Musica e mente
Musica e mente - Come ascoltano i musicisti (di Filippo Michelangeli)
Ecco alcune notizie sulle reazioni della mente alla musica.
Secondo gli studi effettuati dal neurologo canadese Robert Zatorre, della Mc Gill University di Montreal, il cervello dell'uomo reagisce alla musica con l'attivazione di alcuni centri del piacere, una reazione che avviene anche durante le cosiddette "attività gratificanti", come l'assunzione di droga, mangiare o l'attività sessuale. Le reazioni alla musica sono ben definibili ed identificabili, in quanto alterano in modo percettibile il battito cardiaco e il tono muscolare. Ad un gruppo di studenti è stata fatta ascoltare della musica particolarmente "emozionante" in modo da provocare i brividi e la pelle d'oca. A questo punto l'attività cerebrale è stata esaminata con una tomografia a emissione di positroni (Pet), controllando anche altri parametri fisiologici del corpo, come il battito cardiaco, il ritmo respiratorio, la temperatura della pelle e la tensione muscolare. È curioso notare che la musica è un'attività astratta, a differenza del cibo e del sesso, ed è quindi priva di uno specifico valore biologico. Per spiegare questa reazione si ricorre ad un motivo molto più antropologico che scientifico: oggi la musica è intesa come intrattenimento ma nelle società primitive la pratica musicale era legata alle esigenze primarie, quali sesso e cibo, poiché era usata in tutti i rituali, come quelli di caccia e quelli di iniziazione.
Per molto tempo si è sostenuto che il linguaggio attivasse l'emisfero cerebrale sinistro e la musica quello destro ma oggi si hanno informazioni che cambiano un po' le cose. Le reazioni sono molto più complesse, specialmente per quanto riguarda i musicisti. I diversi elementi che compongono la musica (tono, ritmo, armonia, melodia ecc.) si distribuiscono su entrambi gli emisferi cerebrali. Il cervello è però in grado di "riconoscere" la musica e la reazione è diversa da altri stimoli uditivi, come voci o rumori. Non risultano invece differenze fra le reazioni cerebrali stimolate da una sinfonia di Beethoven, una canzonetta e una musica proveniente da una cultura completamente diversa da quella dell'ascoltatore. Lo studioso Steven Demorest, dell'Università di Seattle, usando la risonanza magnetica ha dimostrato che un'antica melodia cinese produce nel cervello degli ascoltatori la stessa risposta provocata da un brano di musica classica.
La musica si conferma come un linguaggio ed un'esperienza universale, accessibile a tutti. Secondo il francese Emmanuel Bigand, dell'Università di Digione, ci sono studi che dimostrano che i musicisti professionisti e dei semplici ascoltatori utilizzano gli stessi strumenti cognitivi per analizzare un brano musicale. Sembra che tutti i bambini al di sotto dei sei anni siano dotati in maniera naturale, anche se elementare, dell'orecchio assoluto, cioè della possibilità di riconoscere l'altezza di una singola nota. Quest'abilità viene persa dalla maggior parte delle persone durante la crescita. Però tra musicisti e semplici ascoltatori esiste qualche differenza nell'attivazione delle aree cerebrali. Secondo Marina Bentivoglio, dell'Università di Verona, in alcuni casi sembra che le "disfunzioni" di cui soffrivano grandi compositori abbiano influenzato la loro creatività. Tutto questo senza tornare alla teoria esposta in Genio e follia dallo psichiatra Cesare Lombroso, secondo la quale i criminali sono il prodotto di fattori ereditari ed atavici.
Queste ricerche confermano anche un luogo comune, cioè che la musica fa bene. Oggi non si crede più all'"effetto Mozart", teoria secondo la quale sarebbe bastato ascoltare brani di questo autore per raggiungere grandi prestazioni intellettuali. Ma la musica aiuta i bambini a sviluppare il linguaggio e a coordinare i movimenti. Secondo uno studio dell'Università di Sheffield un corso di musica può aiutare un bambino dislessico a superare parte delle proprie difficoltà, mentre alcuni ricercatori dell'Università di Liverpool arrivano ad azzardare che i musicisti, sviluppando particolarmente l'area del cervello relativa al linguaggio, riescono in questo modo a prevenire alcuni danni legati all'invecchiamento. Bisogna però fare attenzione a non considerare le tecniche di indagine come una moderna frenologia, la teoria scientifica, affermatasi nel secolo XIX e oggi abbandonata, secondo cui dalla conformazione del cranio era possibile risalire allo sviluppo di certe zone del cervello, sedi di particolari funzioni psichiche. Quando si studiano i cervelli non si può generalizzare, perché le variabili individuali sono tante.
Negli ascoltatori inesperti l'ascolto della musica attiva la parte destra del cervello, quella più intuitiva (visibile in rosso).
Nei musicisti si attiva la parte più razionale, cioè quella destra.
Visita il sito della Quarta Conferenza Internazionale sulla Percezione e Cognizione Musicale
Come
ascoltano i musicisti
di Filippo Michelangeli
Un recente studio americano ha evidenziato che i professionisti della musica ascoltano in modo diverso rispetto ai semplici appassionati. I primi hanno un approccio analitico, i secondi emotivo. Per questo l'arte dei suoni non rilassa entrambi allo stesso modo. Come ascoltano la musica i musicisti? Che tipo di sensazioni provano i professionisti delle sette note quando assistono a un concerto? Qualcuno potrebbe pensare che, visto che la fonte sonora è uguale, musicisti e non musicisti provano le stesse sensazioni. Le cose, invece, non stanno esattamente così. Alla domanda ha cercato di rispondere un recente studio americano che ha individuato due tipi di ascolto: emotivo e analitico. Il primo è prerogativa degli incompetenti che, non avendo una preparazione specifica, rispondono agli stimoli di una composizione musicale in modo diretto. Un crescendo fa aumentare il battito cardiaco, un passaggio veloce - non necessariamente di grande virtuosismo - crea stupore e ammirazione. Una melodia struggente commuove subito, eccetera. Il professionista, invece, ha un ascolto analitico, "gestaltico", dal tedesco "gestalt" (forma). Ogni nota che sente deve trovare una collocazione nella struttura del pezzo. Durante l'ascolto il cervello attua una sorta di decostruzione continua. Se il brano è per orchestra vengono individuati i diversi timbri, quindi collegati ai rispettivi strumenti, poi viene fatta una valutazione sulla qualità dell'esecuzione. Alla fine, se tutto procede senza intoppi, sfiancata dal labirinto cerebrale arriva una briciola di emozione. Ho semplificato molto, ma la sostanza è questa. Naturalmente ci sono tante sfumature, insomma non stiamo parlando di una scienza esatta. I musicisti possono tirare un sospiro di sollievo. Molti di loro non hanno mai perso l'ascolto emotivo. Ci sono due casi che meritano tuttavia di essere studiati. C'è un luogo comune secondo il quale la musica rilassa. La "classica" in special modo. Per questo motivo nelle sale d'attesa degli studi dentistici viene diffuso Mozart a tutto spiano. La musica accompagna anche le sedute di massaggi, la meditazione, o più semplicemente la giornata in ufficio, o il proprio relax. Tutto questo vale per le persone "normali". Alla maggioranza dei musicisti, invece, ascoltare musica piace, ma non allenta la tensione. Per rilassarsi preferiscono il silenzio. Soltanto così il loro cervello può davvero riposarsi. Ma c'è un altro caso curioso. È il momento in cui un musicista deve esprimere una valutazione su un collega che suona uno strumento diverso dal suo. Che cosa succede, per esempio, a un pianista che siede in una commissione d'esame di violino? Come si comporta un organista che deve valutare un flautista? Nei concorsi giovanili multistrumentali ho assistito mille volte all'imbarazzo, per non dire al panico, che vivevano stimati professori di pianoforte completamente spiazzati nel dover esprimere un parere su un ragazzo che suonava la tromba. Eppure il linguaggio musicale utilizza gli stessi ingredienti: note, pause, dinamiche, agogiche. La capacità d'ascolto del pianista, ma vale per tutti gli strumentisti, è fortemente condizionata dalla propria settoriale competenza. Soltanto l'abitudine o la necessità - pensiamo al direttore d'orchestra - riescono a liberare il musicista dai vincoli dell'ascolto analitico.