La musica secondo... David Oistrakh

Le grandi registrazioni russe
Ricordo benissimo la prima volta che ascoltai un concerto di David Oistrakh al Comunale di Firenze. Era una serata della stagione autunnale con un direttore modesto e un'orchestra scarsamente impegnata ma il programma lunghissimo e la fama del solista avevano attirato una gran folla. Quella sera Oistrakh proponeva addirittura due Concerti, il Primo di Prokofiev e l'Op. 77 di Brahms. La prima cosa che impressionava nel suo modo di suonare era la qualità di una cavata ampia e morbidissima ottenuta senza sforzo apparente. Quel signore corpulento e imbronciato produceva un volume eccezionale di suono e ne controllava ogni più piccola sfumatura timbrica con la maggiore naturalezza possibile e, almeno in apparenza, senza mai forzare la pressione dell'arco. Superata la suggestione del suono si restava colpiti dalla compostezza e dall'intensità dell'interprete. Di fronte a David Oistrakh scompariva l'immagine romantica del violinista mefistofelico, del virtuoso incantatore e del funambolo da baraccone. Le sue esecuzioni prediligevano tempi giusti, fraseggi larghi e appassionati, una controllatissima pienezza di suono anche nei passi più vertiginosi. Tutto insomma contribuiva a dare l'impressione di una profonda tranquillità interiore e di un'attenzione totalmente rivolta alle ragioni espressive della pagina affrontata, senza i vivaci sbalzi d'umore soggettivi e le intemperanze nervose di altri grandi violinisti. Questo atteggiamento classicistico caratterizzava tutti i pezzi prediletti da Oistrakh, i monumenti della tradizione occidentale, i Concerti di Bach, Mozart, Beethoven, Brahms, Mendelssohn, ma impressionava soprattutto nelle pagine del repertorio novecentesco, in Debussy e in Ravel, in Bartok e in Prokofiev o nei molti Concerti di autori sovietici che spesso figuravano nei suoi programmi. Oistrakh aveva la capacità di saper sfrondare la musica del Novecento da ogni esibizione tecnicistica, di ricondurla ad antichi principi formali ed espressivi, insomma di leggerla con la stessa severa interiorità riservata ai classici e ai romantici.
La discografia di Oistrakh è sterminata, coprendo quasi tutto il suo repertorio di violinista, spesso con più di una incisione per la stessa opera. Ma oltre a essere numerosa è anche una discografia che rende piena giustizia alla sua personalità di interprete. Diciamo subito che il suono di David Oistrakh era straordinariamente fonogenico, una dote che esula dai meriti artistici e che difficilmente si spiega in termini razionali. Alcuni cantanti e alcuni strumentisti non inferiori a Oistrakh ne erano sfortunatamente sprovvisti e le loro incisioni non sono che un pallido ricordo di ciò che sapevano fare nella sala da concerto. Quelle di Oistrakh invece sono su per giù tutte ugualmente notevoli, indipendentemente dalle condizioni dell'ascolto e dalla tecnica di registrazione. Il fascino della sua personalità interpretativa, il calore sereno di quel vibrato largo e commovente, di quella saggezza espressiva insieme profonda e misurata, sfidano ottimamente il filtro del mezzo meccanico senza raggelarsi e snaturarsi. Un giorno sarà opportuno mettere un po' di ordine sistematico nel catalogo sterminato dei dischi di Oistrakh che è tuttora confuso e lacunoso. Molte cose importanti degli anni trenta e quaranta aspettano ancora un riversamento in microsolco mentre cominciano a comparire le prime ristampe su compact. La Philips ha già curato il riversamento dell'integrale beethoveniana con Lev Oborin e la EMI ha realizzato la ristampa del Triplo di Beethoven con Richter, Rostropovich e Karajan e dello splendido Concerto di Brahms con Klemperer.
Vengono ora ad arricchire la discografia compact di Oistrakh queste incisioni Melodija riversate in Giappone e in Francia. La Chant du Monde propone addirittura una «Edition David Oistrakh» che in parte riprende edizioni già note, in parte accresce il repertorio discografico del grande violinista con registrazioni inedite effettuate in concerto. Le iniziative editoriali parallele comportano qualche doppione. Le due esecuzioni del Concerto di Kachaturian diretto dall'autore sono probabilmente quella stessa del 3 agosto 1965, nonostante il disco Chant du Monde risulti più brillante e rechi la datazione «1970 circa». Lo stesso discorso vale per il secondo Concerto di Shostakovich registrato il 2 febbraio 1965 ma postdatato dalla Chant du Monde al 1967, mentre la datazione coincide perfettamente nel caso del Concerto e delle Humoresques di Sibelius registrate con Rozhdestwensky il 12 luglio 1965 al Conservatorio di Mosca. Molto interessante invece un confronto fra due diverse esecuzioni del Concerto op. 35 di Ciaikovsky e riprese dal vivo, una non datata con Kondrashin e la Filarmonica di Mosca, l'altra con Rozhdestvensky e la Radio dell'URSS attribuita al 1968.
In tutte queste incisioni, al di là delle differenze tecniche e dell'apporto di direttori diversi, è possibile notare il livello altissimo pressoché costante del violinista, la sua comunicativa straripante, la straordinaria tenuta tecnica e nel contempo il rifiuto di ogni atteggiamento esibizionistico.
Solo per comodità si può cominciare il viaggio dal Concerto di Ciaikovsky. Siamo spesso abituati ad ascoltarne esecuzioni così liquorose e sovraeccitate, estroverse e impudiche, che queste di Oistrakh possono perfino dare l'impressione di un'eccessiva prudenza. Ma la sua lezione di rigore e di autenticità consiste proprio nella volontà di non lasciarsi travolgere dal sentimentalismo, nel saper restituire tutta la tenerezza originaria e l'immediatezza popolaresca alla Canzonetta, nel riuscire a cantare anche le indiavolate precipitazioni virtuosistiche del Finale. Fra le due incisioni, ugualmente splendide per la parte solistica, accorderei forse una leggera preferenza a quella con Kondrashin, soprattutto per il bellissimo colore ombroso e autunnale dei timbri dell'orchestra. Altro indiscutibile cavallo di battaglia di Oistrakh fu il Concerto per violino di Sibelius, immortalato in almeno tre incisioni di livello storico, nel 1954 con Sixten Ehrling per la EMI, nel 1955 con Eugene Ormandy per la CBS e nel 1965 con Gennadi Rozhdestvensky per la Melodija. Quest'ultima riversata in compact insieme alle due Humoresques op. 87 è probabilmente la migliore delle tre. Qui la perfezione tecnica dei dettagli e la tensione lirica dell'esecuzione di Oistrakh trovano solo un paragone nelle edizioni altrettanto famose di Jascha Heifetz. Ma mentre questi impostava la sua visione del lavoro in una dimensione di virtuosismo trascendentale, tanto più avvincente perché spavaldamente esibito, Oistrakh anche nella cavalcata travolgente del Finale rinuncia a ogni estroversione tecnicistica per proporre il clima intimo e introverso di un romanticismo nordico. Nel risultato perfetto di questa interpretazione si deve però tenere conto anche della magnifica direzione di Rozhdestvensky evocativa di paesaggi naturali incontaminati, di cieli brumosi, di lande boscose disabitate, insomma della cornice ideale del mondo poetico di Sibelius. Allo stesso modo le due Humoresques costituiscono esempi eloquenti della capacità di Oistrakh di assoggettare lo sfoggio di bravura alle ragioni espressive del compositore e rinnovano la straordinaria sintonia del suo violino con l'orchestra di Rozhdestvensky. Un discorso a parte merita il Concerto in mi minore di Mendelssohn, forse la sola incisione del gruppo nella quale l'arte di Oistrakh non riesce a competere con le interpretazioni di riferimento che indicherei nei dischi di Menuhin, di Heifetz, di Milstein e di Perlmann. Questa registrazione con Kyrill Kondrashin è probabilmente quella del 1949 già diffusa in un microsolco Melodija siglato 012959. Il Concerto di Mendelssohn non fu mai fra i pezzi favoriti del repertorio di Oistrakh che ne registrò solo un'altra versione per la Columbia con Eugene Ormandy a Filadelfia nel 1955. Certo anche in questo caso siamo di fronte a una splendida esecuzione, ammirevole per dominio tecnico e intelligenza stilistica. A Oistrakh manca però la chiave di quell'intimismo struggente e inquieto che anima ogni battuta del Concerto. La sua dizione tranquilla e misurata, fondamentalmente legata ai principi del classicismo, non riesce a tradurre interamente l'eccitazione fantastica e aerea del capolavoro di Mendelssohn. Perfino il suo suono intenso, caldo e corposo finisce per diventare un ostacolo alla riuscita totale. Passando invece ai musicisti del nostro secolo ci si accorge subito di come le sue interpretazioni diventino acute e chiarificatrici. Addirittura insostituibile il disco con Bartók e Hindemith. Nessun altro violinista ha avuto come Oistrakh il respiro naturale della musica di Bartók, testimoniato anche dalle celebri incisioni della Prima Sonata con Sviatoslav Richter e dalle raccolte delle Danze popolari con Vladimir Yampolsky. Lo stesso discorso vale per il Concerto di Hindemith, ricondotto alla matrice dell'Ottocento tedesco di Brahms e di Reger nella severità di uno spessore di suono senza possibili confronti. Scontato anche l'esito di fronte a Shostakovich. Del Primo Concerto op. 99 esistono ben tre versioni, questa con Mravinsky del 1956, una con Mitropoulos e l'ultima con Maxim Shostakovich del 1974 mentre del secondo conosco solo quella registrata a Mosca nel 1965 con Kondrashin. In tutti i casi le scelte interpretative del violinista nascono dai suoi legami profondi con il compositore. Si può quindi parlare a buon diritto di edizioni storiche, fedelissime alle indicazioni e alla poetica di Shostakovich. Qui il virtuosismo trasfigurato di Oistrakh offre dimostrazioni fra le più alte e perfette che si conoscano nella storia del disco del personalissimo neoclassicismo slavo del musicista, senza forzature e sovraimpressioni personali, con intima adesione totale a un mondo e a uno stile. I Concerti di Kachaturian e di Kabalevski sono la dimostrazione malinconica di un'artigianato caro al regime e totalmente asservito alla ragion di stato. Ma pur trovandoli ugualmente detestabili, vuoti e inutili, non si può far a meno di ammirare l'impegno generoso e il fascino inarrivabile delle esecuzioni di Oistrakh. In certi passaggi si ha perfino la sensazione che la banalità greve e prosaica del realismo socialista lasci spazio, grazie ai suggerimenti geniali dell'interprete, a insospettabili raffinatezze espressive. La presenza dei due compositori sul podio contribuisce poi a rendere pressoché definitive le versioni in questione. C'è ben poco da aggiungere. Siamo in presenza di un gruppo di registrazioni davvero storiche e indispensabili per lo studio dell'arte violinistica del Novecento, documenti di una personalità interpretativa e umana con pochissimi termini di confronto. Davanti a risultati di questo tipo sono perfino disposto a dimenticare i limiti tecnici di matrici invecchiate e qualche volta di stampaggi non sufficientemente accurati.

Giuseppe Rossi


Un paio di edizioni retrospettive, storiche si dice in discografia, si occupano delle incisioni di uno dei più grandi violinisti di tutti i tempi, il russo David Oistrakh: l'una, francese, con un paio di dischi, l'altra, giapponese (in coproduzione con la russa Melodija), con quattro dischi, ci presentano alcune incisioni, live per lo più, effettuate in epoche diverse dal grande violinista accanto a Sviatoslav Richter e a Frida Bauer (scritta Bower nel disco giapponese!). Altri dischi di ambedue le case si occupano di incisioni con orchestra, e non ce ne occuperemo qui.
Se scorriamo la discografia, vastissima, di Oistrakh, vediamo che si è svolta attraverso alcuni periodi ben differenziati, specie per quanto riguarda le collaborazioni pianistiche. All'inizio vi sono incisioni di pezzi sparsi, più che di sonate, con pianisti russi per lo più ignoti. Con l'avvento del microsolco, sono gli anni cinquanta, Oistrakh incide molte sonate e pezzi vari con due grandi pianisti, Oborine e Yampolsky, tra cui, per limitarsi alle opere di questa rassegna, la Terza Sonata di Brahms (Yampolsky), la Prima di Prokofiev (idem), il Duo di Schubert (idem), il Trillo del diavolo di Tartini (idem), e la Sonata di Franck (sia con Yampolsky che con Oborine): incisioni fatte sia per la casa sovietica, sia per la Columbia, sia per la RCA. Negli anni sessanta Oistrakh collaborò per due o tre anni con Frida Bauer: con lei registrò la Prima Sonata di Prokofiev (sua seconda incisione, quindi), il Duo di Schubert, e le opere che troviamo qui.
Del periodo 1968 - '72 sono poi le ultime incisioni sonatistiche di Oistrakh, effettuate con Richter (le abbiamo tutte qui) e con Badura-Skoda (Mozart).
Non senza aver espresso un inevitabile rammarico per il fatto di non disporre, ormai scomparse da tempo, quelle antiche incisioni degli anni cinquanta, procediamo cronologicamente nell'esame di questo non completo ma abbastanza articolato programma apparso su compact da ben due parti. L'arte suprema, la superiore tecnica, la sonorità personalissima di Oistrakh sono al loro meglio nelle sonate di Tartini, che egli esegue, con la Bauer, in versioni "moderne" (Kreisler o chi per lui). Questo disco è completato dalla Prima Sonata di Brahms, che troviamo, nella stessa esecuzione, del 1966, anche nel disco Le Chant du Monde dedicato a Brahms. Curiosamente, la data è sbagliata in ambedue le edizioni. Si tratta, di una splendida, intimissima esecuzione, che ci dice abbastanza del valore pianistico e musicale della Bauer, e che non sfigura affatto accanto alle altre due sonate, eseguite con Richter.
Le sei opere eseguite appunto col grande pianista risalgono a tre concerti pubblici tenuti a Mosca nel periodo 1968 - '72: erano reperibili su disco in varie etichette (la EMI per lo più, da noi), ma solo qui sul compact si apprezza il miracolo compiuto ogni volta da un mago della registrazione, Igor Veprintsev della Melodija. Il suono di questi remastering giapponesi, come pure quello del disco Brahms della casa francese, non ha proprio nulla a che vedere con quello dei dischi su cui queste opere erano reperibili finora. Per quanto concerne le esecuzioni, sia le due sonate brahmsiane, sia la Sonata di Franck e le tre sonate moderne, si possono considerare tra le versioni di riferimento della discografia di queste opere. Il fatto che si tratti di esecuzioni in pubblico conferisce loro quell'elettricità, quel trasporto, quella gestualità oratoria che di rado si ottengono in studio. Amo in particolare l'interpretazione della Sonata di Franck, così autorevole e affascinante; ma che dire di Prokofiev, di Bartok, di Shostakovich? Personalmente non ho mai udito esecuzioni più coinvolgenti, così persuasive, così trascinanti nella loro emotività. È, quella di Oistrakh e Richter, una concezione del tutto espressiva, di chiara derivazione romantica, di questi lavori che al loro apparire suonarono ardite e provocatorie: si pensa che la loro interpretazione non possa essere che così. Non dimentichiamo del resto che la Sonata di Prokofiev è dedicata ad Oistrakh, e fu da lui eseguita, con Oborine, già nel 1946; e quella di Shostakovich fu scritta proprio per il duo Oistrakh-Richter.
Trovo ottima l'idea della casa francese di riunire in unico disco le tre sonate brahmsiane. Alla Chant du Monde va dato atto inoltre della preziosa proposta di un importante inedito: l'intero concerto, bis compresi, tenuto da Oistrakh e Richter a Parigi il 4 dicembre 1968, tre settimane prima del recital moscovita, comprendente le stesse sonate, di Brahms (3ª) e di Franck. Inutile aggiungere che l'Adagio dalla Sonata op. 30 n.1 di Beethoven e lo Scherzo di Brahms, eseguiti fuori programma, sono della stessa levatura tecnica ed emotiva. Credo manchi poco, a questo punto, per estendere la panoramica sul repertorio sonatistico di Oistrakh, che conta anche, non dimentichiamo, l'integrale beethoveniana con Oborine (Philips): attendiamo, inediti provvidenziali a parte, le sonate mozartiane con Badura-Skoda, e alcune sonate moderne (Debussy, Ravel, Janacek) con la Bauer. Per non dire, come abbiamo accennato, delle vecchie incisioni con Oborine e Yampolsky.

Riccardo Risaliti


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