La musica secondo... Mirella Freni
da un'intervista del 1988
La sua voce non presenta una ruga, eppure proprio in questi giorni festeggia i 33 anni dal suo primo "vagito" professionale. Un miracolo di natura, tecnica, tenacia, equilibrio che risponde ad un nome solo: quello di Mirella Freni.
La voce è stata più un dono naturale o una ricerca tecnica?
Più che altro una qualità naturale, per quanto è noto che
la natura va sempre aiutata, come infatti io stessa mi accorsi
dopo qualche anno di carriera, visto che, affidandomi troppo alla
mia facilità vocale, avevo perso un po' la strada giusta,
incappando nelle prime difficoltà. Perciò decisi di
intensificare lo studio della tecnica personalmente, in modo da
capire sino in fondo le caratteristiche del mio strumento. Tutt'ora
studio e devo dire che questo lavoro mi affascina immensamente.
È diffìcile imparare la tecnica anche per una cantante gia
dotata?
Molto e lo dimostra il fatto che non esistono in circolazione
tantissimi fuoriclasse: ci sono parecchie voci ma non altrettanti
cantanti.
Ma esiste una tecnica diversa per ognuno?
Non direi. C'è una tecnica di base valida per tutti, che
magari ognuno può leggermente adattare alle proprie
caratteristiche.
Sulla voce dove ha dovuto soprattutto intervenire?
Il controllo sul "motore" lo faccio un po'
dappertutto, ma più che altro inizialmente ho dovuto lavorare
sul registro medio-grave, che è dopotutto quello che richiede
anche una naturale maturazione con l'età. Per i soprani, ma
anche per i mezzosoprani, questo è poi il punto più pericoloso,
perché forzandolo si può rischiare di danneggiare
irrimediabilmente la voce. Nel mio caso l'ho controllato, l'ho
guidato, ma senza pomparlo mai.
Come ha individuato l'impostazione del suo repertorio?
Inizialmente ho cantato molte cose del Sei/ Settecento, ma di
massima sono sempre rimasta nei confini del soprano lirico, anche
perché mi sembrava di rispondere a questi requisiti ancor più
che per la voce per il fraseggio e per la linea di canto, dalle
arcate lunghe e legate. Un "lirico" deve possedere
soprattutto queste caratteristiche ancor prima della bella voce,
dato che al suo arco non sono richiesti né il virtuosismo del
soprano leggero né la potenza di quello drammatico. Il suo dev'essere
belcanto naturale, soprattutto nei passaggi medio-acuti. Io ho
creduto perciò di essere un "lirico puro", tanto che
ho sempre preferito rimanere un passo o due indietro ai miei
limiti effettivi piuttosto che farne uno troppo avanti.
Inizialmente anche certi ruoli che sconfinavano verso il "leggero-coloratura"
li ho tenuti in repertorio cantandoli con una voce da "lirico",
ma non mi sono voluta spingere più in là perché non mi sono
mai considerata una grande specialista del repertorio
virtuosistico, nel quale so di non raggiungere i miei risultati
migliori. Ho sempre cercato di essere onesta con le mie
possibilità e non ho mai voluto contraddire perciò le mie
caratteristiche naturali. I casi dei Puritani e di Figlia del
reggimento non costituiscono un'eccezione, perché in queste
opere la coloratura è abbastanza particolare, più espressiva
che spettacolare. Quando invece la coloratura e propriamente
virtuosistica, allora non mi trovo più nelle mie corde: posso
eseguirla (come ho fatto ad esempio per l'aria acrobatica di
Matilde nell'incisione del Guglielmo Tell), ma meccanicamente e
senza convinzione. Dopotutto le specialiste per questo repertorio
ci sono ed è giusto perciò che io mi orienti invece a
sviluppare quelle qualità che sento più consone alla mia
vocalità e al mio temperamento.
Nel suo repertorio ha trovato che tutte le scelte siano state
felici?
Ci sono ruoli che amo moltissimo, altri che alla lunga
possono avermi annoiato. Uno che ho riscoperto è stato ad
esempio Liù, che ho riaffrontato recentemente dopo una
quindicina d'anni in cui i teatri non me la chiedevano più,
preferendo utilizzarmi per ruoli più impegnativi e lasciandola
così a cantanti più giovani, che giustamente dovrebbero
iniziare la carriera con parti di questo tipo e non con altre
troppo rischiose, com'è ormai d'abitudine. Le opere che adoro si
identificano naturalmente con le ultime conquiste, anche perché
non avrei mai immaginato di poterle cantare, come è stato ad
esempio per l'Oneghin, il Don Carlo, l'Aida, l'Adriana, la Manon.
Questi ruoli più spinti, che in gran parte lei affrontò
inizialmente sotto la guida di Karajan, sarebbero mai entrati nel
suo repertorio se non fosse stato lui a proporglieli?
Chi lo sa! Effettivamente prima di lui nessuno si era mai
azzardato a suggerirmeli: la sua è stata perciò una fiducia
totale, della quale gli sono estremamente riconoscente e che
spero di non aver deluso, perché nei suoi confronti sono sempre
stata molto onesta e chiara. Non mi sono mai tirata indietro e
gli ho chiesto solo di lasciarmi il tempo per studiare e per
provare. Ad esempio per Aida ho voluto quattro anni di tempo per
verificare che questo ruolo non mi compromettesse vocalmente. Per
fortuna ho visto che problemi non ce ne sono stati, anzi devo
dire che quando rientro nel mio repertorio classico dopo aver
affrontato questi ruoli pesanti mi trovo molto più a mio agio di
prima. È stato un aiuto per cantare meglio e con più sicurezza
quello che facevo inizialmente.
Del veccbio repertorio cosa ha conservato?
Quasi tutto, a parte Puritani, Figlia del reggimento ed anche
Elisir, che è giusto facciano le giovani e che per il soprano
presenta tanta fatica e pochi risultati. Però mantengo ancora
Faust, Carmen, Bohème e possibilmente Mozart - ho in programma
ancora Susanna, che, finché posso cantarla, rimane uno dei
personaggi che preferisco perché mi diverte troppo e diversifica
un po' la gravità di tanti ruoli seri.
Ma è più affascinata dai ruoli di candida fanciulla o di
regina?
Mi piacciono sia gli uni che gli altri, per quanto a priori
non penso mai di atteggiarmi a questo o a quel personaggio.
Quello che mi affascina è invece la musica, oltre naturalmente
all'insieme globale di vocalità e interpretazione. L'emozione
che cerco sta nel piacere di cantare un ruolo e non tanto nell'ambizione
di fare la regina sulla scena o di indossare costumi sontuosi.
Non l'ho mai fatto.
Questi ruoli vengono scelti da lei o le vengono proposti?
Alcune volte li ho scelti io, ma di solito, anche quando mi
lasciano carta bianca, preferisco che siano gli altri a
suggerirmeli, per verificarli insieme di comune accordo. Per
quanto riguarda ad esempio quelli propostimi da Karajan, a
cominciare da Desdemona, ho in un primo tempo studiato la parte
per conto mio, quindi l'abbiamo controllata insieme, per quanto i
miei risultati abbiano in linea di massima sempre coinciso con i
suoi anche in virtù di un feeling comune. Non ci sono mai stati
problemi tra noi. Il Maestro si fidava ciecamente di me e mi
lasciava quindi studiare personalmente, d'altro lato io ero
naturalmente prontissiina a cambiare in tutto quello che lui mi
avrebbe suggerito di modificare. Si trattava dei consigli di
Karajan, non so se mi spiego! Grazie a Dio mi sono sempre trovata
in linea con le sue idee e devo dire che il nostro è stato un
incontro fortunato. Lui si era innamorato della mia voce e non è
un mistero che più di una volta abbia pubblicamente ammesso che
se fosse nato cantante avrebbe voluto cantare come me. Forse nel
propormi certi ruoli ha visto più in là di quanto riuscissi a
fare io, che rimanevo terrorizzata ad ogni sua nuova richiesta.
Col tempo ho comunque imparato ad avere più fiducia in me stessa.
Quali ritiene siano state le tappe decisive nella sua carriera?
È un po' difficile dirlo, anche perché in trentatré anni
di carriera ce ne sono state tante. Dal mio debutto in Micaela,
nel '55 a Modena, sono arrivata alla Scala nel '61, per il Serse
alla Piccola Scala, preceduto però, per improvvisa
indisposizione della Scotto, dal Falstaff alla Grande: un debutto
senza prove!! Salisburgo arrivò invece nel '65, dopo la Bohème
scaligera, quando Karajan mi propose la Carmen, insieme alla
Bumbry e a Vickers. Io ero già impegnata, ma Karajan mi risposte
tranquillamente: «Non ti preoccupare! Mi basta che tu arrivi per
la generale»- Io arrivai all'antigenerale e lui mi prese senza
alcun problema. Evidentemente sapeva di andare sul sicuro,
perché in recita ricordo che durante la mia aria smetteva di
dirigere, facendo segno all'orchestra di seguirmi. E mentre io,
con gli occhi fuori dalle orbite, morivo per la paura di trovarmi
tutta d'un tratto abbandonata a me stessa, lui stava fermo ad
ascoltarmi e aspettava la fine dell'aria per applaudirmi. Ero con
lui anche per la famosa Bohème a Vienna, quando avvenne la sua
famosa rottura con la Staatsoper. Tutto nacque dal fatto che
Karajan pretendeva un suggeritore italiano, ma i sindacati non
erano assolutamente d'accordo, tanto che arrivarono ad un'azione
di forza minacciando di entrare in sciopero poco prima dell'inizio
dell'opera. Il Maestro non fece una piega, ma costrinse il
rappresentante dei sindacati a seguirlo in palcoscenico, perché
motivasse questa decisione al pubblico, tra il quale c'era anche
il Presidente della Repubblica. A quel punto Karajan chiese a noi
cantanti se ce la saremmo sentita di cantare senza suggeritore e
così fu, ma dopo quella recita lui se ne andò per sempre da
Vienna. A lui devo il coraggio di aver osato certi ruoli in un
primo tempo impensabili per la mia voce, che ora costituiscono
gran parte del mio repertorio. La mia attenzione sta nell'alternarli
con il dovuto periodo di riposo, in modo da non "strappare"
le mie corde vocali. Amo troppo il mio strumento ed ho un tale
rispetto per la voce umana in generale che non potrei proprio
pensarla diversamente.
C'è qualcosa di cui si è pentita nella sua carriera?
In trentatrè anni devo dire che non sono poi molte le
esperienze negative. La prima è stata la famosa Traviata del '64
alla Scala, accettata troppo presto e senza seguire sino in fondo
il mio istinto, tali e tante erano state le insistenze di Karajan
e Zeffirelli. Un'esperienza che ho pagato sulla mia pelle, ma che
in fin dei conti si è rivelata utilissima, nonostante mi abbia
fatto soffrire e nonostante ne fossi uscita in un primo tempo
male, perché avevo compromesso in parte il mio equilibrio al
punto d'aver paura di cantare ancora. È stato un periodo di
crisi generale, ma è meglio che mi sia capitato subito, perché
da giovani si ha più modo di risollevarsi. Un'altra occasione in
cui non ero molto convinta di quello che stavo facendo è stato l'Ernani,
opera che penso di poter cantare ma che non è nel mio genere. Io
sono per le frasi lunghe, distese, cantabili e non per una
scrittura tesa ed impulsiva come quella del primo Verdi. Quando
lo debuttai alla Scala avevo già firmato un contratto con
Chicago sempre per Ernani, che tra l'altro sarebbe stato proposto
in una versione meno integrale e quindi più facilitata.
Nonostante tutto telefonai e disdissi immediatamente l'impegno.
Tempo dopo, mentre mi trovavo a Chicago per l'Oneghin, mi
supplicarono ancora di ripensare a quest'opera: volli fare una
prova per la pace di tutti e le posso assicurare che non ebbi una
sola difficoltà, ma ugualmente decisi di rifiutare. Anche
Beatrice di Tenda, che portai per qualche recita nei teatri
emiliani, era una parte che, pur piacendomi, mi sembrava troppo
difficile e che per non rischiare di forzare troppo sui nervi
abbandonai quasi subito. Questi comunque sono stati tutti
passaggi necessari per acquistare coraggio e per affrontare con
maggior sicurezza il repertorio degli ultimi anni. Ho imparato ad
osare di più un poco per volta, tanto che ancora adesso quando
debutto in un ruolo difficile non do mai il massimo per evitare
di spaccarmi la voce. Anche se in un primo tempo qualche critico
può trovare delle manchevolezze nella mia interpretazione la
cosa non mi interessa, perché sono convinta che col tempo queste
si assesteranno. I ruoli impegnativi si devono costruire pian
piano o, per lo meno, io ho trovato così il mio equilibrio per
affrontarli. Ad esempio per il mio prossimo debutto in Suor
Angelica, che in teoria dovrebbe essere una parte giusta per la
mia voce, ho già avvertito il teatro che prima la metterò in
gola per vedere come funziona: nel caso in cui non fossi
pienamente convinta del risultato, è necessario però che venga
trovata una sostituta. Un'altra opera che sto preparando è La
dama di picche, prevista per il '90 a Los Angeles con Domingo: la
sto già studiando a piccole dosi, quando il tempo me lo permette.
Io non sono capace di andare sul posto senza sapere la parte.
Com'è stato il suo rapporto con i registi?
Devo ringraziare molta gente per avere intuito alcuni lati
della mia personalità appena accennati che grazie a loro sono
emersi. Registi come Visconti, Barrault, Zeffirelli, Ponnelle,
Strehler sono di lezione per tutta la vita! Ricordo con grande
piacere il primo incontro con Visconti, per la Traviata al Covent
Garden. Evidentemente Luchino si era fatto l'idea che io fossi
una donna altissima e di conseguenza aveva preparato tutto il
mobilio scenico di una certa dimensione. Quando mi vide, trasalì:
«Figlia mia, sei tutta lì?. Io ribattei: «Guarda Luchino che
tu sei abituato alla Callas, ma io non ho niente a che vedere con
lei!». Quindi fu necessario tutto un lavoro di ridimensionamento,
segando le gambe delle sedie e abbassando lo specchio sopra il
camino, perché rischiavo davvero di entrarci dentro. Luchino,
che era a conosceza della mia esperienza scaligera in Traviata,
mi fu vicino come un fratello o un padre, perché sentiva che
alle prove tutto andava benissimo ma che di fronte al pubblico l'emozione
avrebbe potuto giocarmi un brutto tiro. Insieme a Giulini mi fu
psicologicamente di grande aiuto. Alla prima stava su uno
sgabello tra le quinte e ricordo quando superato il "Sempre
libera" con quei fatidici "Re bemolle" che mi
vennero facili (e pensare che non avevo mai avuto problemi sugli
acuti, anzi ero lunghissima!), scattò per la gioia con un gesto
goliardico, indirizzato idealmente ai fischiatori scaligeri. Ci
fu un'ovazione incredibile, dopo di che io cedetti per l'emozione
e mi trovai a piangere tra le sue braccia, mentre lui raggiante
continuava a ripetermi «Hai visto? Te l'avevo detto! Alla faccia
di tutti quanti, che vadano a quel paese!». In effetti fu una
grande rivincita, anche perché le critiche furono ottime. Una
serata indimenticabile!
C'era anche la Callas, non è vero?
Sì, e sedeva proprio di fronte a me alla cena che Luchino
aveva organizzato dopo la recita. Ricordo che con la sua cadenza
veneta mi diceva: «Figlia mia, sei brava a fare queste cose dopo
tutto quello che t'hanno fatto alla Scala!» Era rimasta
impressionata da come leggevo la lettera e più volte mi chiese
con chi l'avessi studiata. «Guardi signora (non mi permettevo di
darle del tu per rispetto), non ho preso lezioni, mi viene
naturale e Luchino mi ha un po' aiutata.». Ero al settimo cielo:
la Callas che mi diceva questo! (e penso che fosse sincera
perché non era tipo da dire cose che non pensava). Io non l'avevo
mai sentita in teatro, tranne che in alcuni concerti in quegli
ultimi anni. Devo dire che ci siamo capite subito, forse perché
eravamo tutte due dirette e sincere, e per un certo periodo siamo
rimaste anche abbastanza in contatto. La cosa più sorprendente
era che proprio lei mi cercava spesso per prima e con una tale
semplicità, che oggi mi sento onorata di averla conosciuta
soprattutto dal lato umano, perché, se vogliamo, come artista
sapevamo tutti chi fosse. Una grande donna, molto sola ed
infelice, purtroppo. Ricordo di averla sentita la prima volta a
Londra, in un concerto alla Royal Festival Hall diretto da
Prêtre. Un concerto bellissimo, uno però dei suoi ultimi. Tutto
era stato stupendo, ma solo nella cabaletta della «Casta diva»
un "do" era risultato meno felice del previsto. Io ero
talmente entusiasta che quando ebbi modo d'incontrarla nel suo
camerino glielo dissi col cuore, con un tale trasporto che lei
quasi stupita mi chiese: «Ma cara, tu non mi hai mai sentito?»
Ed io: «È la prima volta, signora.». E lei: «Ah, ma dovevi
sentirmi prima, allora!». Improvvisamente però divenne seria e
fissandomi diritto negli occhi mi chiese: «E quel "do"?».
Mi sentii gelare perché non potevo permettermi certo io di fare
un'osservazione alla grande Callas. D'altronde, non essendo
nemmeno tipo da dire una cosa per un'altra, risposi: «Beh, era
un po' scivolato, ma non me ne importa niente perché tutto il
resto era splendido!» Lei mi abbracciò e m'invitò ad una cena
al Savoy, perché voleva arrivare al dunque del discorso. Avendo
una prova l'indomani, me ne andai prima, non senza chiedere alla
Callas di autografarmi il menu della cena, sul quale era
riprodotta una sua bellissima foto, che tuttora conservo tra i
miei ricordi più cari. La sua dedica fu «A Mirella Freni con
tanta ammirazione e gli auguri di una sempre più grande carriera,
ma anche di felicità.» e sottolineando tre volte «felicità»
mi disse: «Hai capito?» «Ho capito benissimo» risposi,
intuendo che il suo augurio era indirizzato ad un successo che
andasse al di là del solo canto. Con la Callas è stato un po'
come con Karajan, ci capivamo senza parlarci.
Cos'è il professionismo per lei?
La serietà professionale non si deve avere solo sul
palcoscenico ma anche fuori. Come per gli atleti, è infatti
necessario, anche se noioso, riposarsi la sera prima della recita
ed evitare gli inviti, per rispetto del tuo strumento, del tuo
lavoro e di chi lavora con te. Quando si è in vacanza è tutto
un altro discorso, è allora che nel mio caso esce fuori l'altra
Mirella. Non credo che sia inevitabile smontare da un aereo all'altro:
io non l'ho mai fatto e penso ugualmente di aver realizzato una
carriera importante grazie a questa mia scelta. Non credo nemmeno
che questa sia dipesa dalla fortuna, anche perché la fortuna,
quando ti capita, è per poco e non per un'intera vita.
Personalmente non mi costa rinunciare a proposte allettanti, come
quelle che recentemente mi hanno fatto per inaugurare una
stagione sotto il periodo natalizio. Io il Natale l'ho sempre
passato con mia figlia e mai rinuncerei a questo per un contratto
interessante. È solo un fatto di scelte.
I suoi prossimi impegni?
Canterò Bohème a fianco di Domingo e Pavarotti
rispettivamente a Vienna e al Metropolitan, dove dovrebbe
dirigere Kleiber, poi Oneghin a Londra e a Vienna, quindi Adriana
a Bologna. Per quanto riguarda il disco, uscirà una nuova
edizione della Butterfly, con Carreras, la Berganza e diretta da
Sinopoli, in cui a mio avviso c'è qualcosa di bello! Inoltre ho
inciso l'Oneghin con Thomas Allen, Neil Shicoff, Paata
Burchuladze, sotto la direzione di Levine e con la splendida
orchestra di Dresda. Forse sarà la volta anche della Dama di
picche e di Suor Angelica, oltre che di un disco di arie diretto
da Sinopoli. È prevista anche la mia terza Carmen con la Norman
e Carreras, che spero si ristabilisca quanto prima. A questo
proposito Ozawa mi ha telefonato tutto timoroso, dicendomi: «Sai,
ho ascoltato le giovani, ma, se non ti offendi, la potresti fare
ancora una volta tu la Micaela?» E per carità, gliela faccio
ben volentieri!
Se si può dire, lei è quasi più apprezzata dal pubblico e
dalla critica oggi di ieri. Da cosa pensa che dipenda questo
successo incondizionato?
Non lo so, forse dalla maturazione vocale o dal cambio di
repertorio. Io sono solo contenta di provare ancora gioia nel
cantare, perché altrimenti smetterei subito. Per carattere non
ho mai fatto niente tanto per fare, ma al contrario ho messo
sempre tanto amore nel mio lavoro. Questa è una carriera
difficile da mantenere sulla giusta rotta, ma, per quanto siano
tanti, questi trentatre anni devo dire che non mi pesano!
Davide Annachini