che durerà per sempre sarà
la Tosca con De Sabata; resterà uno dei documenti di
ciò che può fare un grande direttore con tre solisti molto
coscienziosi... Fare la Tosca assieme a De Sabata è
stato davvero qualcosa di magico. Era la prima volta che lavoravo
con lui, anche se lo conoscevo bene. Cominciò con quel tipo di
atteggiamento da tiranno che io credevo scomparso, anche nei
direttori. Arrivò alla Scala molto presto. Parlammo di tante
cose, tranne che della Tosca, e cinque minuti prima che
cominciasse la sessione domandò: "Dov'è il presidente
della sua compagnia italiana?" Io gli risposi che non veniva
alle sessioni di registrazione. Lui mi disse di chiamarlo e di
mandarlo da lui. Il presidente arrivò, era un francese
piccoletto, e De Sabata gli parlò in modo tale da farlo
rabbrividire. Dopo questo incontro con De Sabata, venne verso di
me, mi spinse da una parte, piangendo, e mi disse che nessuno gli
aveva più parlato così dal suo primo giorno nell'esercito
francese... Poi cominciò la registrazione e passammo tre giorni
a sperimentare: avevamo moltissime idee per rendere La Scala più
adatta alla registrazione. Era la nostra prima registrazione in
quel teatro e non c'era abbastanza risonanza. Così, decidemmo di
coprire con il compensato tutti i palchi, cosa che fece quasi
diventare pazzo il presidente della EMI. Ma non sapeva ancor cosa
sarebbe successo. De Sabata ebbe un'idea che credo si dovrebbe
adottare più spesso: volle che ogni musicista della sezione
degli archi fosse posto su un piccolo podio, in modo da formare
per ognuno di loro una specie di circolo di vibrazioni, rendendo
il sound più vitale. Per fare questo gli italiani dovettero
lavorare giorno e notte, perché a quei tempi La Scala avrebbe
fatto qualsiasi cosa per De Sabata, ed ecco perché Tosca
suona ancora così bene, anche oggi, a quasi vent'anni di
distanza. D'altronde, due uomini ossessionati dalla sonorità, io
e De Sabata, si erano messi in testa che a qualunque costo, per
noi e per i nostri collaboratori, avrebbero fatto qualcosa di
eccezionale.
...Per quanto riguarda i rapporti tra la Callas e De Sabata,
avevano già lavorato insieme nei Vespri Siciliani...
quella fu l'unica volta in cui vidi un cantante avere la meglio
su De Sabata. Alla prova generale, presenti i critici, De Sabata
improvvisamente gridò: "Callas, guardami!" Lei si
avvicinò alla ribalta, agitò leggermente l'indice e disse:
"No, maestro. Lei guardi a me. La sua vista è migliore
della mia".
...Un altro esempio della prontezza di spirito della Callas lo
ebbi quando la portai ad un concerto sinfonico. Dirigeva
Klemperer. Dopo la prima parte, nell'intervallo, scendemmo a
parlare con lui. E Klemperer disse alla Callas: "L'ho
sentita due volte. Nella Norma, ottima, eccellente. E in
Ifigenia, terribile". La Callas sorrise.
Klempererdisse: "Sono sicuro che il mio amico Legge si
unirebbe a me nell'invitarla a fare un concerto con noi e l'orchestra
a Londra. Cosa le piacerebbe cantare?" E la Callas, con il
più dolce dei sorrisi, rispose: "Maestro, vorrei cantare le
arie dell'Ifigenia".
Mi domando cosa avrebbe cantato se la sua carriera non si fosse
interrotta... Penso che la sua preoccupazione per il bel canto la
facesse concentrare troppo sul repertorio che va da Rossini a
Verdi, e Puccini. Non che abbia fatto molto anche di Puccini, a
parte Tosca. Ha fatto la Butterfly a Chicago;
non ricordo che abbia mai fatto la Bohème. Ma un giorno
le dissi: "Maria, dovresti fare qualcosa che sia alla tua
altezza. Perché non fai qualcosa come Salomè. È una parte che
ora che sei magra, e bellissima, potresti fare benissimo,
stracciando tutte le altre. Perché, dopo tutto, nessuno ha mai
guadagnato tanto quanto te cantando così poca buona musica".
Le sue registrazioni...
Ho registrato con lei la prima volta nella Lucia a
Firenze. Nel 1952... Ho fatto tutte le sue opere, ad eccezione
della Cavalleria, per una registrazione che non è
importante, l'ultima Tosca e la Carmen...
Beecham voleva che facesse la Carmen con lui. Mi
telefonò e disse: "So che sei in buoni rapporti con questa
cantante, credi che potresti persuaderla a fare la Carmen
con me?" Io risposi: "Onestamente, non credo che vorrà.
Ha sempre giurato che non lo avrebbe mai fatto. Non vuole essere
identificata come mezzosoprano". Comunque ci provai ma lei
rifiutò, e lui prese un'altra cantante.
...Come ho già detto, la registrazione più bella è stata con
De Sabata... Fare una seconda Tosca è stato quasi
blasfemo. È stata una pazzia. Ma dopo che lasciai la EMI la
compagnia decise che ne voleva un'altra versione. Penso però che
nessun'altra potrà competere con la prima. È uno di quei
miracoli che succedono una volta sola... Se dovessi fare un
viaggio sulla luna e potessi portarmi dietro una delle sue
incisioni, porterei la Tosca di De Sabata...