tragedia
pastorale di tre atti (1904)
ALLA TERRA D'ABRUZZI
ALLA MIA MADRE ALLE
MIE SORELLE
AL MIO FRATELLO
ESULE AL MIO PADRE SEPOLTO
A TUTTI I MIEI MORTI
A TUTTA LA MIA GENTE
FRA LA MONTAGNA E IL
MARE
QUESTO CANTO
DELL'ANTICO SANGUE
CONSACRO
Le persone della
tragedia
Lazaro di Roio
Candia della
Leonessa
Aligi
Splendore - Favetta
- Ornella
Maria di Giave -
Vienda
Teòdula di Cinzio
La Cinerella -
Mònica della Cogna
Anna di Bova -
Felàvia Sèsara
La Catalana delle
Tre Bisacce
Maria Cora
Mila di Codra
Femo di Nerfa
Ienne dell'Eta
Iona di Midia
La vecchia dell'erbe
Il cavatesori
Il santo dei monti
L'indemoniato
Un pastore - un
altro pastore
Un mietitore - un
altro mietitore
La turba
Il coro delle
parenti
Il coro dei
mietitori
Il coro delle
lamentatrici
Nella terra d'Abruzzi,
or è molt'anni.
ATTO PRIMO
Si vedrà una
stanza di terreno in una casa rustica. La porta grande sarà
aperta su l'aia assolata; e vi sarà tesa una banda di lana
scarlatta per traverso, a impedimento del passo, e alla banda
saranno poggiati un bidente e una conocchia; e presso un degli
stipiti penderà una croce di cera, contro i malefizii. Un uscio
chiuso, con l'architrave adornato di mortella, sarà nella parete
a man dritta; e lungh'essa la parete saranno tre arche di legname.
A manca, nella grossezza del muro, sarà un camino con la sua
cappa molto prominente; e, poco più in là, un usciuolo; e,
quivi presso, un telaio. E vi saranno nella stanza varii utensili
e suppellettili, ai loro luoghi, come stipi, scancìe, trespoli,
aspi, fusi, matasse di canapa e di lana appese a una cordella
tirata fra due chiodi, mortai, boccali, scodelle, alberelli e
fiasche fatti di zucche votate e secche. E vi sarà una madia
vecchissima che porterà scolpita l'imagine di Nostra Donna; e vi
sarà l'orcio dell'acqua, e il desco. Al soffitto sarà sospesa
con funi una lunga tavola carica di caci. Due finestrette
inferriate, alte dal terreno quattro o cinque braccia, faranno
lume ai lati della porta grande; e ciascuna avrà la sua spiga di
meliga rossa, contro i malefizii.
Scena prima
Splendore,
Favetta e Ornella, le tre sorelle, saranno in ginocchio davanti
alle tre arche del corredo nuziale, chine a scegliere le
vestimenta per la sposa. La loro fresca parlatura sarà quasi
gara di canzoni a mattutino.
SPLENDORE:
Che vuoi tu, Vienda nostra?
FAVETTA:
Che vuoi tu, cognata cara?
SPLENDORE:
Vuoi la veste tua di lana?
o
vuoi tu quella di seta
a
fioretti rossi e gialli?
ORNELLA (cantando):
Tutta di verde mi voglio vestire,
tutta di verde per
Santo Giovanni,
ché in mezzo al
verde mi venne a fedire...
Oilì, oilì, oilà!
SPLENDORE:
Ecco il busto dei belli ricami
con la sua
pettorina d'argento,
la gonnella di
dodici téli,
la collana di cento
coralli
che ti diede la
madre tua nova.
ORNELLA (cantando):
Tutta di verde la camera e i panni.
Oilì, oilì, oilà!
FAVETTA:
Che vuoi tu, Vienda nostra?
SPLENDORE:
Che vuoi tu, cognata cara?
ORNELLA: I
pendenti e la collana
e il nastrino
chermisì.
Ora suona la
campana,
la campana di
mezzodì.
SPLENDORE:
Ora viene il parentado
a portarti le
canestre,
le canestre di
grano trimestre;
e tu, ecco, non sei
pronta!
ORNELLA:
Tonta e pitonta,
la pecora pel monte
il lupo per la
piana
va cercando l'avellana,
l'avellana
pistacchina:
questa sposa è
mattutina,
mattutina come la
talpa
che si leva all'alba
all'alba,
come il ghiro e il
tasso cane.
Senti senti la
campana!
(Ella
dirà la cantilena rapidamente; poi romperà in un gran riso e le
altre rideranno con lei).
LE TRE SORELLE:
Oh Aligi, Aligi, e tu?
SPLENDORE:
Di velluto ti vestirai?
FAVETTA:
Vuoi dormir settecent'anni
con la bella
sonnacchiosa?
SPLENDORE:
Il tuo padre è a mietitura,
fratel caro; e la
stella diana
s'è mirata nella
falce,
nella falce che non
riposa.
FAVETTA: E
la tua madre ha messo la sapa
nel vino, e l'ànace
nell'acqua,
e il garofalo nella
carne,
e nel cacio il timo
trito.
SPLENDORE:
E una pecora abbiamo uccisa,
una pecora grassa d'un
anno
che avea capo
pezzato di nero,
per la moglie e pel
marito.
FAVETTA: E
la scapola mancina
per Ustorgio l'abbiamo
serbata,
per il vecchio
della Fara
che ci fa la
profezia.
ORNELLA: E
domani è San Giovanni,
fratel caro; è San
Giovanni.
Su la Plaia me ne
vo' gire,
per vedere il capo
mozzo
dentro il sole, all'apparire,
per veder nel piatto d'oro
tutto il sangue
ribollire.
FAVETTA:
Su, Vienda! Su, capo d'oro!
Guardatura di vinca
pervinca!
Or si falcia alla
campagna
quella spiga che ti
somiglia.
SPLENDORE:
La madre ci disse: Andate.
Tre olive avevo con
meco.
Or m'ho anche una
susina.
Ho tre figlie ed
una figlia.
ORNELLA:
Su, Vienda, chiara susina!
Che t'indugi?
Scrivi al sole
una lettera
turchina
perché oggi non si
colchi?
(Riderà, e le
sue sorelle con lei rideranno).
Scena seconda
Dall'usciuolo
entrerà la madre loro, Candia della Leonessa.
CANDIA DELLA
LEONESSA: Ah cicale, mie cicale,
una a furia di
cantare
è scoppiata in
cima al pioppo.
Or non cantano più
i galli
a destar chi dorme
troppo.
Ora cantan le
cicale,
tre cicale di
mezzogiorno,
che m'han preso un
uscio chiuso
per un albero di
fronda!
Ma la nuora non
ascolta.
Oh Aligi, Aligi
figlio!
(L'uscio
si aprirà. E apparirà lo sposo imberbe; che darà il suo saluto
con voce grave ed occhi fissi, religiosamente).
ALIGI:
Laudato Gesù e Maria!
E voi, madre che mi
déste
questa carne
battezzata,
benedetta siate,
madre.
Benedette voi,
sorelle,
fiore del sangue
mio.
Per voi, per me, la
croce mi faccio
in mezzo al viso
dove non passi
il falso nemico né
morto né vivo,
né fuoco né
fiamma,
né veleno né
fattura;
né malo sudore lo
bagni né pianto.
Padre, Figliuolo e
Spirito Santo!
(Le
sorelle si segneranno e passeranno la soglia recando le
vestimenta. Aligi si appresserà alla madre, come trasognato).
CANDIA:
Carne mia viva, ti tocco la fronte
con questo pane di
pura farina
intriso nella madia
che ha cent'anni
nata prima di te,
prima di me
spianato sopra l'asse
che ha cent'anni
da queste mani che
t'hanno tenuto.
Io ti tocco la
fronte che sia chiara,
ti tocco il petto
che sia senz'affanni,
e questa spalla ti
tocco e quest'altra
che ti reggan le
braccia alla fatica
e la tua donna vi
posi la gota.
E che Cristo ti
parli e che tu l'oda!
(Con
un panello la madre farà il segno della croce sul figlio che
sarà caduto in ginocchio dinanzi a lei).
ALIGI: Io
mi colcai e Cristo mi sognai.
Cristo mi disse:
Non aver paura.
San Giovanni mi
disse: Sta sicuro.
Senza candela tu
non morirai.
Disse: Non
morirai di mala morte.
E voi data m'avete
la mia sorte,
madre; la sposa voi
l'avete scelta
pel vostro figlio
nella vostra casa.
Madre, voi me l'avete
accompagnata
perché dorma con
me sopra il guanciale,
perché mangi con
me nella scodella.
Io pascevo la
mandra alla montagna,
alla montagna debbo
ritornare.
(La madre gli
toccherà la fronte con la palma, come per cacciarne un'ombra
funesta).
CANDIA:
Àlzati, figlio. Come strano parli!
La tua parola
cangia di colore,
come quando l'ulivo
è sotto il vento.
(Il figlio s'alzerà,
smarrito).
ALIGI: E
il mio padre dov'è, che non lo veggo?
CANDIA: A
mietitura con la compagnia,
a far mannelle, in
grazia del Signore.
ALIGI: Io
ho mietuto all'ombra del suo corpo
prima ch'io fossi
cresimato in fronte,
quando il mio capo
al fianco gli giungeva.
La prima volta mi
tagliai la vena
qui dov'è il segno.
Con le foglie trite
fu ristagnato il
sangue che colava.
Figlio
Aligi mi disse figlio Aligi,
lascia la falce e
prenditi la mazza;
fatti pastore e va
su la montagna.
E fu guardato il
suo comandamento.
CANDIA:
Figlio, qual è la pena che t'accora?
Il sogno incubo
forse ti fu sopra?
La tua parola è
come quando annotta
e sul ciglio del
fosso uno si siede
e non segue la via
perché conosce
che arrivare non
può dov'è il suo cuore,
quando annotta e l'avemaria
non s'ode.
ALIGI:
Alla montagna debbo ritornare.
Madre, dov'è la
mazza del pastore,
che giorno e notte
sa le vie dell'erba?
Io l'abbia, quando
viene il parentado,
che la veda com'io
la lavorai.
(La madre andrà
a prendere la mazza poggiata in un canto, presso il focolare).
CANDIA:
Eccola, figlio. Guarda. Le sorelle
per San Giovanni te
l'hanno fiorita
di garofali rossi e
spicanardi.
ALIGI (mostrando
l'intaglio): Io nel legno del sànguine le ho meco
sempre, e per mano,
le mie tre sorelle,
che m'accompagnan
su le vie dell'erba.
Guardate, madre,
son tre verginelle,
e tre angeli volano
su loro,
e tre stelle comete
e tre colombe,
e per ciascuna ho
fatto anche un fioretto,
e questo è il sole
con la mezzaluna,
questo è il
pianeta, e questo è il Sacramento,
e questo è il
campanile di San Biagio,
e questo è il
fiume e questa è la mia casa.
Ma chi è questa
che sta su la porta?
CANDIA:
Aligi, Aligi, perché vuoi ch'io pianga?
ALIGI: E
quaggiù, verso il ferro ch'entra in terra,
e quaggiù son le
pecore e il pastore,
le pecore il
pastore e la montagna.
E alla montagna
debbo ritornare,
anche se piangi,
anche se piango, madre.
(Egli si
appoggerà alla mazza con ambe le mani, e chinerà il capo
assorto).
CANDIA: Ma
la Speranza dove l'hai tu messa?
ALIGI: La
faccia sua non la potei 'mparare
per lavorarla,
madre, in verità.
(Si udrà
lontano un clamore selvaggio).
Madre, e chi è che
grida così forte?
CANDIA: I
mietitori fanno l'incanata.
Dalla pazzia del
sole Iddio li scampi,
figlio, e dal
sangue li guardi il Battista!
ALIGI: E
chi mai tese quella fascia rossa
a traverso la porta
della casa
e vi pose il
bidente e la conocchia?
Perché non entri
la cosa malvagia,
ah, ponete l'aratro
e il carro e i buoi
contro la soglia, e
le pietre e le zolle,
e la calce di tutte
le fornaci,
il macigno con l'orma
di Sansone,
la Maiella con
tutta la sua neve!
CANDIA:
Figlio, che nasce nell'anima tua?
Cristo ti disse:
Non aver paura.
Sei desto? Guarda
la croce di cera:
fu benedetta il
giorno dell'Ascensa.
Su i càrdini fu
sparsa l'acqua santa.
La cosa trista qui
non entrerà.
Le tue sorelle han
tesa la cintura,
quella cintura che
da te fu vinta
prima che tu
pastore ti facessi,
vinta alla gara del
solco diritto;
te ne ricordi,
figlio? Tesa l'hanno
pel parentado che
deve passare,
che per passare
doni a piacimento.
Perché domandi, se
tu sai l'usanza?
ALIGI:
Madre, madre, dormii settecent'anni,
settecent'anni; e
vengo di lontano.
Non mi ricordo più
della mia culla.
CANDIA:
Figlio, che hai? Tu parli per farnetico?
Vin negro ti versò
la sposa tua
forse, e a digiuno
te lo tracannasti,
sicché tratto tu
sei di sentimento?
O Vergine Maria,
datemi grazia!
LA VOCE DI
ORNELLA (dalla camera nuziale): Tutta di verde
mi voglio vestire,
tutta di verde per
Santo Giovanni,
ché in mezzo al
verde mi venne a fedire...
Oilì, oilì, oilà!
Scena terza
(Si udrà
lontano un clamore selvaggio).
Madre, e chi è che
grida così forte?
CANDIA: I
mietitori fanno l'incanata.
Dalla pazzia del
sole Iddio li scampi,
figlio, e dal
sangue li guardi il Battista!
ALIGI: E
chi mai tese quella fascia rossa
a traverso la porta
della casa
e vi pose il
bidente e la conocchia?
Perché non entri
la cosa malvagia,
ah, ponete l'aratro
e il carro e i buoi
contro la soglia, e
le pietre e le zolle,
e la calce di tutte
le fornaci,
il macigno con l'orma
di Sansone,
la Maiella con
tutta la sua neve!
CANDIA:
Figlio, che nasce nell'anima tua?
Cristo ti disse:
Non aver paura.
Sei desto? Guarda
la croce di cera:
fu benedetta il
giorno dell'Ascensa.
Su i càrdini fu
sparsa l'acqua santa.
La cosa trista qui
non entrerà.
Le tue sorelle han
tesa la cintura,
quella cintura che
da te fu vinta
prima che tu
pastore ti facessi,
vinta alla gara del
solco diritto;
te ne ricordi,
figlio? Tesa l'hanno
pel parentado che
deve passare,
che per passare
doni a piacimento.
Perché domandi, se
tu sai l'usanza?
ALIGI:
Madre, madre, dormii settecent'anni,
settecent'anni; e
vengo di lontano.
Non mi ricordo più
della mia culla.
CANDIA:
Figlio, che hai? Tu parli per farnetico?
Vin negro ti versò
la sposa tua
forse, e a digiuno
te lo tracannasti,
sicché tratto tu
sei di sentimento?
O Vergine Maria,
datemi grazia!
LA VOCE DI
ORNELLA (dalla camera nuziale): Tutta di verde
mi voglio vestire,
tutta di verde per
Santo Giovanni,
ché in mezzo al
verde mi venne a fedire...
Oilì, oilì, oilà!
Scena terza
La sposa
apparirà su la soglia, vestita di verde, sospinta dalle tre
cognate.
SPLENDORE:
Ecco la sposa. L'abbiamo vestita
con l'allegrezze
della primavera.
FAVETTA: L'oro
e l'argento nella pettorina,
ma nel resto color
d'erba serena.
ORNELLA:
Voi prendetela nelle vostre braccia,
o cara madre, e voi
la consolate!
SPLENDORE:
Su la proda del letto a lacrimare
noi la trovammo, a
piangere di pianto
pel pensiere di
quella che è deserta.
ORNELLA:
Pel vaso di garofali che soffre
sul davanzale ov'ella
non s'affaccia.
Voi prendetela
nelle vostre braccia!
CANDIA:
Nuora, nuora, segnai con questo pane
il sangue mio; ed
ecco, ora lo spezzo,
lo spezzo sul tuo
capo rilucente.
Fa crescere la casa
d'abondanza,
come il lièvito
buono che ogni volta
fa traboccar la
pasta dalla madia.
Portami pace e non
portarmi guerra.
LE TRE SORELLE:
Così sia, madre. Baciamo la terra.
(Si
chineranno, toccheranno la terra con la destra, e questa
recheranno alle labbra. Aligi sarà prostrato come chi prega, in
disparte).
CANDIA: O
nuora mia, per la tua casa nova
sii come per il
fuso il fusaiuolo,
come per la matassa
l'arcolaio,
come per il telaio
la navicella.
LE TRE SORELLE:
Così sia, madre. Baciamo la terra.
CANDIA:
Nuora Vienda, per l'anima tua,
ecco, io ti metto
in mezzo al pane mondo.
Le mura della casa,
i quattro canti
- là il sole in
Dio si leva e là si colca,
quello è bacio e
quello è solatìo -,
il colmigno e la
gronda col suo nido,
gli alari e le
catene del camino
chiamo, e il
mortaio che pesta il sale bianco
e l'alberello che
lo custodisce,
o nuora, chiamo a
testimonianza:
come t'ho messa in
mezzo al pane mondo
così ti metto in
mezzo al core mio,
per questa vita e
per la vita eterna.
LE TRE SORELLE:
Così sia, madre. Baciamo la terra.
(La
nuora chinerà il volto lacrimoso sul petto della suocera che la
cingerà con ambe le braccia tenendo tuttavia nell'una mano e
nell'altra le due parti del pane. Si udranno le grida dei
mietitori. Aligi trasalterà, e andrà verso la porta. Le sorelle
accorreranno).
FAVETTA: I
mietitori il gran sole gli impazza,
e come cani
abbaiano a chi passa.
SPLENDORE:
I mietitori fanno l'incanata.
Nel vino rosso mai
non metton acqua.
ORNELLA: E
per ogni mannella una sorsata,
e il piede della
bica è la caraffa.
FAVETTA:
Gesù Signore, che vampa d'inferno!
Comare Serpe si
morde la coda.
ORNELLA:
Ahi mercé, spiga spiga, paglia paglia,
la falce pria v'abbrucia
e poi vi taglia.
SPLENDORE:
Ahi mercé, padre, per le braccia tue
che son piene di
vene alla bisogna.
ORNELLA: O
Aligi, Aligi, annuvolato sposo,
il sonno nelle nari
t'è rimaso.
FAVETTA:
Tu la sai bene la canzon rovescia.
Il tuo pan tu l'hai
messo nella fiasca
ed il tuo vino
dentro la bisaccia.
SPLENDORE:
Ecco le donne! Ecco le donne! Vengono.
Su, su, Vienda.
Asciùgati le lacrime.
Madre, che fate?
Vengono. Scioglietela.
Su, capo d'oro.
Asciùgati le lacrime,
ché troppo hai
pianto e i belli occhi ti soffrono.
(Vienda
s'asciugherà il volto col grembiale. Poi nel grembiale, preso
per le cocche, riceverà dalla suocera il pane spezzato).
CANDIA: In
sangue e latte me lo devi rendere!
Ora, su, vieni.
Siediti sul trespolo.
Oh Aligi, e tu
anche. Vieni. Svégliati.
L'una di qua, l'altro
di là. Sedetevi
qui, figli, all'uscio
della vostra camera,
che bene aperto sia,
ché s'ha da scorgere
il letto grande,
grande che per empiere
il sacco, dico, io
ebbi a manomettere
tutto un pagliaio e
ci rimase l'anima,
lo stollo nudo con
in vetta il péntolo.
(Ella e Splendore porranno due trespoletti contro gli stipiti, e sópravi faranno sedere gli sposi, che composti e immobili si guarderanno. Ornella e Favetta spieranno dalla soglia della porta esterna, al
sole
ardente).
FAVETTA:
Ecco, vengono su per la viottola,
tutte in fila:
Teòdula di Cinzio,
la Cinerella,
Mònica, Felàvia,
la Catalana delle
Tre Bisacce,
Anna di Bova, Maria
Cora... E l'ultima?
CANDIA:
Vieni, Splendore, aiutami a distendere
meglio la coltre;
che di seta doppia
io te l'ho fatta,
nuora cara, e vérzica
come un pratello d'erba
vetturina
dove tu sei la
pecchia mattutina.
(Entrerà con
Splendore nella camera nuziale).
ORNELLA:
Non t'apponi, Vienda? Chi è l'ultima?
Nella canestra ha
oro di calbigia,
oro che brilla. Chi
può esser mai?
Sotto la spara la
sua tempia è grigia
come le piume che
fa la vitalba.
FAVETTA:
La tua vecchia, Vienda, la tua vecchia!
(Vienda
si leverà, tratta dal balzo del cuore, come per correre in
contro; ma nel movimento si lascerà sfuggire dal grembiale il
pane spezzato. S'arresterà, sbigottita. Si udranno, di dentro, i
colpi dati con la mano aperta a sprimacciare le materasse).
ORNELLA (con
la voce soffocata): Ah! Libera nos, Domine! Raccatta,
raccatta e bacia,
che mamma non veda.
(Vienda,
come impietrita dal terrore superstizioso, non si chinerà a
raccogliere ma guaterà con occhi sgomenti i due pezzi del pane
caduti a terra. Aligi, levatosi, occuperà il vano dell'uscio
come per impedire la vista alla madre).
FAVETTA:
Raccatta e bacia, ché l'Angelo piange.
Fa un vóto muto,
il più grande che puoi.
Chiama San Sisto,
se vedi la morte.
(S'udranno i
colpi delle sprimacciate. Verranno sul vento, di men lungi, le
grida dei mietitori).
ORNELLA:
San Sisto, San Sisto,
lo spirito tristo
e la mala morte,
di giorno e di
notte,
tu caccia da questa
tu caccia da noi;
tu strappa e
calpesta
ogni occhio che
nuoce.
Qui faccio la croce.
(Mormorando lo scongiuro, ella raccatterà rapidamente i due pezzi del pane, li premerà l'un dopo l'altro su la bocca della cognata, poi li riporrà nel grembiale, col pollice vi farà il segno. E trarrà gli
sposi
a risedére, mentre la prima delle donne con l'offerta
frumentaria apparirà nel vano della porta soffermandosi dinanzi
alla cintura tesa).
Scena quarta
Le donne
porteranno sul capo una canestra di grano adorna di nastri
variati e sul grano un pane e fitto nel pane un fiore. Ornella e
Favetta prenderanno le estremità della banda vermiglia, cui
rimarran poggiati il bidente forbito e la conocchia col
pennecchio; e le terranno in pugno a precludere il passo.
TEÒDULA DI
CINZIO: Ohé, chi guarda il ponte?
FAVETTA E
ORNELLA: Amore e Ciecamore.
TEÒDULA:
Io passare lo voglio.
FAVETTA:
Voler non è valore.
TEÒDULA:
Ho pur passato il monte,
ho pur passato il
piano.
ORNELLA:
La piena ha rotto il ponte,
il fiume va lontano.
TEÒDULA:
Passami con la barca.
FAVETTA:
La barca mi fa acqua.
TEÒDULA:
Ti do io stoppa e pece.
ORNELLA:
La barca ha sette falle.
TEÒDULA:
Ti do sette tornesi.
Passami con le
spalle.
FAVETTA:
No, no, non mi conviene.
E dell'acqua ho
pavento.
TEÒDULA:
Passami con le schiene.
Ti do un tarì d'argento.
ORNELLA:
È poco: otto baiocchi.
Non basta pel
ristoro.
TEÒDULA:
Su, nùdati i ginocchi.
Ti do un ducato d'oro.
(La
donna darà una moneta a Ornella, che la riceverà nella palma
sinistra, mentre le altre portatrici di canestre sopraggiunte si
aduneranno sul limitare. I due sposi resteranno seduti su i
trespoli aspettando in silenzio. Candia e Splendore esciranno
dalla stanza nuziale).
ORNELLA E
FAVETTA: Passate, Signoria,
con vostra
compagnia.
(Ornella
riporrà in seno il tributo e toglierà la conocchia. Favetta
toglierà il bidente, poggiando contro gli stipiti i due emblemi
rurali. Ornella trarrà verso di sé la cintura che, agitata,
serpeggerà nell'aria come un vessilletto. Le donatrici
entreranno l'una dopo l'altra, in fila, con le canestre sul capo).
TEÒDULA DI
CINZIO: Pace a te, Candia della Leonessa.
Pace al figlio di
Lazaro di Roio.
Pace alla sposa che
gli ha dato Cristo.
(Ella
deporrà la sua canestra ai piedi della sposa; prenderà un pugno
di grano e lo spargerà sul capo di lei; ne prenderà un altro
pugno e lo spargerà sul capo del giovine).
Questa è la pace
che vi manda il Cielo.
E che i capegli vi
si faccian bianchi
su l'istesso
guanciale, in gran vecchiezza!
E che tra voi non
sia colpa e vendetta,
non sia menzogna,
né cruccio né guasto,
dì per dì, sino
all'ora del trapasso!
(La
seguente ripeterà la cerimonia; le altre resteranno in fila
aspettando la lor volta, con le canestre sul capo. L'ultima, la
madre della sposa, starà ancóra presso la soglia, soffermata; e
col lembo del grembiale si asciugherà le gocce del sudore e del
pianto. Crescerà la sciarra dei mietitori e sembrerà
avvicinarsi. Vi si mescerà, or sì or no, il suono delle campane).
LA CINERELLA:
Questa è la pace e questa è l'abondanza.
(Scoppieranno d'improvviso
grida di donna nell'aia riarsa).
LA VOCE DELLA
SCONOSCIUTA: Aiuto, per Gesù Nostro Signore!
Gente di Dio, gente
di Dio, salvatemi!
Scena quinta
In corsa,
ansante di fatica e di spavento, coperta di polvere e di pruni,
simile alla preda di caccia inseguita dalla muta, una donna col
volto tutto nascosto dall'ammantatura entrerà per la porta
aperta e si ritrarrà in un canto, dalla parte avversa a quella
degli sposi, presso il focolare inviolato.
LA SCONOSCIUTA:
Gente di Dio, salvatemi voi!
La porta! Chiudete
la porta!
Mettete le spranghe!
Son molti,
hanno tutti la
falce. Son pazzi,
son pazzi di sole e
di vino,
di mala brama e di
vituperio.
Mi vogliono
prendere, me
creatura di Cristo,
me
sventurata che male
non feci.
Passavo. Ero sola
per via.
Allora le grida,
gli insulti,
le zolle scagliate,
la corsa...
Ah, son come cani
furenti.
Mi vogliono
prendere. Strazio
faranno di me
sventurata.
Mi cercano. Gente
di Dio,
salvatemi! La porta,
chiudete
la porta! Son pazzi.
Entreranno.
Di qui mi
strapperanno, dal vostro
focolare (Dio non
perdona),
dal focolare
benedetto
(Dio tutto perdona
e non questo).
Sono un'anima
battezzata.
Aiuto, per Santo
Giovanni,
per Maria dei Sette
Dolori,
per l'anima mia,
per l'anima vostra!
(Ella
starà sola presso il focolare. Tutte le altre donne saranno
adunate dalla parte avversa. Vienda sarà stretta al fianco della
sua madre, e da presso avrà la sua matrina Teòdula di Cinzio.
Aligi sarà in piedi, fuori dello stuolo donnesco; e guaterà
senza batter ciglio, poggiato alla sua mazza. Subitamente Ornella
si precipiterà alla porta, chiuderà le imposte, metterà la
spranga. Un mormorio inimichevole correrà nel parentado).
Ah, dimmi come ti
chiami,
ch'io possa lodare
il tuo nome
quando me n'andrò
per la terra,
tu che alla pietà
fosti la prima,
tu che sei la più
giovanetta!
(Affranta
ella si lascerà cadere su la pietra del focolare; e, tutta curva
in sé medesima, con il viso quasi tra le ginocchia, romperà in
singhiozzi. Ma le donne resteranno adunate, in guisa di greggia,
diffidenti. Soltanto Ornella farà un passo verso la sconosciuta).
ANNA DI BOVA
(a bassa voce): Chi è costei, santa Vergine?
MARIA CORA:
Or s'entra così nelle case
della gente di Dio
timorata?
MÒNICA DELLA
COGNA: E tu, e tu, Candia, che dici?
LA CINERELLA: Or
lascerai chiusa la porta?
ANNA DI BOVA:
All'ultima di tua figliuolanza
or passata è la
signoria?
LA CATALANA
DELLE TRE BISACCE: Ti reca la mala ventura
la cagna randagia,
per certo.
FELÀVIA
SÈSARA: Hai tu visto? Entrata è nel punto
che la Cinerella
spargeva
su Vienda il pugno
di grano,
né Aligi avuto ha
la sua parte.
(Ornella farà
un altro passo verso la dolente. Favetta escirà dallo stuolo e
la seguirà ).
MÒNICA: E
noi? come siam noi qui rimase
con in capo le
nostre canestre?
MARIA CORA:
Gran malaugurio sarebbe
se ora ce le
volessimo tôrre
del capo senza fare
l'offerta.
MARIA DI GIAVE
(stringendo la sposa): Figliuola mia, San Luca
ti guardi
e San Matteo con
Sant'Antonino!
Cércati lo
scapolare in seno,
digli tre ave e
tiènilo forte.
(Anche
Splendore escirà dallo stuolo e seguirà le sue sorelle. Le tre
giovanette staranno in piedi davanti alla sconosciuta che
resterà curva nell'ambascia).
ORNELLA:
Affannata sei, creatura.
Sei piena di
polvere, e tremi.
Non piangere più,
ché sei salva.
Di sete ardi e bevi
il tuo pianto!
Vuoi un sorso d'acqua
e di vino?
Ti vuoi rinfrescare
la faccia?
(Ella prenderà
un boccaletto, attingerà l'acqua dall'orcio, verserà il vino
dalla fiasca, mescendoli).
FAVETTA:
Sei di questo paese? o di dove?
Venivi di molto
lontano?
E dove andavi,
creatura,
tu sola così, per
la terra?
SPLENDORE:
Forse hai qualche male, meschina!
Hai fatto un vóto
di dolore.
Andavi forse all'Incoronata,
o a Santa Maria
della Potenza?
La Vergine ti
faccia la grazia!
(La donna
solleverà a poco a poco la faccia nascosta ancóra dall'ammantatura).
ORNELLA (offrendole
il ristoro): Bevi, creatura di Cristo.
(S'udrà
venire dall'aia uno scalpiccìo di piedi scalzi, e un vocìo
confuso. La straniera, ripresa dal terrore, non berrà ma poserà
il boccaletto su la pietra del focolare. Balzerà in piedi, e si
rifugerà di nuovo nel canto, con gran tremito).
LA SCONOSCIUTA:
Eccoli! Eccoli! Vengono. M'hanno
cercata. Mi
vogliono prendere.
Non parlate, non
rispondete,
per misericordia!
Crederanno
la casa deserta, e
se n'andranno
senza far male. Ma
se odono
parlare, se voi
rispondete,
se sanno per certo
ch'entrata
sono, forzeranno la
porta.
Son pazzi di sole e
di vino,
cani furenti. E qui
c'è un uomo;
ed essi son molti,
e hanno tutti
la falce... Per
misericordia!
Per queste
giovanette innocenti!
Per voi, serve di
Dio, donne sante!
IL CORO DEI
MIETITORI (davanti la porta): - La casa di
Lazaro! Certo
che qui è entrata
la femmina.
- Hanno chiusa la
porta, hanno chiusa.
- Cercate per
questi pagliai.
- Cerca là nel
fenile, Gonzelvo.
- Ah! Ah! Nella
casa di Lazaro,
nella gola del lupo!
Ah! Ah! Ah!
- O Candia della
Leonessa!
- Cristiani, ohé,
siete morti?
(Batteranno alla
porta).
- O Candia della
Leonessa,
ricetto tu dài a
bagasce?
- Or ti sei data a
fornire
di mala carne tu
stessa
il tuo uomo che se
ne sazia?
- Se c'è la
femmina, aprite,
cristiani, e datela
a noi
che la mettiam su
la bica.
- Menatela fuori,
menatela,
ché la vogliamo
conoscere.
- Alla bica! Alla
bica! Alla bica!
(Batteranno e
schiamazzeranno. Aligi si moverà, e andrà verso la porta).
LA SCONOSCIUTA
(implorando sommessa): Giovine, giovine, abbi pietà!
Abbi pietà! Non
aprire!
Non per me, non per
me, ma per tutte,
ché non
prenderanno me sola.
Imbestiati sono. Li
senti
alle voci? Il
demonio li tiene,
il demonio di
mezzodì,
la contagione dell'afa.
E, se entrano, tu
che farai?
(Un gran furore
agiterà le donne del parentado, ma elle si ratterranno).
LA CATALANA:
Or vedi a che siamo ridotte
noi gente di pace,
per una
che si nasconde la
faccia!
ANNA DI BOVA:
Apri, Aligi, apri la porta
per quanto ci passi
costei.
Afferrala e
cacciala fuori.
Poi richiudi e
spranga. E laudato
sia Gesù Nostro
Signore.
E sabato sia, per
le streghe.
(Il
pastore si volgerà all'ammantata, irresoluto. Ornella si
frapporrà e l'arresterà; farà il segno del silenzio, andrà
alla porta).
ORNELLA:
Chi è che batte alla porta?
IL CORO DEI
MIETITORI: - Silenzio! Silenzio! Silenzio!.
- Di dentro
qualcuno risponde.
- O Candia della
Leonessa,
sei tu che rispondi?
Apri! Apri!
- Siamo i mietitori
di Norca,
la compagnia di
Cataldo.
ORNELLA:
Non sono Candia. Candia ha faccenda.
Uscita è per tempo
stamane.
UNA VOCE:
E tu? tu allora chi sei?
ORNELLA:
Io sono di Lazaro, Ornella.
Il mio padre è
Lazaro di Roio.
Ma voi perché
siete venuti?
UNA VOCE:
Apri, ché vogliamo vedere.
ORNELLA:
Aprire non posso. La mia madre
m'ha chiusa, e col
parentado
uscita se n'è;
ché abbiamo
le sposalizie. Il
mio fratello
Aligi, il pastore,
ha tolto moglie,
ha tolto Vienda di
Giave.
UNA VOCE:
Non hai tu aperto a una femmina,
or è poco, che
aveva paura?
ORNELLA: A
una femmina? Andate con pace,
mietitori di Norca.
Cercate
altrove. Io mi
torno al telaio,
ché ogni mandata
di spola
perduta non più si
racquista.
Dio vi guardi dal
fare peccato,
mietitori di Norca;
e a voi doni
la forza di mietere
il campo
innanzi sera infino
alla proda,
a me poverella di
trarre
la penerata dai
licci.
(D'improvviso,
in alto, alla finestra inferriata, si vedranno due mani villose
afferrare le sbarre e la faccia bestiale di un mietitore apparire).
IL MIETITORE
(urlando): Capoccio, la femmina c'è!
È dentro, è
dentro! La zita
ci volea gabbare,
la zita.
La femmina c'è.
Ecco, è là,
là nel canto. La
vedo, la vedo.
E ci sono gli sposi,
ci sono,
e il parentado c'è
con le dònora,
c'è la raunanza
del grano.
Uh, capoccio,
quante pollanche!
IL CORO DEI
MIETITORI: - Se c'è la femmina, aprite,
ché vi fa vergogna
tenerla.
- Menatela fuori,
menatela,
ché le daremo la
sapa.
- Aprite, aprite,
su, e a noi datela.
- Dàtecela ché la
vogliamo.
- Alla bica! Alla
bica! Alla bica!
(Picchieranno
e schiamazzeranno. Dentro, le donne si agiteranno sbigottite. La
sconosciuta resterà laggiù nell'ombra, sembrerà che si sforzi
di seppellirsi nel muro).
IL CORO DELLE
PARENTI: - Aiutaci, Vergine santa!
- Ci dài tu questa
vigilia,
o Santo Giovanni
Battista!
- Questo danno ci
dài, questo scorno
ci dài, Decollato,
oggi in punto!
- Candia, t'è
fuggita la mente?
- O Candia, che fai,
che aspetti?
- Divenuta sei
fuori di senno,
Ornella, e le tue
suore con teco?
- Già fu sempre
mezzo pazziccia.
- Ma datela dunque,
ma datela
a questa mala razza
incanita!
IL MIETITORE
(aggrappato alle sbarre): Pecoraio, pecoraio Aligi,
ti piace alle tue
sposalizie
tenerti la pecora
marcia,
la pecoraccia
scabbiosa?
Bada non t'infetti
il tuo branco
e a móglieta non
dia contagione.
O Candia della
Leonessa,
sai tu chi ricetti
in tua casa
con la tua nuora
novella?
La figlia di Iorio,
la figlia
del mago di Codra
alle Farne,
bagascia di fratta
e di bosco,
putta di fenile e
di stabbio,
Mila, intendi?,
Mila di Codra,
la svergognata che
fece
da bandiera a tutte
le biche.
Ogni compagnia la
conosce.
Or è venuta la
volta
dei mietitori di
Norca.
Menatela fuori,
menatela,
ché la vogliamo
conoscere.
(Aligi pallidissimo si avanzerà verso la misera che starà rannicchiata nell'ombra; e le strapperà di
dosso
l'ammantatura scoprendole il volto).
MILA DI CODRA:
No, no, non è vero. Menzogna!
Menzogna! Non gli
credete,
non gli credete a
quel cane.
È il maledetto suo
vino
che gli fa
regurgito in bocca.
Se Dio l'ha udito,
in sangue
nero glie lo
converta e l'affoghi!
No, non è vero. È
menzogna.
(Le
tre sorelle si copriranno gli orecchi con ambe le palme quando il
mietitore riprenderà a dir vitupèro).
IL MIETITORE:
O svergognata, ti sanno
ti sanno le prode
dei fossi.
Sotto di te mille
volte
è bruciata la
stoppia, magalda.
Gli uomini t'hanno
giocata
a colpi di falce e
di forca.
Aspetta, aspetta,
Candia, il tuo uomo:
e vedrai. Bendato
ei ti torna,
certo. Stamane, nel
campo
di Mispa, Lazaro ha
fatto lite
con Rainero dell'Orno,
per chi? per la
figlia di Iorio.
Or tiènitela tu
nella casa,
fa che qui se la
trovi il tuo uomo,
mettila a giacitura
con lui.
Aligi, Vienda di
Giave,
datele, datele il
vostro letto.
E voi del parentado,
comari,
versatele il grano
in sul capo.
E noi torneremo co'
suoni,
più tardi,
tornerem per la fiasca.
(Il mietitore
lascerà le sbarre e scomparirà, saltando a terra, tra lo
schiamazzo della compagnia).
IL CORO DEI
MIETITORI: - Dateci la fiasca! È l'usanza.
- La fiasca, la
fiasca e la femmina!
(Aligi starà
con gli occhi fissi a terra, ancor tenendo pel lembo l'ammantatura
ch'ei tolse).
MILA:
Innocenza, innocenza di queste
giovanette, tu
udito non hai,
l'iniquità udito
non hai.
Ah dimmi che udito
non hai,
almeno tu, Ornella,
almeno
tu che volevi
salvarmi!
ANNA DI BOVA:
Non t'accostare, Ornella! Ti vuoi
tu perdere? È
figlia di mago,
fa nocimento a
chiunque.
MILA: S'accosta
perché dietro me
vede piangere l'Angelo
muto,
il custode dell'anima
mia.
(Aligi si
volgerà subitamente verso di lei e la guarderà fiso).
MARIA CORA:
Ah sacrilegio, sacrilegio!
LA CINERELLA:
Ha biastemato, ha biastemato
contro l'Angelo del
Paradiso!
FELÀVIA:
Ti sconsacra il tuo focolare,
Candia, se tu non
la cacci.
ANNA DI BOVA:
Fuori, fuori! È tempo. O Aligi,
afferrala e gettala
ai cani.
LA CATALANA: Ti
conosco, Mila di Codra.
Alle Farne t'han
per flagello.
Io ben ti conosco.
Sei tu,
sei tu che facesti
morire
Giovanna Camètra e
il figliuolo
di Panfilo delle
Marane,
e Afuso togliesti
di senno,
e désti il mal
male a Tillùra.
E di te morì anco
il tuo padre,
che è in
dannazione e ti danna!
MILA: Che
Dio abbia l'anima sua!
Che la raccolga Dio
nella pace!
Ah, tu ora hai
fatto biastema
contro l'anima del
trapassato.
Che la tua parola
ricada
sopra di te,
davanti alla morte!
(Candia
sarà seduta su una delle arche nuziali, taciturna in gran
tristezza. Si alzerà, passerà per mezzo allo stuolo iracondo, e
s'avanzerà verso la perseguitata, lentamente, senza ira).
IL CORO DEI
MIETITORI: - Ohé! Ohé! Quanto s'aspetta?
Avete voi fatto
consiglio?
- O pecoraio,
pecoraio,
dunque te la vuoi
tenere?
- Candia, e se
Lazaro torna?
- Uscire non vuole?
Aprite,
aprite, che vi
diamo una mano.
- Dateci intanto la
fiasca.
- La fiasca, la
fiasca! È l'usanza.
(Un altro
mietitore s'aggrapperà all'inferriata e mostrerà la faccia tra
le sbarre).
IL MIETITORE:
Mila di Codra, escire t'è meglio,
ché oggi scampare
non puoi.
Or ci mettiam qui
sotto la querce
a giocarti con gli
aliossi,
che ciascun giochi
la sua volta.
Per te non faremo
noi lite
come Lazaro con
Rainero.
Non ti darem sangue
ma caglio.
Però, quando l'ultimo
cui tocca
giocato abbia, se
uscita non sei,
e noi sforzeremo la
porta;
poi faremo le cose
alla grande.
Or tieniti per
avvisata,
Candia della
Leonessa.
(Si
ritrarrà, saltando a terra. Lo schiamazzo si placherà alquanto.
S'udrà, nei silenzii intermessi, lo scampanio lontano delle
pievi).
CANDIA:
Creatura, io sono la madre
di queste tre
giovanette
e di questo giovane
sposo.
Nella nostra casa
eravamo
in pace, con la
grazia di Dio,
a santificare le
nozze.
Vedi le canestre
del grano
e il fiore nel pan
benedetto!
Entrata tu sei d'improvviso
a darci travaglio e
corruccio.
La visita del
parentado
tu l'hai rotta, e
un tristo presagio
hai messo nel cuore
di tutti;
e mi piangon le
viscere mie,
e mi piange l'anima
dentro.
Pula è fatto il
buono frumento!
E di venire a
peggio si teme.
Or è necessità
che tu vada,
che tu vada con Dio,
che per certo
ti aiuterà se tu
ti confidi.
Creatura, ogni male
ha cagione.
Volontà ci fu di
salvarti.
Or vattene co'
piedi tuoi lesti,
perché di noi
niuno ti tocchi.
Il figliuol mio t'apre
la porta.
(La
vittima ascolterà con umiltà, a capo chino, tutta tremante e
sbiancata. Aligi andrà verso la porta a origliare. Pel volto gli
si manifesterà la grande ambascia).
MILA:
Madre cristiana, la terra
io bacerò sotto il
tuo passo.
E perdóno ti
chiedo, perdóno,
con l'anima mia
nella palma
della mia mano, per
questa
pena che ti reco io
sciagurata!
Ma non io la tua
casa cercai.
Cieca, cieca io era
di spavento.
Su la via dello
scampo condotta
fui dal Signore che
vede,
perché presso il
tuo focolare
io perseguitata
trovassi
la pietà che
santifica il giorno.
Abbi pietà, madre
cristiana,
abbi pietà; e per
ogni granello
del frumento che è
in quelle canestre
Dio te ne renderà
più di mille.
LA CATALANA (a
bassa voce): Non l'ascoltare! Chi l'ascolta
si perde. È la
falsa nemica.
Io so che il suo
padre, per farle
dolce la voce, le
dava
la ràdica della
sterlóndia.
ANNA DI BOVA:
Non vedi come Aligi la guata?
MARIA CORA:
Bada! Bada che non gli s'appicchi
la mala febbre, Dio
liberi!
FELÀVIA:
Udito non hai il mietitore,
quel che diceva di
Lazaro?
MÒNICA:
Resteremo noi fino a vespro
con queste canestre
sul capo?
Ora getto in terra
la mia.
(Candia
starà intenta al suo figliuolo. Subitamente paura e sdegno l'assaliranno.
Ed ella griderà forte).
CANDIA:
Vattene, vattene, figlia
di mago. Vattene ai
cani.
Nella mia casa io
non ti voglio.
Aligi, Aligi, apri
la porta!
MILA:
Madre di Ornella, madre d'amore,
Dio tutto perdona,
e non questo.
Se mi calpesti, Dio
ti perdona.
Se mi strappi gli
occhi e la lingua,
se le mani mi tagli,
che credi
malvage, Dio ti
perdona.
Se mi sòffochi,
Dio ti perdona.
Se mi stronchi, e
Dio ti perdona.
Ma se ora (ascolta,
ascolta
la campana che
suona per Santo
Giovanni) se ora tu
prendi
questa povera carne
di doglia
che fu battezzata
in Gesù,
la prendi e la
getti su l'aia,
sotto gli occhi
delle tue figlie
immacolate, la
prendi
e la getti su l'aia
allo strazio,
alla mala brama
degli uomini
la dài, all'immondizia
e alla rabbia,
o madre di Ornella,
madre
d'innocenza, se tu
questo fai,
se fai questo, Dio
ti condanna.
LA CATALANA:
No, non ha avuto il battesimo.
Il suo padre non fu
seppellito
in campo santo; ma
sotto
un mucchio di selci.
L'attesto.
MILA: Il
demonio è dietro di te, donna,
e hai la bocca nera
di frode.
LA CATALANA:
O Candia, la senti, la senti?
Anche c'ingiuria!
Fra poco
ti caccerà dalla
casa,
e t'accadrà senza
fallo
quel che il
mietitore ti disse.
ANNA DI BOVA:
Su, Aligi, trascinala fuori!
MARIA CORA:
Non vedi Vienda, non vedi
la tua sposa che
par che si muoia?
LA CINERELLA: Che
uomo sei tu? T'è fuggita
dalle tue ossa la
forza,
e nella tua bocca
la lingua
seccata s'è, che
non fiati?
FELÀVIA:
Svanito tu sembri. Smarristi
su la montagna il
tuo sentimento,
e il tuo senno giù
pel tratturo?
MÒNICA:
Non vedi che ancóra non lascia
il fazzuolo, da poi
che l'ha tolto?
Appiccato gli s'è
alle dita.
LA CATALANA:
Divenuto ti è mentecatto
il tuo figlio,
Candia, Dio t'aiuti!
CANDIA:
Aligi, Aligi, non odi?
Che fai? Dove sei?
Fuor di mente?
Che nasce nell'anima
tua?
(Ella gli
toglierà dalla mano il panno e lo getterà a terra, verso la
sbandita).
Aprirò io la porta;
e tu fa
ch'ella esca, tu
spingila fuori...
Aligi, a te parlo,
m'intendi?
Ah, dormito tu hai
veramente
settecent'anni,
settecent'anni;
e non hai
conoscenza di noi!
Donne, piace a Dio
di disfarmi.
Io mi credea che in
questi due giorni
piacesse a Dio
darmi una posa,
tanto che
inghiottir mi potessi
meno amara almen la
saliva.
Figlie, prendetemi
nell'arca
la mantelletta mia
nera
e copritemi il capo,
ch'io faccia
lamento nell'anima
mia.
(Il
figlio scoterà il capo. Un misto di demenza e di sgomento gli
sconvolgerà la faccia rigata dal sudore. Parlerà come chi
delira).
ALIGI: Or
che volete da me, madre?
Io pur dissi:
Ponete
contra la soglia l'aratro,
il carro, i buoi,
le pietre, le zolle,
la montagna con
tutta la neve...
Io che vi dissi?
voi che diceste?
Ecco, sì, la croce
di cera
benedetta il dì
dell'Ascensa,
l'acqua santa nei
càrdini. Madre,
che volete ch'io
faccia? Era notte,
era prima dell'alba,
era notte
quando per venire
si mosse.
Profondo, profondo
era il sonno,
o madre. Però non
m'avevate
voi messo papavero
nel vino.
E fallito è quel
sogno di Cristo.
Io so questa cosa
onde viene;
ma ratterrò la mia
bocca.
Femmine, che volete
da me?
ch'io l'afferri per
i capegli?
ch'io la trascini
su l'aia?
ch'io la getti ai
cani affamati?
Bene, sì, lo farò.
Farò questo.
(Quando egli si
avanzerà verso Mila di Codra, ella si rifugerà presso il
focolare).
MILA: Non
mi toccare! Peccato fai
contro la legge del
focolare,
tu fai peccato
grande mortale
contro il tuo
sangue, contro la legge
della tua gente, de'
vecchi tuoi.
Io su la pietra del
focolare
il vino verso che
mi fu dato
da una sorella
della tua carne.
Se tu mi tocchi, se
tu m'offendi,
tutti i tuoi morti
nella tua terra,
quelli degli anni
dimenticati,
i più lontani, i
più lontani,
settanta braccia
sotto la zolla
avranno orrore di
te in eterno.
(Preso il
boccale, ella verserà il vino su la pietra inviolabile. Le donne
allora getteranno alte strida).
IL CORO DELLE
PARENTI: - Ahi, che ha magato il camino!
- Ha messo mistura
nel vino
l'ho vista, l'ho
vista, in un lampo.
- Prendila,
prendila, Aligi,
e toglila di su la
pietra.
- Acciuffala per i
capegli.
- Aligi, non avere
paura
ché l'iscongiuramento
non vale.
- Di là toglila e
spezza il boccale,
tu spezzalo contro
un alare.
- Spicca la catena
e méttigliela
al collo e girala
tre volte.
- Ha magato, ha
magato il camino!
- Ahi, ahi, che la
casa dà crollo!
Ahi, quanto pianto
qui sarà pianto!
IL CORO DEI
MIETITORI: - Oh, oh, attaccate riotta?
- Noi siam qui,
siam qui che s'aspetta.
- L'abbiamo giocata
e siam pronti.
- Pecoraio, ménala
fuori!
- Su, su, che
sfondiamo la porta.
(Picchieranno e
schiamazzeranno).
ANNA DI BOVA:
Ecco, ecco, prendete pazienza
anche un poco,
buoni uomini. Aligi
la tira. Mo mo voi
l'avete.
(Forsennato il
pastore prenderà per un de' polsi la vittima che si divincolerà
gridando).
MILA: No,
no, no! Ti danni, ti danni.
Piuttosto tu
schiacciami il capo,
tu battimi il capo
alla spranga,
poi gettami morta
di fuori.
No, no! Su te il
castigo di Dio!
Ti nasceranno le
serpi
dal ventre della
tua donna.
Non dormirai, non
dormirai
più mai; non avrai
più riposo;
i cigli ti
sanguineranno.
Ornella, Ornella,
difendimi
tu, aiutami tu!
Abbi ancóra
pietà! Sorelle in
Cristo, aiutatemi!
(Ella
si svincolerà dalla stretta, e fuggirà verso le tre sorelle che
le faranno riparo. Cieco di furore e d'orrore, Aligi leverà la
sua mazza sul capo di lei per colpirla. Subitamente le giovanette
romperanno in gran pianto. Egli s'arresterà, al suono del pianto;
lascerà cadere a terra la mazza; si gitterà ginocchioni, a
braccia aperte).
ALIGI:
Mercé di Dio! Fatemi perdonanza!
L'Angelo muto ho
visto, che piangeva;
che lacrimava come
voi, sorelle,
che lacrimava e mi
guardava fiso.
Lo vedrò fino all'ora
del trapasso
e ancóra lo vedrò
nell'altra vita.
Io ho peccato
contro il focolare,
contro i miei morti
e contro la mia terra
che più non mi
vorrà tenere seco,
che non vorrà
sepolto il corpo mio.
Sorelle, per
lavarmi del peccato,
nella cenere sette
e sette giorni
tante croci farò
con la mia lingua
quante sono le
lacrime versate
dagli occhi vostri,
e l'Angelo le conti
e il novero mi
metta nel mio cuore.
Voglio così
pigliare perdonanza
davanti a Dio,
sorelle; e voi pregate,
pregate per Aligi
fratel vostro
che alla montagna
deve ritornare.
E quella che patì
l'onta e l'ambascia
consolerà voi.
Datele a bere,
toglietele la
polvere, con l'acqua
e con l'aceto i
suoi poveri piedi
confortate, che
forse le dorranno.
Io non volea
recarle onta, ma tratto
fui dalle voci; e
chi mi trasse al male
gran dolore n'avrà
per i suoi giorni.
Mila di Codra, mia
sorella in Cristo,
donami perdonanza
dell'offesa.
Questi fioretti di
Santo Giovanni
io tolgo dalla
mazza del pastore
e te li metto qui
davanti ai piedi.
Io non ti guardo,
ché me ne vergogno.
Dietro di te sta l'Angelo
dolente.
Ma questa mano
trista che t'offese,
col tizzo brucerò
questa mia mano.
(Trascinandosi
su i ginocchi andrà verso il focolare e, stando carpone,
cercherà un tizzo ancóra acceso, lo prenderà con la manca, ne
porrà la punta nel cavo della destra mano).
MILA: T'è
perdonato! No, non ti bruciare!
Da me t'è
perdonato, e Dio riceva
il pentimento.
Lèvati dal fuoco!
Uno solo è il
Signore del castigo;
è quello che ti
diede la tua mano
per guidar le tue
pecore nei paschi.
E come pascerai tu
la tua mandra
se la tua mano ti s'inferma,
Aligi?
Da me t'è
perdonato in umiltà.
E del tuo nome io
mi ricorderò
a mezzodì, ma pure
mane e sera
quando pasturerai
su la montagna.
IL CORO DEI
MIETITORI: - Ehi là, ehi là, che è questo?
- Così ci volete
gabbare?
- E noi vi
sfondiamo la porta.
- Su, su, pigliamo
la trave!
- Su, su, quel
timone d'aratro!
- Pecoraio, tu non
ci gabbi.
- Su, su, quel
pezzo di màcina
rotta e gettiamola
a sfascio!
- O pecoraio Aligi,
rispondi!
Una due tre volte,
e poi giù!
(S'udrà il
grido roco ond'essi accompagneranno lo sforzo dell'alzare il peso).
ALIGI: Per
te, per me, per tutta la mia gente
io mi faccio la
croce. E così sia.
(Si alzerà,
andrà verso la porta, e chiamerà).
Mietitori di Norca,
apro la porta.
(Risponderanno
gli uomini con un clamore concorde. Il suono delle campane
continuerà sul vento. Aligi toglierà la spranga; si segnerà in
silenzio; poi spiccherà dal muro la croce di cera, la bacerà).
Serve di Dio,
segnatevi e pregate.
(Tutte le donne
si segneranno e s'inginocchieranno, mormorando la litania).
IL CORO DELLE
PARENTI: Kyrie eleison.
Christe eleison.
Kyrie eleison.
Christe audi nos.
Christe exaudi nos...
(Il
pastore deporrà la croce di cera su la soglia, tra la conocchia
e il bidente; poi spalancherà la porta. Si vedrà nel vano
divampare il sole terribile su i mietitori vestiti di lino).
ALIGI:
Cristiani di Dio, questa è la croce
benedetta nel
giorno dell'Ascensa.
Posta l'ho su la
soglia della porta
perché vi guardi
dal fare peccato
contro la poverella
di Gesù
ch'ebbe rifugio in
questo focolare.
(I mietitori
ammutoliti si scopriranno il capo).
Io ho veduto dietro
le sue spalle
l'Angelo muto che
la custodisce.
Con questi occhi
che debbono morire,
piangere io l'ho
veduto, in ferma fede,
cristiani di Dio.
Perciò l'attesto.
Tornate al campo a
mietere il frumento.
Non fate male a chi
non fece male.
E che il falso
nemico non v'inganni
con i suoi
beveraggi un'altra volta!
Mietitori di Norca,
il Ciel v'aiuti
e vi cresca alla
mano le mannelle.
E San Giovan
Battista Decollato
vi mostri il capo
suo nel sol levante,
se questa notte
andate su la Plaia.
E non vogliate male
a me pastore,
a me Aligi povero
di Cristo.
(Le
donne sempre inginocchiate seguiranno sommessamente la litania.
Candia dirà la invocazione, l'altre risponderanno).
CANDIA E IL
CORO DELLE PARENTI: Mater purissima, ora pro nobis.
Mater castissima,
ora pro nobis.
Mater inviolata,
ora pro nobis...
(I
mietitori si chineranno, allungheranno la mano a toccare la croce,
porteranno la mano alle labbra; e s'allontaneranno silenziosi per
la campagna ardente. Poggiato allo stipite, prono, il pastore li
seguirà con lo sguardo. Nel silenzio s'udranno voci giungere dal
sentiero).
UNA VOCE:
O Lazaro di Roio, torna indietro!
UN'ALTRA VOCE:
Lazaro, non andare, non andare!
(Il pastore
sussulterà. Sollevandosi, facendosi schermo delle mani, guaterà
per la luce del mezzodì).
CANDIA E IL
CORO DELLE PARENTI: Virgo veneranda, ora pro nobis.
Virgo prædicanda,
ora pro nobis.
Virgo potens, ora
pro nobis...
ALIGI:
Padre, padre, che hai? Perché bendato
sei? Tu sanguini,
padre. Su, parlate,
o uomini di Dio!
Chi lo ferì?
(Lazaro
di Roio si presenterà davanti alla porta, col capo bendato,
sostenuto alle ascelle da due uomini vestiti di lino come i
mietitori. Candia interromperà la litania con un grido e
balzerà in piedi, guatando).
Padre, aspetta. La
croce è su la soglia.
Non puoi passare
senza inginocchiarti.
Se il sangue è
ingiusto, tu non puoi passare.
(I due uomini
sosterranno il ferito barcollante, che piegherà i ginocchi).
CANDIA: O
figlie, figlie, era vero, era vero!
Piangiamo, figlie.
Il lutto è sopra noi.
(Le figlie abbracceranno la madre. Le donne del parentado
poseranno a terra le canestre, prima di rialzarsi. Mila di Codra
raccoglierà il suo panno; e, stando ancóra prostrata, se l'avvolgerà
intorno al capo per nascondersi la faccia. Poi quasi strisciando
sul terreno, andrà verso la porta, presso lo stipite opposto a
quello ove sarà il pastore. Muta e rapida si drizzerà in piedi
addossandosi al muro. Quivi, immobile e coperta, aspetterà il
momento per dileguarsi).
ATTO SECONDO
Si vedrà una
caverna montana, in parte rivestita di assi, di stipa, di paglia,
largamente aperta verso un sentiere petroso. Si discopriranno per
l'ampia bocca i pascoli verdi, i gioghi nevati, le nuvole erranti.
Vi saranno giacigli di pelli pecorine, deschetti di rozzo legname,
bisacce, otri vuoti e pieni, un panconcello per lavorar di tornio
e d'intaglio, con suvvi l'asce, il pialletto lunato, il coltello
a petto, la lima, il tagliolo, altri strumenti, e da presso le
cose lavorate: conocchie, fusa, mestole, cucchiai, mortai,
pestelli, cennamelle, sùfoli, candellieri; un ceppo di noce che
in basso apparirà ancóra informe nella sua corteccia e in alto
porterà di tutto tondo la figura di un angelo appena digrossata
fino alla cintola dallo scalpello ma già con le ali quasi
rifinite. Una lampanetta di olio d'oliva arderà dinanzi all'imagine
di Nostra Donna, in una incavatura della rupe come in una nicchia.
Una cornamusa penderà quivi accanto. S'udranno i campani delle
mandre nel silenzio della montagna, declinando il giorno, poco
dopo l'equinozio autunnale.
Scena prima
Malde, il
cavatesori, e Anna Onna, la vecchia dell'erbe, dormiranno su le
pelli di pecora, stesi nei loro cenci. Cosma, il santo, vestito d'una
melote, anche dormirà, ma accosciato, con le braccia intorno ai
ginocchi e su i ginocchi il mento. Aligi sarà seduto sopra un
deschetto, intento a intagliare con suoi ferri il ceppo di noce.
Mila di Codra sarà seduta di contro a lui e lo guarderà.
MILA: Ma
stiè mutolo il patrono
ch'era di ceppo di
noce,
sordo fue il legno
santo,
Sant'Onofrio non
rispose.
E disse allora la
terza
(miserere di noi,
Signore!)
e disse allora la
bella:
Ecco pronto
lo mio cuore.
Se vuol sangue a
medicina,
prendetelo dal cuor
mio;
ma di questo ei non
s'avveda,
ma di questo ei non
s'addìa.
Sùbito il legno
getta un ramo,
getta un ramo dalla
bocca,
getta un ramo per
ogni dito.
Sant'Onofrio è
rinverdito!
(Ella si
chinerà a raccattare le schegge e i trùcioli intorno al ceppo
lavorato).
ALIGI: O
Mila, e questo anche è un ceppo di noce.
Rinverdirà, Mila,
rinverdirà?
MILA (china
a terra): Se vuol sangue a medicina,
prendetelo dal cuor
mio...
ALIGI:
Rinverdirà, Mila, rinverdirà?
MILA:
Ma di questo ei non s'avveda,
ma di questo ei non
s'addìa.
ALIGI:
Mila, Mila, il miracolo ci assolva!
L'Angelo muto ci
protegga ancóra,
ché per lui non m'adopro
co' miei ferri
ma sì m'adopro con
l'anima in mano.
E tu che cerchi,
là? che hai perduto?
MILA: Io
raduno le schegge; e le arderemo,
e un granello d'incenso
con ognuna.
Affretta, Aligi,
ché il tempo sen viene.
La luna di
settembre è menomante
e i pastori
cominciano a partire:
chi verso Puglia va,
chi verso Roma.
E dove l'amor mio
farà viaggio?
Dov'ei farà
viaggio gli sien prata
dinanzi e fonti d'acque,
e non sia vento,
e di me gli
sovvenga quando annotta!
ALIGI:
Verso Roma farà viaggio Aligi,
andrà dove si va
per tutte strade,
con la sua mandra
verso Roma grande,
a pigliar
perdonanza dal Vicario,
dal Vicario di
Cristo Signor Nostro,
perché quegli è
il Pastore dei Pastori.
Non in terra di
Puglia andrà uguanno:
ma a Nostra Donna
della Schiavonia
ei manderà per man
d'Alài d'Averna
questi due
candellieri di cipresso
con due ceri
mezzani in compagnia,
che di lui
peccatore non si scordi
Nostra Donna che
guarda la marina.
Poi quest'Angelo,
come sia finito,
ei lo caricherà
sopra una mula
e passo passo ei se
lo porterà.
MILA:
Affretta, affretta, ché il tempo sen viene.
Dalla cintola in
giù l'Angelo è preso
ancor nel ceppo, i
piedi ancor legati
ha nei nocchi, e le
mani senza dita,
e gli occhi si
pareggian con la fronte.
Indugiato ti sei a
fargli l'ale
penna per penna, ma
volar non può.
ALIGI: M'aiuterà
Gostanzo il dipintore,
Gostanzo di Bisegna
il dipintore
che lavora d'istorie
per le carra.
Accordato io mi
sono già con lui
ed ei mi metterà
colori fini;
e forse alla Badia
m'avrò dai frati
per un agnello un
poco d'oro in foglio
da mettere nell'ale
e alla gorgiera.
MILA:
Affretta, affretta, ché il tempo sen viene
e già la notte è
più lunga del giorno,
e su dalla pianura
monta l'ombra
all'improvviso
quando non s'attende,
sì che l'occhio
non guida più la mano
e al ferro cieco
non soccorre l'arte.
(Cosma
si agiterà nel sonno e si lamenterà. Si udrà giungere di
lontano la cantilena sacra dei pellegrinaggi).
Cosma si sogna. E
chi sa che si sogna!
Odi odi il canto
della compagnia
che varca la
montagna per andare
forse a Santa Maria
della Potenza,
Aligi, verso la tua
terra, verso
la tua casa dov'è
la madre tua:
e forse passerà
poco discosto,
e la madre l'udrà,
l'udrà Ornella
forse, e diranno:
Questi pellegrini
scesero dagli
stazzi dei pastori
e alcun saluto non
ci fu mandato!
(Aligi
sarà curvo a digrossar con l'asce il basso del ceppo. Dato un
colpo, abbandonerà il ferro nel legname; e si solleverà
ansiosamente).
ALIGI: Ah,
perché tocchi dove il cuore dole?
Mila, corro e li
giungo sul cammino
e fo priego al
crocifero che porti
l'imbasciata... Ma
come gli dirò?
MILA: Gli
dirai: Buon crocifero, ti priego,
se passi pel
vallone di San Biagio,
per la contrada
detta l'Acquanova,
domanda della casa
d'una donna
chiamata Candia
della Leonessa
e fa sosta, ché
certo avrai da lei
un boccaletto per
ristoro e forse
più altro avrai,
fa sosta e dille: - Il figlio
Aligi ti saluta, e
le sorelle
con te anche, e
Vienda anche, la sposa,
e ti promette che
discenderà
per essere da te
ribenedetto
in pace, prima
della dipartita,
e t'assicura ch'ei
fu liberato
d'ogni male e
periglio, liberato
della falsa nemica
ultimamente,
e non sarà mai
più cagione d'ira
e non sarà mai
più cagion di pianto
alla madre, alla
sposa, alle sorelle.-
ALIGI:
Mila, Mila, qual vento ti combatte
l'anima e te la
volge? Un vento sùbito,
un vento di paura.
E ti si spegne
la voce in bocca e
il sangue se ne va
dalla tua faccia...
Perché vuoi ch'io mandi
messaggio di
menzogna alla mia madre?
MILA: In
verità, in verità ti parlo,
o fratel mio, caro
della sorella,
quant'è vero che
non commisi fallo
con te ma stetti
accesa come un cero
dinanzi alla tua
fede e fui lucente
d'amore immacolato
al tuo conspetto.
In verità, in
verità ti parlo
e dico: Va, va,
corri sul cammino
e cerca del
crocifero che porti
il saluto di pace
all'Acquanova.
Venuta è l'ora
della dipartita
per la figlia di
Iorio. E così sia.
ALIGI: Per
certo hai tu mangiato miel selvaggio
che ti turba la
mente! E dove andrai?
MILA:
Andrò dove si va per tutte strade.
ALIGI: Ah,
verrai meco, dunque, verrai meco!
Assai lungo è il
cammino. Ma te anche
io metterò su la
mia mula. E andremo
con la speranza,
verso Roma grande.
MILA:
Convien ch'io vada dall'opposta parte
co' piè miei lesti
e senza la speranza.
ALIGI (vòlto
alla vecchia che dorme): Anna Onna, su, svégliati, su,
lèvati,
e vammi in cerca d'ellèboro
nero,
che il senno renda
a questa creatura!
MILA: Non
t'adirare, Aligi. E se t'adiri
anche tu contro a
me, come vivrò
io fino a sera?
Sotto il tuo calcagno
il mio cuore non lo
raccoglierò.
ALIGI:
Nella mia casa non ritornerò
se non con te, con
te, figlia di Iorio,
Mila di Codra, mia
per sacramento.
MILA:
Aligi, e passerò la soglia stessa
ove fu posta la
croce di cera?
E un uomo v'apparì,
che sanguinava;
e disse allora il
figlio di quell'uomo:
Se il sangue
è ingiusto, tu non puoi passare...
Era di mezzodì,
nella vigilia
di San Giovanni.
Era la mietitura.
Pace ha la falce
appesa alla parete,
il grano si riposa
nei granai,
mentre il dolore
seminato s'alza.
(Cosma si
agiterà nel sonno gemendo).
ALIGI: Ma
sai tu chi ti condurrà per mano?
COSMA (gridando):
Non lo sciogliere! No, no, non lo sciogliere!
Scena seconda
Il santo
aprirà le braccia sollevando il volto di su i ginocchi.
MILA:
Cosma, Cosma, che sogni? Di': che sogni?
(Cosma si
sveglierà e si leverà).
ALIGI: Che
hai veduto? Di': che hai veduto?
COSMA:
Spaventi si son vòlti contro a me.
Io ho veduto... Ma
non debbo dire.
Ogni sogno, che
vien da Dio, purgato
sarà col fuoco
prima d'esser detto.
Io ho veduto, e
certo parlerò.
Ma ch'io non usi
indegnamente il Nome
dell'Iddio mio per
giudicare, quando
la caligine è
ancóra sopra a me.
ALIGI: O
Cosma, tu sei santo. Per molt'anni
ti sei lavato con
acque di neve.
Con l'acque che
traboccano dai monti
dissetato ti sei
davanti al Cielo.
Oggi dormito hai
nella mia caverna,
sul vello della
pecora mondato
col solfo perché l'Incubo
si fugga.
Nel tuo sonno hai
veduto visioni.
Lo sguardo del
Signore è sopra a te.
Soccorrimi del tuo
intendimento.
Or io ti parlerò,
e tu rispondimi.
COSMA:
Imparata non ho la sapienza,
giovine, e non ho
pur l'intendimento
che ha il sasso nel
cammino del pastore.
ALIGI: O
Cosma, uomo di Dio, stammi a sentire.
Io ti priego per l'Angelo
che è chiuso
in quel ceppo e non
ha orecchi e ode!
COSMA:
Parla parole diritte, pastore;
e la tua confidanza
non in me
poni ma nella santa
verità.
(Malde e Anna
Onna si desteranno e si leveranno sul cubito ad ascoltare).
(Cosma si
agiterà nel sonno gemendo).
ALIGI: Ma
sai tu chi ti condurrà per mano?
COSMA (gridando):
Non lo sciogliere! No, no, non lo sciogliere!
Scena seconda
Il santo
aprirà le braccia sollevando il volto di su i ginocchi.
MILA:
Cosma, Cosma, che sogni? Di': che sogni?
(Cosma si
sveglierà e si leverà).
ALIGI: Che
hai veduto? Di': che hai veduto?
COSMA:
Spaventi si son vòlti contro a me.
Io ho veduto... Ma
non debbo dire.
Ogni sogno, che
vien da Dio, purgato
sarà col fuoco
prima d'esser detto.
Io ho veduto, e
certo parlerò.
Ma ch'io non usi
indegnamente il Nome
dell'Iddio mio per
giudicare, quando
la caligine è
ancóra sopra a me.
ALIGI: O
Cosma, tu sei santo. Per molt'anni
ti sei lavato con
acque di neve.
Con l'acque che
traboccano dai monti
dissetato ti sei
davanti al Cielo.
Oggi dormito hai
nella mia caverna,
sul vello della
pecora mondato
col solfo perché l'Incubo
si fugga.
Nel tuo sonno hai
veduto visioni.
Lo sguardo del
Signore è sopra a te.
Soccorrimi del tuo
intendimento.
Or io ti parlerò,
e tu rispondimi.
COSMA:
Imparata non ho la sapienza,
giovine, e non ho
pur l'intendimento
che ha il sasso nel
cammino del pastore.
ALIGI: O
Cosma, uomo di Dio, stammi a sentire.
Io ti priego per l'Angelo
che è chiuso
in quel ceppo e non
ha orecchi e ode!
COSMA:
Parla parole diritte, pastore;
e la tua confidanza
non in me
poni ma nella santa
verità.
(Malde e Anna
Onna si desteranno e si leveranno sul cubito ad ascoltare).
ALIGI:
Cosma, questa è la santa verità.
Dal piano di Puglia
mi tornai a monte
con la mia mandra
il dì del Corpusdomini.
Com'ebbi preso
luogo d'addiacciare,
scesi alla casa per
i miei tre giorni.
E trovo nella casa
la mia madre
che mi dice:
Figliuolo, voglio darti
donna. Io le
dico: Madre, guardo sempre
il tuo
comandamento. Ella mi dice:
Bene, è
questa la tua donna. Si fanno
le sposalizie. Il
parentado viene
e m'accompagna la
sposa alla porta.
Io era come un uomo
all'altra riva
d'una fiumana, che
vede le cose
di là dall'acqua e
tra mezzo passare
vede l'acqua, che
passa eternamente.
Cosma, fu la
domenica. Bevuto
io non avea
papavero nel vino.
Tuttavia perché
mai sì grande sonno
mi venne sopra il
cuore ismemorato?
Io credo che dormii
settecent'anni.
Il lunedì ci
alzammo a ora tarda.
E la mia madre
ruppe il suo panello
sul capo della
vergine che pianse.
Io non l'avea già
tocca. E il parentado
venne con le
canestre del frumento.
Ma io muto mi stava
in gran tristezza
come fossi nell'ombra
della morte.
Ed ecco d'improvviso
entrare quivi
tutta tremante
questa creatura.
I mietitori la
perseguitavano,
cani!, che la
volevano conoscere.
Ed ella ci pregava
la salvezza.
E niuno di noi,
Cosma, si mosse.
Sola la mia più
piccola sorella
corre e s'ardisce
chiudere la porta.
Ed ecco che la
porta da quei cani
è percossa con
ogni vitupèro.
E s'apre contro
questa creatura
bocca di frode con
parole d'odio.
E il parentado vuol
gittarla al branco.
Ed ella trista
presso il focolare
chiede pietà, che
non ne faccian strazio.
Ma io stesso l'afferro
e la trascino,
per odio e frode: e
trascinar mi sembra
il mio cuore di
quando era fanciullo.
Ed ella grida, ed
io sopra di lei
levo la mazza. E le
sorelle piangono.
Ed ecco, dietro a
lei, Cosma, con queste
pupille vedo l'Angelo
che piange!
Lo vedo, o santo! L'Angelo
mi guarda
e piange, e tace.
Io cado ginocchioni.
Perdóno chiedo. E,
per punire questa
mia mano, prendo di
sul focolare
un tizzo ardente:
No, non ti bruciare!
grida la creatura.
E poi mi dice.
O Cosma, o santo,
con acque di neve
tu ti sei
battezzato alba per alba;
e tu, vecchia,
conosci tutte l'erbe
che sànano la
carne cristiana,
sai la virtù di
tutte le radici;
e tu, Malde, con
quella tua forcina
tu saper puoi dove
i tesori sien
nascosti a piè dei
morti che son morti
or è cent'anni, or
è mill'anni, è vero?..
e profonda,
profonda è la montagna.
Or io vi chiederò:
Voi che sentite
venir le cose di
tanto lontano
quella voce di qual
mai lontananza
venne e parlò
perché l'udisse Aligi?
Rispondetemi voi!
Ella mi disse:
E come
pascerai tu la tua mandra
se la tua mano ti s'inferma,
Aligi?
E con questa parola
ella mi colse
l'anima mia di
dentro le mie ossa
così, come tu,
vecchia, cogli un semplice!
(Mila piangerà
silenziosamente).
ANNA ONNA:
V'è un'erba rossa che si chiama Glaspi
e un'altra bianca
che si chiama Egusa,
e l'una e l'altra
crescono distanti;
ma le ràdiche loro
si ritrovano
sotto la terra
cieca e là s'annodano,
tanto sottili che
neppur le scopre
Santa Lucia.
Diversa hanno la foglia
ma fan l'istesso
fiore, ogni sett'anni.
E questo è anche
scritto nelle carte.
Cosma sa le potenze
del Signore.
ALIGI:
Ascolta, Cosma. Il sonno d'oblianza
m'era stato mandato
al capezzale,
da chi? La mano
innocente aveva chiuso
la porta di salute;
e m'era apparso
l'Angelo del
consiglio; e una parola
di labbra s'era
fatta pegno eterno.
Qual era dunque la
mia donna, innanzi
al buon frumento,
al pane mondo e al fiore?
COSMA:
Pastore Aligi, la stadera giusta
e le giuste bilance
son di Dio.
Tuttavia prendi
pure intendimento
da Colui che t'ha
fatta sicurtà;
prendi pegno da Lui
per la straniera.
Ma quella che non
fu tocca, dov'è?
ALIGI: Mi
partii per lo stazzo dopo vespro,
la vigilia di San
Giovanni. All'alba
io mi trovai di
sopra a Capracinta
e stetti ad
aspettare il sole. E vidi
dentro dal cerchio
sanguinare il capo
del Decollato. Poi
venni allo stazzo,
ripresi a pasturare
e a dolorare.
E mi parea che mi
durasse il sonno
e la mandra
brucasse la mia vita.
Allora il cuore mio
chi lo pesò?
O Cosma, vidi prima
l'ombra e poi
la sua persona, là,
sul limitare.
Era il giorno di
Santo Teobaldo.
Stava seduta questa
creatura
sopra la pietra; e
non poté levarsi
ché i piedi eran
piagati. Disse: Aligi,
mi riconosci?
Io dissi: Tu sei Mila.
E non parlammo più,
ché più non fummo
due. Né quel
giorno ci contaminammo
né dopo mai. Lo
dico in verità.
COSMA:
Pastore Aligi, tu hai certo accesa
una làmpana pia
nella tua notte
ma tu l'hai posta
in luogo di quel termine
antico che
inalzarono i tuoi padri.
Tu rimosso hai quel
termine sacrato.
E se questa tua
làmpana si spegne?
Il consiglio nel
cuor dell'uomo è un'acqua
profonda; e l'uomo
pio l'attignerà.
ALIGI: Io
prego Iddio che ponga sopra a noi
il suggello del
sacramento eterno!
Vedi che faccio?
Con l'anima in mano
lavoro questo legno,
a simiglianza
dell'Angelo
apparito. Incominciai
nel giorno dell'Assunta,
pel Rosario
lo vo' compire. Or
ecco il mio disegno.
Calerò con la
mandra verso Roma;
e porterò quest'Angelo
con meco
sopra una mula.
Andrò dal Santo Padre
nel nome di San
Pietro Celestino
che sul Morrone
fece penitenza,
me n'andrò dal
Pastore dei Pastori
con questo vóto a
chiedere dispensa,
perché colei che
non fu tocca torni
alla sua madre,
sciolta dal legame,
ed alla mia conduca
io la straniera
che sa piangere
senza farsi udire.
Ora domando al tuo
conoscimento,
Cosma: La grazia mi
sarà concessa?
COSMA:
Tutte le vie dell'uomo sembran dritte
all'uomo; ma il
Signore pesa i cuori.
Alte mura, alte
mura ha la Città,
e gran porte di
ferro, e intorno intorno
gran sepolture dove
cresce l'erba.
L'agnello tuo non
bruchi di quell'erba,
pastore, Aligi.
Interroga la madre...
UNA VOCE (di
fuori gridando): Cosma, Cosma! Se sei là dentro, esci!
COSMA: Chi
m'ha chiamato? Avete udito voce?
LA VOCE:
Esci, Cosma, pel sangue di Gesù!
O cristiani, fatevi
la croce!
COSMA:
Eccomi. Chi mi chiama? Chi mi vuole?
Scena terza
Appariranno alla
bocca della caverna due pastori vestiti di pelli, tenendo fermo
tra loro un giovinetto magro e verdastro come una locusta, che
avrà le braccia constrette contro i fianchi da più giri di
corda passati intorno al tronco seminudo.
L'UN PASTORE:
O cristiani, fatevi la croce!
Il Signore vi salvi
dal Nemico.
Per guardarvi la
bocca, dite un pater.
(Tutti i
presenti si segneranno).
L'ALTRO
PASTORE: O Cosma, questo giovine ha i demonii.
Or è tre giorni
che l'hanno invasato.
E vedi vedi come lo
travagliano!
Ed egli schiuma e
stride e si fa verde.
Noi l'abbiamo
legato con le corde
per portartelo. Tu
già liberasti
Bartolomeo del
Cionco alla Petrara.
Uomo di
misericordia, anche questo
libera! Tu fa che
escano da lui!
Tu cacciali da lui,
e lo guarisci!
COSMA:
Qual è il suo nome e il nome del suo padre?
L'UN PASTORE:
Salvestro di Mattia di Simeone.
COSMA:
Salvestro, vuoi tu essere sanato?
Sta di buon cuore,
figliuolo. Abbi fede.
Io te lo dico: Non
temere. E voi
perché l'avete
legato? Scioglietelo.
L'ALTRO
PASTORE: Cosma, vieni con noi alla cappella.
Là noi lo
scioglieremo. Qui ci fugge:
e sempre ha
frenesia di rotolarsi
e di precipitare; e
schiuma. Vieni!
COSMA:
Verrò con Dio. Sta di buon cuore, figlio!
(I
due pastori trascineranno l'indemoniato. Malde e Anna Onna li
seguiranno per un tratto; si soffermeranno a guatare: il
cavatesori, roso dal suo pensiero di sotterra, tenendo in mano un
ramo sfrondato d'ulivo terminante in forcina, fornito d'una
pallottola di cera all'estremità più robusta; la vecchia dell'erbe
poggiata alla sua stampella, con la sua sacca di semplici
penzoloni sul ventre. In breve, anch'essi scompariranno. Il santo
si volgerà dal limitare, verso l'ospite).
Vado con Dio.
Pastore Aligi, sii
rimeritato del
conforto ch'ebbi
nel ricovero tuo. M'hanno
chiamato
ed ho risposto.
Prima che tu prenda
la via nova,
considera la legge.
Chi perverte la via,
sarà fiaccato.
Guarda il
comandamento di tuo padre.
Segui l'insegnamento
di tua madre.
Tienli sempre
legati in sul tuo cuore.
E Dio guidi il tuo
piè, che non sia preso
nei lacci e non
incappi nella brace.
ALIGI:
Cosma, hai tu bene udito? Io sono puro.
Non mi contaminai
ma ebbi fede.
Hai bene udito i
segni che l'Iddio
altissimo ha
mandati verso me?
Attendo quel che è
giusto, e mi mortifico.
COSMA: Io
te lo dico: Interroga il tuo sangue,
prima di condur
teco la straniera.
UNA VOCE (di
fuori gridando): Cosma, non t'indugiare! Ora l'uccide.
COSMA (vòlto
a Mila): Pace a te, donna. Se il bene sia teco,
fa che da te si
versi come il pianto,
senza che s'oda.
Forse tornerò.
ALIGI:
Vengo, ti seguo, ché tutto non dissi...
MILA:
Aligi, è vero: tutto non dicesti!
Va sul cammino e
cerca del crocifero
e pregalo che porti
la parola.
(Il santo si
allontanerà per i pascoli. Si udrà, or sì or no, il cantare
dei pellegrini).
Aligi, Aligi, tutto
non dicemmo!
E meglio m'è avere
nella bocca
un buon pugno di
polvere o una pietra
che me la chiuda.
Ascolta solo questo
da me, Aligi. Io
non ti feci male;
male non ti farò.
Sanàti sono
i miei piedi, e
conoscono la via.
Venuta è l'ora
della dipartita
per la figlia di
Iorio. E così sia.
ALIGI: Io
non so, tu non sai l'ora che viene.
Rimetti l'olio
nella nostra làmpana.
Prendi l'olio dall'otro.
Ancor ve n'è.
E aspettami, che
vado dal crocifero.
Bene ho pensato
quel che gli dirò.
(Si volgerà per
andare. La donna, vinta dallo sgomento, lo richiamerà).
MILA:
Aligi, fratel mio! Dammi la mano.
ALIGI:
Mila, il cammino è là, poco lontano.
MILA:
Dammi la mano tua, ch'io te la baci.
È il sorso che
concedo alla mia sete.
ALIGI (appressandosi):
Mila, col tizzo io la volli bruciare.
È quella mano
trista che t'offese.
MILA: Non
mi rammento. Io son la creatura
che trovasti seduta
su la pietra,
che veniva chi sa
da quali strade.
ALIGI (appressandosi
ancóra): Su la tua faccia il pianto non s'asciuga,
creatura. Una
lacrima ti resta
nei cigli; trema,
se parli; e non cade.
MILA: S'è
fatto un gran silenzio. Aligi, ascolta.
Non cantan più.
Con l'erbe e con le nevi,
siamo soli,
fratello, siamo soli.
ALIGI:
Mila, tu sei come la prima volta
là su la pietra,
quando sorridevi
con gli occhi e
avevi i piedi sanguinosi.
MILA: E tu,
tu non sei quello inginocchiato
che i fioretti di
San Giovan Battista
posò per terra? Ed
una li raccolse
e se li porta nello
scapolare.
ALIGI:
Mila, una risonanza nella voce
tu hai, che mi
consola e mi contrista
come d'ottobre
quando con le mandre
si cammina cammina
lungo il mare.
MILA:
Camminare con te per monti e spiagge,
vorrei che questa
fosse la mia sorte.
ALIGI: O
compagna, prepàrati al viaggio.
Lungo è il cammino,
ma l'amore è forte.
MILA:
Aligi, passerei sul fuoco ardente,
e che l'andare non
avesse fine!
ALIGI: Pei
monti coglierai le genzianelle
e per le spiagge le
stelle marine.
MILA: Se
dovessi pontare i miei ginocchi
nelle tue péste,
mi trascinerei.
ALIGI:
Pensa ai riposi, quando farà notte!
La menta e il timo
avrai per origlieri.
MILA: Non
penso, no. Ma lascia, anche per questa
notte, ch'io viva
dove tu respiri,
ch'io t'ascolti
dormire anche una volta,
che anch'io vegli
per te come i tuoi cani!
ALIGI: Tu
lo sai, tu lo sai quel che s'attende.
Con te partisco l'acqua
il pane e il sale.
E così partirò la
giacitura
fino alla morte.
Dammi le tue mani!.
(Si prenderanno
per le mani guardandosi fisamente).
MILA: Ah,
si trema, si trema. Tu sei freddo,
Aligi, tu ti
sbianchi... Dove va
il sangue del tuo
viso che si perde?
(Ella si
scioglierà e con le mani gli sfiorerà le gote).
ALIGI: O
Mila, Mila, sento come un tuono...
E tutta la montagna
si sprofonda.
Dove sei? dove sei?
Tutto si perde.
(Anch'egli
tenderà le mani verso di lei, come uno che brancoli. E si
baceranno. Poi cadranno entrambi in ginocchio, l'uno di contro
all'altra).
MILA:
Miserere di noi, Vergine santa!
ALIGI:
Miserere di noi, Cristo Gesù!
(Sarà grande
silenzio).
UNA VOCE (di
fuori cruda): Pecoraio, ti cercano all'addiaccio.
Una pecora nera s'è
sciancata.
(Aligi si
alzerà vacillando, e andrà verso il richiamo).
Il massaro ti cerca,
che tu corra.
E dice che c'è una
con la còscina,
non so chi sia, che
ti va dimandando.
(Aligi
volgerà indietro il capo a guardare la donna rimasta in
ginocchio; e il suo sguardo abbraccerà tutte le cose).
ALIGI (a
bassa voce): Mila, rimetti l'olio nella làmpana
che non si spenga.
Vedi ch'arde appena.
Prendi l'olio dall'otro.
Ancor ve n'è.
E aspettami, che
arrivo fino al giaccio.
Paura non avere.
Dio perdona;
perché tremammo,
Maria ci perdona.
Rimetti l'olio, e
prega per la grazia.
(Si allontanerà
per i pascoli).
MILA:
Vergine santa, fatemi la grazia,
ch'io mi rimanga
con la faccia in terra
freddata qui, ch'io
sia trovata morta,
di qui rimossa per
la sepoltura.
Non fu peccato,
sotto gli occhi vostri.
Non fu peccato. Voi
lo concedeste.
Non furono le
labbra (siete voi
testimone) non
furono le labbra.
Posso morire sotto
gli occhi vostri.
Forza non ho d'andarmene,
Maria.
E vivere con lui
Mila non può!
Madre clemente,
malvagia non fui.
Fui una fonte
calpestata. E troppo
mi fu fatta
vergogna innanzi al Cielo.
Ma chi mi tolse
dalla mia memoria
la mia vergogna, se
non voi, Maria?
Rinata fui quando l'amore
nacque.
Voi lo voleste,
Vergine fedele.
Tutte le vene di
quest'altro sangue
vengono di lontano
di lontano,
dal fondo della
terra ove riposa
quella che m'allattò
(fate che anch'ella
ora mi vegga!),
dalla più lontana
innocenza. O Maria,
voi lo vedete.
Non le labbra,
dianzi (siete voi
testimone) non
furono le labbra.
E, s'io tremai, ch'io
porti nel trapasso
il tremito con me
nell'ossa mie.
Mi chiudo gli occhi
miei con le mie dita.
(Con l'indice e
il medio di ciascuna mano si premerà le pàlpebre; e curverà la
faccia sino a terra).
Sento la morte, me
la sento appresso.
Cresce il tremito.
E il cuore non si ferma.
(Si leverà
impetuosamente).
Ah sciagurata! Quel
che mi fu detto
non feci, e per tre
volte me lo disse:
Rimetti l'olio.
Ed ecco, ora si spegne!
(Correrà
verso l'otro, appeso a un asse, ma vigilando con l'occhio la
fiammella tremula dinanzi all'imagine e cercando di sostenerla
con la preghiera mormorata).
Ave Maria, gratia
plena, Dominus tecum...
(Spiccherà
l'otro che le si affloscerà tra le mani. Cercherà la caraffa
per versarvi l'olio; ma non potrà dall'otro spremuto trarre se
non qualche stilla).
È vuoto! È vuoto!
Vergine, tre gocce,
che mi sien sante
per l'estrema Unzione,
due per le mani, l'altra
per la bocca
e tutt'e tre sopra
l'anima mia!
Ma se ancóra son
viva, quando torna,
che gli dirò,
Madre, che gli dirò?
Certo che, prima di
veder me, vede
che la làmpana è
spenta. E se l'amore
non mi valse a
tenerla accesa, Madre,
che mai varrà per
lui quest'amor mio?
(Ella
spremerà anche una volta l'otro, frugherà una bisaccia,
capovolterà gli orciuoli, mormorando la preghiera).
Fate che v'arda,
Madre intemerata,
ancóra per un poco,
ancóra quanto
dura un'Avemaria,
dura una Salve
regina, Madre di
misericordia!
(Nella
ricerca affannosa ella andrà verso il limitare, udrà un passo,
scorgerà un'ombra. Si farà a chiamare, gridando).
O donna, buona
donna, cristiana,
accòstati, che Dio
ti benedica!
Accòstati, ché
forse Dio ti manda.
Che porti nella
còscina? Hai un poco
d'olio? Per carità,
dàmmene un poco!
Poi entra e scegli
e piglia quel che vuoi:
cucchiai mortai
conocchie fusi, tutto!
Bisogno c'è per la
Signora nostra,
per rimettere l'olio
nella làmpana
che non si spenga;
ché, se mi si spenge,
non vedo più la
via del Paradiso.
M'intendi,
cristiana? Me la vuoi
tu fare questa
carità d'amore?
(La
donna apparirà sul limitare, col volto coperto dall'ammantatura
nera, si toglierà dal capo lo staio di legno, senza dir parola,
e lo poserà a terra; di sopra vi toglierà il pannolino,
cercherà dentro, prenderà un utello pien d'olio e lo porgerà a
Mila di Codra).
Ah benedetta,
benedetta! Dio
ti rimeriterà in
terra e in cielo.
Tu l'hai, tu l'hai!
Vestita a lutto sei;
ma la Madonna ti
concederà
di riveder la
faccia del tuo morto
per questa carità
che tu mi fai.
(Ella prenderà
l'utello e si volgerà con ansia per correre alla làmpana
moribonda).
Ah, perdizione
sopra me! S'è spenta.
(L'utello
le sfuggirà dalle mani e si spezzerà sul suolo. Ella rimarrà
immobile per alcuni attimi, stretta dall'orrore dei presagi. La
donna ammantata si chinerà con un atto rapido e tacito verso l'olio
sparso, toccandolo con le dita della destra e poi segnandosi).
Scena quarta
Mila guarderà
la donna con una tristezza composta, e la rassegnazione disperata
farà sorda e tarda la sua voce.
MILA:
Perdóno, passeggiera di Cristo.
La tua carità non
mi valse.
L'olio è sparso, e
rotto l'utello.
La mala ventura è
su me.
Dimmi che vuoi.
Queste cose
le ha lavorate il
pastore.
Una conocchia nuova
col fuso
vuoi? Vuoi mortaio
e pestello?
Dimmi tu, ché io
nulla so.
Ormai son nel mondo
di giù.
L'AMMANTATA
(con la voce tremante): Figlia di Iorio, venni per te,
e ti portai questa
còscina,
per dimandarti una
grazia.
MILA: Ah
voce di cielo, nel mezzo
dell'anima mia,
sempre udita!
L'AMMANTATA:
Per te venni dall'Acquanova.
MILA:
Ornella! Ornella tu sei!
(Ornella si
scoprirà la faccia).
ORNELLA:
Sono la sorella di Aligi,
sono la figliuola
di Lazaro.
MILA: Ti
bacio i tuoi piedi umilmente,
che ti portarono a
me
perch'io rivedessi
il tuo viso
nell'ora dell'ambascia
mortale.
Tu alla pietà
fosti la prima
ed ora sei l'ultima,
Ornella!
ORNELLA:
Se la prima fui, penitenza
grande n'ho fatta.
Te lo dico
in verità, Mila di
Codra.
E la penitenza mi
dura.
MILA: Ti
trema la voce tua dolce.
Nella piaga il
coltello che trema
fa più strazio, ah
quanto più strazio!
E tu non lo sai,
giovanetta.
ORNELLA:
Sapessi quale ho io dolore!
Sapessi quanto male
rendesti
per quel poco di
bene ch'io feci!
Dalla casa mia
desolata
venni, dove si
piange e perisce.
MILA:
Perché vestita sei a lutto?
Chi ti morì? Tu
non rispondi.
Forse... forse...
la cognata tua?
ORNELLA:
Ah quella vorresti tu morta!
MILA: No,
no. Dio mi vede. Ho temuto,
ho avuto spavento
di dentro.
Dimmi, dimmi: Chi
dunque? Rispondi,
per Dio e per l'anima
tua!
ORNELLA:
Nessuno ancor ci morì,
ma tutti il lutto
si fa
del caro che
andarsene volle
in ruina del capo
suo.
Però se vedessi tu
quella,
se tu la mia madre
vedessi,
tremito ti prende.
Per noi
venne la state nera,
venne
l'autunno amaro
intoscato,
ché più tristo l'anno
bissesto
non poteva a noi
essere. Pure,
quand'io chiusi la
porta a salvarti,
in ruina del capo
mio,
tu non parevi già
dispietata,
tu che ci pregavi
pietà.
E tu mi dimandasti
il mio nome
per volermi in lode
nomare!
E al mio nome è
fatta vergogna
mane e sera nella
mia casa,
e vituperata e
cacciata
io sono in disparte,
ché ognuno
grida: Eccola
dunque colei
che mise la spranga
alla porta
perché dentro
restasse il malanno
appiattato nel
focolare.
E più non posso. E
dico: Piuttosto
cavate le vostre
coltella
e a pezzi
stracciatemi. Questa
è la mercé, Mila
di Codra.
MILA: È
giusto, è giusto che tu
mi percuota, è
giusto che tu
m'abbeveri in
questa amarezza,
con questo
patimento accompagni
la mia colpa nel
mondo di giù.
Forse per me il
sasso e la stipa
e la paglia e il
legno insensato
parleranno, e l'Angelo
muto
che al fratel tuo
è vivo in quel ceppo
e la Vergine senza
il suo lume
parleranno; e non
io parlerò.
ORNELLA:
Creatura, ora sembra che a te
l'anima tua sia
vestimento
e ch'io possa
toccarla stendendo
verso te la mia
mano di fede.
Or come tu sai
tanto male
gettare alla gente
di Dio?
Se Vienda nostra
vedessi,
tremi tutta. Fra
poco la pelle
le si schianta su l'ossa
per l'arido,
e le sue gengive
più bianche
son che i denti
nella sua bocca.
E, come cadeva la
prima
pioggia, sabato,
mamma ci disse
piangendo:
Ecco, ecco, ora sen va,
nella frescura si
piega e si disfa.
Ma non piange il
mio padre: il suo fiele
ei mastica senza
far motto.
Gli s'invelenì la
ferita.
La resipola trista
lo colse
(San Cesidio e San
Rocco ci guardi!)
e nell'enfiagione
la bocca
gli lasciò per dì
e notte latrare.
Tutto un fuoco
scuro eragli il capo.
E incanito le
grandi biasteme
ei facea, da
scuoter la casa:
e noi sbigottivamo...
Tu batti
i denti, creatura.
Hai la febbre,
che così ti
ricorre riprezzo?
MILA:
Sempre, a calata di sole,
m'entra addosso il
freddo; ché usa
non sono alla sera
dei monti.
A quest'ora s'accendono
i fuochi.
Ma parla, parla
senza pietà.
ORNELLA:
Ieri da un motto compresi
ch'ei s'era messo
in pensiero
di salire quassù
allo stazzo.
Tornar non lo vidi
iersera,
e il sangue mi si
fermò.
Allora apprestai
questa còscina.
M'aiutarono le mie
sorelle;
ché tre siamo,
nate di madre,
tutte e tre segnate
al dolore.
E stanotte lasciai
l'Acquanova,
passai il fiume
alla scafa
e la montagna
pigliai...
Ah, creatura di
Cristo,
a questa pena non
reggo.
Che posso io fare
per te?
Or tu tremi più
malamente
che quando eri
presso il camino
e i mietitori
incanivano.
MILA: E tu
l'hai scontrato? Tu sai
che venuto egli è
allo stazzo?
Sei certa, Ornella,
sei certa?
ORNELLA:
Non l'ho più veduto. Né so
s'egli siasi
partito per monte.
So che anco aveva
faccenda
al Gionco. E forse
non viene.
Non isbigottire! Ma
sentimi,
sentimi. Per l'anima
tua
salvare, Mila di
Codra,
abbi pentimento e
rimuovi
questo malificio da
noi.
Ridónaci Aligi: e
con Dio vatti,
che abbia
misericordia di te!
MILA:
Sorella d'Aligi, contenta
sempre sono a te d'ubbidire.
È giusto che tu mi
percuota,
me femmina malvagia,
me figlia
di mago,
svergognata sortiera,
che per carità
supplicai
alla viatrice di
Cristo
che un poco d'olio
mi desse
da nutrire una
làmpana santa!
Forse dietro a me l'Angelo
piange
un'altra volta; e
forse le pietre
per me parleranno,
ma io
non parlerò.
Soltanto, pel nome
di sorella, ti dico
(se il vero
non dico, in questo
punto sobbalzi
dalla fossa la
madre mia cara
e pe' capegli
prendami e in nera
terra mi sbatta e
testimonio
faccia contro la
figlia bugiarda)
soltanto ti dico:
Io son senza
peccato inverso il
fratel tuo.
Te lo dico: Innanzi
al giaciglio
del fratel tuo,
sono monda.
ORNELLA:
Dio possente, miracolo fai!
MILA: E
questo è l'amore di Mila,
questo è l'amor
mio, giovanetta.
Altra cosa non
parlerò.
Contenta sono a te
d'ubbidire.
Sa le sue vie la
figlia di Iorio;
e incamminata già
s'era
l'anima sua, prima
che tu
venissi a chiamarla,
o innocente.
E non diffidare,
sorella
d'Aligi, che non
hai d'onde.
ORNELLA:
Fede ho più ferma che pietra.
Tra ciglio e ciglio
t'ho vista
la verità. E il
resto è caligine.
E io poverella mi
sperdo.
Per ciò ti bacerò
i tuoi piedi
che sanno le vie,
umilmente.
T'accompagnerò nel
viaggio
col mio compianto
nascosto;
pregherò che ti
sieno contati
tutti i tuoi passi
e ti sia
rallentato il
dolore ad ognuno.
E la pena che
abbiamo patita
non più la
metterò sopra te.
Non giudicherò la
sciagura.
Non giudicherò l'amor
tuo.
Poiché tu inverso
fratelmo
sei senza peccato,
in cuor mio
ti chiamerò la mia
suora,
la mia suora
sbandita; e vederti
vo' talvolta ne'
sogni dell'alba.
MILA: Ah,
coricata già fossi
su la terra nera
con chiusi
già gli occhi, e
fossero queste
le ultime parole da
me
udite in promessa
di pace!
ORNELLA:
Per la vita tua ho parlato.
E t'ho recato il
consólo,
che almeno nel
primo cammino
non ti manchi un po'
di viatico.
Per te apprestai
questa còscina
col mangiare e col
bere (ora l'olio
è versato!); ma un
fiore non misi,
perdonami, ché non
sapevo...
MILA: Un
fiore turchino, l'acònito,
messo non me l'hai
nella còscina:
e messo non m'hai
né il lenzuolo
tagliato nella tela
tessuta
in quel tuo telaio
che vidi
tra il focolare e la porta!
ORNELLA:
Mila, aspetta l'ora da Cristo.
Dov'è il fratello?
Allo stazzo
non era, dianzi.
Dov'è?
MILA:
Tornerà, certo, prima di notte.
Bisogna ch'io m'affretti,
bisogna.
ORNELLA:
Non vuoi tu rivederlo? parlargli?
Dove andrai tu di
notte? Rimanti
e anch'io mi
rimarrò nel ricetto,
e dinanzi al dolore
saremo
noi tre. Poi all'alba
tu andrai
per la tua via, noi
per la nostra.
MILA: Son
già lunghe le notti. Bisogna
ch'io m'affretti.
Non sai.
Te lo dico: Da lui
anche m'ebbi
il viatico, che non
si può
dare due volte.
Addio. Vagli incontro,
cercalo: ora è
certo allo stazzo.
Trattienilo intanto;
raccontagli
quel che si soffre
laggiù.
E ch'ei non m'insegua!
Ma in via
nascosta sarò.
Benedetta,
sempre benedetta!
Sii dolce
al suo dolore come
al mio fosti.
Addio, Ornella,
Ornella, Ornella!
(Ella
così parlando si ritrarrà di continuo verso l'ombra del fondo;
mentre la giovanetta, soffocata dal singulto, si allontanerà
fuggendo. Riapparirà sul limitare la vecchia dell'erbe. Ancor si
udrà, ma sempre più fievole, il cantare dei pellegrini giù per
il valico).
Scena quinta
Anna Onna
entrerà, arrancando, poggiata alla sua stampella, con la sua
sacca di semplici penzoloni sul ventre.
ANNA ONNA
(affannata): L'ha liberato, donna del piano,
l'ha liberato! Di
dentro
cacciato gli ha le
dimonia
Cosma, all'ossesso.
Egli è santo.
Ha dato un gran
grido di toro
il giovine, e
caduto è di colpo
come se scoppiato
gli fosse
il suo petto. Udito
non l'hai
fin qui? Ora dorme
su l'erba,
ora dorme profondo;
e i pastori
gli stanno d'intorno
a guatarlo.
Vieni, vieni e lo
vedi anche tu.
Ma dove sei, che
poco ti scopro?
MILA: Anna
Onna, fa dormir me!
Vecchia mia, ti do
quella còscina
che piena è di
mangiare e di bere...
ANNA ONNA:
Chi era colei che fuggiva?
Trafugato t'ha il
cuore del petto,
che tu la chiamavi
così?
MILA:
Vecchia, ascolta. Ti do quella còscina
piena, ch'è posata
là in terra,
se per farmi
dormire mi dài
di quei semi neri
che sai...
di ioscìamo... Poi
va, mangia e bevi.
ANNA ONNA:
Non ne ho, non ne ho più nella sacca.
MILA: Per
giunta la pelle di pecora
dove oggi hai
dormito ti do
e tu di quelle
coccole dammi
rosse che sai...
bacche di nasso...
Poi va, satòllati
e cionca.
ANNA ONNA:
Non ne ho, non ne ho più nella sacca.
Adagio un po',
donna del piano,
adagio adagio, col
tempo.
Pensaci un giorno
un mese e un anno.
MILA:
Vecchia mia, e per giunta ti do
un fazzoletto a
saltèro
e di pannolano tre
braccia,
se mi dài di
quelle radici
che vendi ai
pastori, di quelle
che ammazzano
sùbito i lupi...
le barbe dell'erba
lupària...
Poi va, e
raccónciati l'ossa.
ANNA ONNA:
Non ne ho, non ne ho più nella sacca.
Adagio un po',
donna del piano.
Col tempo c'è
sempre guadagno.
Pensaci un giorno
un mese e un anno.
Con l'erbe di Madre
Montagna
si guarisce ogni
male e malanno.
MILA: Tu
non vuoi? Bene, io te la strappo
la tua sacca e
dentro la frugo
e quel che mi giova
mi prendo.
(Tenterà di
strappare la sacca alla vecchia barcollante).
ANNA ONNA:
No, no. Tu mi rubi, a me vecchia,
mi fai forza! A me
caverà gli occhi
il pecoraio, a
pezzi mi straccia...
(S'udrà un
passo e apparirà l'ombra d'un uomo al limitare della spelonca).
Ah, sei tu, Aligi?
sei tu?
Guarda la
forsennata che fa!
Scena sesta
Mila di Codra
lascerà cadere la sacca strappata alla vecchia; e guarderà l'uomo
sopraggiunto, alto nel campo del chiarore. Ma, riconoscendolo,
gitterà un grido e si rifugerà nell'ombra del fondo. Allora
Lazaro di Roio entrerà, in silenzio, portando una corda avvolta
al braccio, come un bifolco che abbia sciolto il bue. Si udrà
sonare sul sasso la stampella frettolosa di Anna Onna andata in
salvo.
LAZARO DI ROIO:
Femmina, non avere paura.
Lazzaro di Roio è
venuto
ma senza portare la
falce;
ché a pena di
talione
obbligarti non
vuole. Cavato
più che un'oncia
di sangue gli fu
sul campo di Mispa;
e tu sai
la cagion della
sciarra e la fine.
Che tu gli renda
oncia per oncia
non vuole, se bene
gli brucia
la cicatrice nel
capo.
Penna nera e fronda
d'ulivo,
olio forte e
filiggine di camino,
mane e sera, sera e
mane
per la resipola
cane!
(Riderà d'un
riso breve e crudo).
E, dov'era colcato,
sentiva
piangere e lagnare
le donne
non per lui ma sì
pel pastore
magato da una
magalda
su la montagna
distante.
Certo, femmina,
male scegliesti.
Ma s'è rifatto il
mio sangue,
e troppe altre
parole non dico,
ché la lingua
risecca m'è già;
ed è sempre l'istessa
cagione.
Or tu verrai meco
senz'altre
parole, figlia di
Iorio.
Ho quaggiù l'asina
e il basto
e anco una corda di
canapa
e una di sparto,
Dio grazia.
(Mila resterà
immobile, addossata alla roccia, senza rispondere).
Hai tu inteso, Mila
di Codra?
O mutola e sorda
sei fatta?
Or io te lo dico
con pace:
Ben so come fu
quella volta
dei mietitori di
Norca.
Se pensi di star
contro me
su l'istesse difese,
t'inganni.
Qui non v'è
focolare, né v'è
parentado; né
Santo Giovanni
suona la campana a
salute.
Io muovo tre passi
e ti prendo.
E due buoni compari
ho con meco.
Per ciò, te lo
dico con pace,
t'è meglio farti
grado di quello
a che la necistà
ti costringe.
MILA: Che
vuoi tu da me? Sopraggiunto
sei quando la morte
era là,
che s'è tratta da
parte a lasciarti
entrare, e rimasta
è pur là.
Raccatta quella
sacca. V'è dentro
ràdica da ammazzar
dieci lupi.
E tu légamela alla
mascella
tu stesso, ché io
di buona bocca
dentro vi mangerò
- tu vedrai -
come la giumenta
che trita
la sua biada. Poi
anche me
raccattami fredda e
sul basto
mettimi traverso
legata
con le tue corde e
mandami giù
con l'asina innanzi
al balivo
dicendo: Ecco
la svergognata
sortiera! E m'ardano
il corpo,
e vengan le tue
donne a guardare
e si rallegrino.
Forse
una caccerà la sua
mano
nelle fiamme senza
bruciarsi,
per trarne fuora il
mio cuore.
(Lazaro,
alla prima incitazione, avrà raccattata la sacca dei semplici e
scrutata. La gitterà dietro a sé con diffidenza e dispregio).
LAZARO: Ah,
ah, tu mi vuoi tendere un laccio.
Chi sa a che
agguato mi tiri.
Nella voce ti sento
l'insidia.
Ma io ti prenderò
nel mio cappio.
(Egli farà un
cappio alla sua corda).
Né morta né
fredda ti vuole
Lazaro, per la Dio
grazia!
Mila di Codra,
vendemmia
vuol fare con te,
quest'ottobre.
Acconciate già son
le sue tina.
L'uva vuol pigiare
con te
Lazaro e azzuffarsi
col mosto.
(Si
avanzerà verso la donna ridendo bieco. Mila si terrà pronta a
sfuggirgli. L'uomo la incalzerà. Ella balzerà di qua e di là,
ma senza scampo).
MILA: Non
mi toccare! Abbi vergogna.
Il tuo figlio è
dietro di te.
Scena settima
Aligi apparirà
sul limitare. Scorgendo il padre, perderà ogni colore di vita.
Lazaro s'arresterà per volgersi a lui. Il padre e il figlio si
guarderanno fisamente.
LAZARO:
Che c'è egli, Aligi? Che è?
ALIGI:
Padre, come siete venuto?
LAZARO:
Succhiato ti fu il sangue, che sei
sbiancato così? Te
ne coli
come il siero dalla
fiscella,
pecoraio, per lo
spavento.
ALIGI:
Padre, che volete voi fare?
LAZARO:
Che voglio io fare? Dimanda
rivolgere a me, non
t'è lecito.
Ma ti dirò che
prendere voglio
la pecora cordesca
nel cappio
e trarla dove più
mi talenta.
Poi giudicherò del
pastore.
ALIGI:
Padre, non farete voi questo.
LAZARO:
Come ardimento hai di levare
il viso inverso me?
Tu bada
ch'io non te l'arrossi
di sùbito.
Va e torna allo
stazzo, e rimanti
con la tua mandra
dentro la rete
finché io non
venga a cercarti.
Per la vita tua,
obbedisci.
ALIGI:
Padre, tolga il Signore da me
ch'io non vi faccia
obbedienza.
E voi giudicare
potete
del figliuol vostro;
ma questa
creatura lasciate
in disparte,
lasciatela piangere
sola.
Non l'offendete. È
peccato.
LAZARO: Ah
mentecatto di Dio!
Di quale santa tu
parli?
Non vedi (ti
cascassero gli occhi)
non vedi che costei
ha di sotto
le sue pàlpebre,
intorno il suo collo
i sette peccati
mortali?
Certo, se la vedono
i tuoi
montoni, la cozzano.
E tu
hai temenza ch'io
non l'offenda!
io ti dico che la
carrareccia
della strada
maestra assai meno
delle costei
vergogne è battuta..
ALIGI: Se
non mi fosse a Dio peccato,
se all'uomo non mi
fosse misfatto,
padre, io vi direi
che di questo
per la strozza
avete mentito.
(Farà alcuni
passi obliqui e si frapporrà fra il padre e la donna, coprendo
lei della sua persona).
LAZARO:
Che dici? Ti si secchi la lingua!
Mettiti in
ginocchio e domanda
perdóno con la
faccia per terra,
e non t'ardire più
di levarti
innanzi a me, ma
carpone
vattene e statti
coi cani.
ALIGI:
Il Signore sia giudice, padre;
ma questa creatura
alla vostra
ira non posso
lasciare,
se vivo. Il Signore
sia giudice.
LAZARO: Io
ti son giudice. Chi
sono io a te, pel
tuo sangue?
ALIGI: Voi
siete il mio padre a me caro.
LAZARO: Io
sono il tuo padre; e di te
far posso quel che
m'aggrada,
perché tu mi sei
come il bue
della mia stalla,
come il badile
e la vanga. E s'io
pur ti voglia
passar sopra con l'erpice,
il dosso
diromperti, be',
questo è ben fatto.
E se mi bisogni al
coltello
un manico ed io me
lo faccia
del tuo stinco, be',
questo è ben fatto;
perché io son
padre e tu figlio,
intendi? E a me
data è su te
ogni potestà, fin
dai tempi
dei tempi, sopra
tutte le leggi.
E come io fui del
mio padre,
tu sei di me,
financo sotterra.
Intendi? E se del
cervello
questo ti cadde, io
tel riduco
in memoria.
Inginòcchiati, e bacia
la terra, ed esci
carpone,
e va senza volgerti
indietro!
ALIGI:
Passatemi sopra con l'erpice
ma non toccate la
donna.
(Lazaro gli s'accosterà,
senza più contenere il furore; e, levando la corda, lo
percoterà su la spalla).
LAZARO:
Giù, giù, cane, mettiti a terra!
(Aligi cadrà su
i ginocchi).
ALIGI:
Ecco, padre mio, m'inginocchio
dinanzi a voi,
bacio la terra.
E al nome di Dio
vivo e vero,
pel mio primo
pianto di quando
vi nacqui, di
quando prendeste
me non ancóra
fasciato
nelle vostre mani e
m'alzaste
verso il Santo
Volto di Cristo,
io vi prego, vi
prego, mio padre:
Non calpestate
così
il cuore del figlio
dolente,
non gli fate quest'onta!
Vi prego:
Non gli togliete il
suo lume,
non lo date alla
branca del falso
nemico che gira d'intorno!
Vi prego, per l'Angelo
muto
che vede e che ode
nel ceppo!
LAZARO: Va,
va, esci fuori, esci fuori
e dopo ti
giudicherò.
Esci fuori, ti dico.
Esci fuori.
(Crudelmente
egli lo percoterà con la corda. Aligi si solleverà tutto
tremante).
ALIGI: Il
Signore sia giudice, e giudichi
fra voi e me, e
vegga, e mi faccia
ragione; ma io
sopra voi
non metterò la mia
mano.
LAZARO:
Maledetto! T'appicco il capestro...
(Gli
getterà il cappio per prendergli il capo; ma Aligi schiverà la
presa afferrando la corda e togliendola al padre con una stratta
improvvisa).
ALIGI:
Cristo Signore, aiutami tu,
ch'io non gli metta
addosso la mano,
ch'io non faccia
questo al mio padre!
(Furente, Lazaro
correrà al limitare chiamando).
LAZARO: O
Ienne, o tu, Femo, venite,
venite a vedere
costui
quel che fa (lo
freddasse una serpe!).
Portate le corde.
Invasato
è per certo.
Minaccia il suo padre!
(Accorreranno
due bifolchi membruti, portando le corde).
Mi s'è ribellato
costui!
Maledetto fu sin
nel ventre
e per tutti i suoi
giorni e di là.
Lo spirito malo gli
è entrato.
Guardatelo, senza
più sangue
la faccia. O Ienne,
tu prendilo.
O Femo, hai la
corda, tu legalo.
Legatelo e
gettatelo fuori
ché io non mi
voglio macchiare.
E correte a
chiamare qualcuno
che l'escongiurazione
gli porti.
(I due bifolchi
si getteranno su Aligi per sopraffarlo).
ALIGI:
Fratelli in Dio, non fatemi questo!
Non ti perdere l'anima
tua,
Ienne. Ti riconosco.
Di te
mi rammento, quand'ero
bambino,
che venni a
raccoglier l'olive
nel tuo campo,
Ienne dell'Eta.
Mi rammento. Non
farmi quest'onta,
non vituperarmi
così!
(I bifolchi lo
terranno serrato e cercheranno di legarlo, trascinandolo, mentre
egli si divincolerà).
Ah, cane! Di peste
perissi!
No, no, no! Mila,
Mila, corri,
prendimi là un
ferro. Mila! Mila!
(Si udrà
ancóra la sua voce rauca e disperata, mentre Lazaro chiuderà a
Mila lo scampo).
MILA:
Aligi, Aligi, Dio ti vaglia!
Dio ti vendichi!
Non disperare.
Forza non ho, forza
non hai.
Ma, finché m'è in
bocca il mio fiato,
sono di te, sono
per te!
Abbi fede. L'aiuto
verrà.
Fa cuore, Aligi.
Dio ti vaglia!
Scena ottava
Mila starà con
gli occhi fissi a quella parte, con l'orecchio teso per cogliere
le voci. Nella breve tregua, Lazaro scruterà la caverna
insidiosamente. Si udrà in lontananza il cantare di un'altra
compagnia trapassante pel valico.
LAZARO: Femmina,
or hai tu veduto
che il padrone son
io. Do la legge.
Rimasta sei sola
con me.
Si comincia a far
sera; e qui dentro
è già quasi notte.
Paura
non avere, Mila di
Codra,
né di questa mia
cicatrice
se accesa la vedi,
che ancóra
mi ci sento batter
la febbre...
Accòstati.
Consunta mi sembri.
Nel giaccio del
pecoraio
non avesti per
certo la grassa
pasciona. Da me tu
potresti
averla, se tu la
volessi,
alla pianura; ché
Lazaro
di Roio è capoccio
fornito...
Ma che guati per
là? che aspetti?
MILA:
Nulla aspetto. Non viene nessuno.
(Vigilerà,
nella speranza di vedere apparire Ornella per salvazione.
Dissimulando e temporeggiando, tenterà d'ingannare l'uomo).
LAZARO:
Sei sola con me. Non avere
paura. Ti sei
persuasa?
MILA (lentamente):
Ci penso, Lazaro di Roio,
ci penso, a quel
che prometti...
Ci penso. Ma chi m'assicura?
LAZARO:
Non ti scostare. Mantengo
quel che prometto,
ti dico,
se Dio mi dà bene.
Vien qua.
MILA: E
Candia della Leonessa?
LAZARO:
Metta amara saliva e con quella
bagni il filo di
canapa e torca.
MILA: E
tre figlie tu hai nella casa,
e la nuora. Non mi
confido.
LAZARO:
Vien qua. Non ti scostare. Qua, senti:
ho vénti ducati
cuciti
dentro la pelle. Li
vuoi?
(Palperà
l'orlo della sua casacca di pelle di capra. Poi se la toglierà
di dosso e la getterà per terra, ai piedi della donna).
Tieni! Non li senti
che suonano?
Sono vénti ducati
d'argento.
MILA: Vo'
prima vedere; vo' prima
contare, Lazaro di
Roio.
Ora prendo le
forbici e sdrucio.
LAZARO: Ma
che guati? Ah, magalda, tu certo
preparando mi vai
qualche sorte
e tenermi a bada ti
credi.
(Egli
l'assalirà per prenderla. La donna gli sfuggirà nell'ombra,
andrà a rifugiarsi presso il ceppo di noce).
MILA: No!
No! No! Lasciami! Lasciami!
Non mi toccare.
Ecco, viene! Ecco, viene
la tua figlia...
Ornella ora viene.
(Ella si
aggrapperà all'Angelo perdutamente, per resistere alla violenza).
No, no! Ornella,
Ornella, aiuto!
(D'improvviso,
alla bocca della caverna, apparirà Aligi disciolto. Vedrà il
viluppo nell'ombra. Si precipiterà contro il padre. Scorgerà
nel ceppo rilucere l'asce ancóra infissa. La brandirà, cieco di
orrore).
ALIGI:
Lasciala, per la vita tua!
(Colpirà
il padre a morte. Ornella, sopravvenuta, si chinerà a
riconoscere nell'ombra il corpo stramazzato a piè dell'Angelo.
Gitterà un gran grido).
ORNELLA: Ah! E io t'ho sciolto! E io t'ho sciolto!
ATTO TERZO
Si vedrà un'aia
grande; e al fondo una quercia venerabile per vecchiezza; e,
dietro il tronco, la campagna limitata dai monti, solcata dalla
fiumana. Si vedrà a manca la casa di Lazaro, la porta aperta, il
portico ingombro di strumenti rurali; a dritta, il fienile il
frantoio il pagliaio.
Scena prima
Il cadavere di
Lazaro sarà steso sul nudo suolo, dentro la casa, poggiato il
capo a un fascio di sermenti, secondo il costume. E le
Lamentatrici gli staranno d'intorno inginocchiate. Di loro una
intonerà, l'altre in coro voceranno; e per fare il lamento si
chineranno l'una verso l'altra tenendo fronte con fronte. Sotto
il portico, fra l'aratro e il tino, staranno le donne del
parentado, e Splendore e Favetta. Più oltre, Vienda di Giave
sarà seduta su una pietra, con l'aspetto di una morente,
confortata dalla sua madre e dalla sua madrina. Sola Ornella
sarà sotto l'albero, con lo sguardo rivolto verso il sentiero.
Tutte in gramaglia.
IL CORO DELLE
LAMENTATRICI: Iesu Cristo, Iesu Cristo,
l'hai possuto
sofferire!
D'esta morte
scellerata
dovìa Lazaro
morire!
S'è veduto a vetta
a vetta
tutto, 'l monte
isbigottire.
S'è veduto in ciel
lo sole
la sua faccia
ricuoprire.
Ahi, ahi! Lazaro,
Lazaro, Lazaro!
Ahi, che pianto si
piange per te!
Requiem æternam
dona ei, Domine.
ORNELLA:
Ora viene! Ora viene! Si vede
lo stendardo nero,
e la polvere.
Sorelle, sorelle,
pensate
alla madre, che si
prepari...
che il cuor non le
scoppi... Fra poco
viene. Ecco,
laggiù alla svolta,
lo stendardo nero
apparito!
SPLENDORE:
Maria della Pietà, pel tuo Figlio
messo in croce, tu
sola puoi dirlo
alla madre, e tu
parlale dentro!
(Alcune donne
esciranno del portico a guardare).
ANNA DI BOVA:
È il cipresso del campo a Fiumorbo.
FELÀVIA
SÈSARA: È l'ombra del nuvolo in terra.
ORNELLA:
Non è né il cipresso né l'ombra
del nuvolo, donne.
Io lo vedo:
né il cipresso né
il nuvolo, ahimè.
Lo stendardo è del
Malificio,
che l'accompagna.
Ora viene,
per il commiato di
morte,
per aver dalla
madre la tazza
del consólo e
andarsene a Dio.
Ah perché non
moriamo noi tutte
dietro a lui?
Sorelle, sorelle!
(Le sorelle si
volgeranno alla porta e guateranno).
IL CORO DELLE
LAMENTATRICI: Iesu Iesu, meglio era
ch'esto tetto si
sfacesse.
Ahi che troppo è
gran dolore,
Candia della
Leonessa,
l'uomo tuo su nuda
terra,
e guancial non gli
è permesso!
Solo un fascio di
sermenti
sotto il capo gli
fu messo!
Ahi, ahi! Lazaro,
Lazaro, Lazaro!
Ahi, che pena si
pena per te!
Requiem æternam
dona ei, Domine.
SPLENDORE:
Favetta, va tu; va e parla.
Va tu; e le tocca
una spalla,
ch'ella senta e si
volga. Seduta
su la pietra del
focolare
sta, fisa; e ciglio
non muove,
e par che non veda
e non oda,
e pare sia tutta
una pietra.
Vergine di
misericordia,
non le togliere il
senno, alla misera!
Fa che ci guardi e
negli occhi
nostri si riconosca
la misera!
Ma io cuore non ho
di toccarla.
E chi le dirà la
parola?
Sorella, va e dille:
Ecco viene.
FAVETTA:
Né io non ho cuore. Ho spavento.
Non me la ricordo
com'era,
e né mi ricordo la
voce
com'era prima che
fossimo
in doglia.
Incanutita s'è tutta,
e ogni ora più
bianco diventa
il suo capo. Mi
pare che nostra
non sia più; mi
pare distante
e che stia seduta
su quella
pietra da cent'anni
e per altri
cent'anni, e più
non si ricordi
di noi... Vedete,
vedete
come tien chiusa la
bocca!
Più chiusa di
quella ch'è fatta
muta per sempre là
in terra.
Come dunque parlare
potrà?
Io non la tocco, io
non le dico:
Ecco viene. Se si
scuote,
cade, stramazza. Ho
spavento.
SPLENDORE:
Ah perché siamo nate, sorelle?
Perché ci partorì
nostra madre?
Ci prendesse tutte
in un fascio
la morte, ci
portasse con sé!
IL CORO DELLE
PARENTI: - Ah che pietà, creature!
- Che pietà di voi,
creature!
- Su, fate cuore,
che Dio
vi rialzerà, se v'ha
stronche.
- Dio vi dà la
trista vendemmia
ma forse l'oliva
sarà
meno scura. Abbiate
fidanza.
- E c'è una che
forse è più misera
di voi, c'è una
che stava
nella sua casa, in
mezzo al suo pane,
qui entrò, s'addormì,
si svegliò
a sorte perversa, e
non ebbe
più bene e si
muore: Vienda.
- È già nel mondo
di là.
- E quella non si
lagna e non lacrima.
- Ah che pietà
della carne
cristiana, della
vita nostra,
di tutta la gente
che nasce
dolora trapassa e
non sa!
ORNELLA:
Ecco viene Femo di Nerfa
il bifolco, viene
correndo.
E lo stendardo s'è
fermo
al Tabernacolo
bianco.
Sorelle, volete ch'io
stessa
vada e la parola le
porti?
Ahimè, forse non
si rammenta
quel che bisogna.
Ma, Dio
liberi, se pronta
non è
ed ei sopraggiunge
e la chiama
e all'improvviso
ella ode la voce,
allora certo il
cuore le scoppia.
ANNA DI BOVA:
Ah che certo il cuore le scoppia,
Ornella, se tu vai
e la tocchi.
Hai la mala ventura
con te;
e tu fosti a
chiuder la porta
e tu fosti a
sciogliere Aligi.
IL CORO DELLE
LAMENTATRICI: A chi lo lasci l'aratro,
oh Lazaro, a chi lo
lasci?
Chi ti vanga il
campo tuo,
la tua mandra chi
la pasce?
Padre e figlio l'Inimico
ha pigliato con un
laccio.
Morte infame, morte
infame,
corda e sacco e
ferro d'asce!
Ahi, ahi! Lazaro,
Lazaro, Lazaro!
Ahi, che scempio si
pate per te!
Requiem æternam
dona ei, Domine.
(Apparirà il
bifolco ansante).
FEMO DI NERFA:
Dov'è Candia? Figliuole del Morto,
il giudizio è
fatto. Baciate
la polvere,
prendete la cenere.
Il Giudice del
Malificio
ha dato sentenzia
finale,
e tutto il popolo
è giustiziere
del parricida e l'ha
nelle mani.
Ora il fratel
vostro lo portano
qui, a pigliar
perdonanza
dalla madre sua,
che la madre
la tazza gli dia
del consólo,
prima che la mano
gli tàglino,
prima che nel sacco
lo sèrrino
col can mastino e
lo gèttino
al fiume in dove fa
gorgo.
Figliuole del Morto,
baciate
la polvere,
prendete la cenere.
E Nostro Signore
Gesù
abbia pietà del
sangue innocente!
(Le
tre sorelle correranno l'una verso l'altra e si stringeranno
insieme, capo con capo, restando nell'atto. Si udrà a quando a
quando il rullo sordo del tamburo funereo).
MARIA CORA:
O Femo, e perché l'hai tu detto?
FEMO DI NERFA:
Dov'è Candia che non apparisce?
LA CINERELLA:
Su la pietra del focolare,
è là: non fa
segno né motto.
ANNA DI BOVA:
E nessuno si ardisce toccarla.
LA CINERELLA:
Ne hanno spavento le figlie.
FELÀVIA
SÈSARA: E tu, Femo, hai testimoniato?
LA CATALANA:
E Aligi l'avesti vicino?
E, innanzi al
giudice, che disse?
MÒNICA DELLA
COGNA: Che disse? che fece? Urla mise
e diè nelle smanie
il meschino?
FEMO DI NERFA:
Sempre ginocchione si stette
e si guardava la
mano.
E diceva ogni
tratto: Mea culpa.
E innanzi a sé
baciava la terra.
E aveva un viso
umile e pio
così che pareva
innocente.
E l'Angelo
intagliato nel ceppo
era là con la
macchia di sangue.
E molti piangevano
intorno.
E taluno diceva:
È innocente.
ANNA DI BOVA:
E la mala femmina Mila
di Codra ritrovata
non fu?
LA CATALANA:
La figlia di Iorio dov'è?
Non se n'ha novella?
Che sai?
FEMO DI NERFA:
Cercata per gli stazzi fu molto
ma nessuna traccia
lasciò.
I pastori non l'hanno
veduta.
Solo Cosma, il
santo dei monti,
dice averla veduta
e che in qualche
forra è andata a
gittar l'ossa sue.
LA CATALANA:
La tròvino i corvi ancor viva
e gli occhi le
bécchino, i lupi
la tròvino viva e
la stràccino!
FELÀVIA
SÈSARA: E sempre rinasca allo strazio
la carne sua
maledetta!
MARIA CORA:
Taci, taci, Felàvia. Silenzio!
Silenzio! Candia s'è
alzata,
cammina, ora viene
alla soglia,
ora esce. Figliuole,
figliuole,
s'è alzata.
Reggetela voi.
(Le sorelle si
scioglieranno e andranno verso la porta).
IL CORO DELLE
LAMENTATRICI: Candia della Leonessa,
dove vai? Chi t'ha
chiamata?
Sigillata è la tua
bocca,
il tuo piede è
catenato.
Lasci dietro a te
la morte
e t'imbatti nel
peccato!
Unque vai, unque ti
volti,
il cammino è
disperato.
Ahi, ahi, cenere
misera, ahi vedova,
ahi madre! Iesu
Iesu, pietà!
De profundis
clamavi ad te, Domine.
(La madre
apparirà su la soglia).
Scena seconda
Le figlie
faranno l'atto di sostenerla trepidando. Ella le guarderà
attonita.
SPLENDORE:
Madre cara, ti sei levata. Forse
ti bisogna qualcosa,
un sorso almeno
di vin moscato, un
po' di cordiale?
FAVETTA: E
screpolato t'è il labbro tuo caro
dalla secchezza.
Vuoi che ti si bagni?
ORNELLA:
Mamma, fa cuore. Siamo qui con te.
Alla prova più
trista Iddio ti chiama.
CANDIA DELLA
LEONESSA: E d'una tela viense tanta trama
e d'una fonte
viense tanto fiume
e d'una quercia
viense tante rame
e d'una madre tante
creature!
ORNELLA:
Mamma, la fronte ti coce. Oggi è un tempo
che fa afa; e t'è
grave questo panno.
Tutto in sudore t'è
il tuo caro viso.
MARIA CORA:
Gesù Gesù, che non esca di senno!
LA CINERELLA:
Vergine, che il farnetico le passi!
CANDIA: È
tanto tempo che non ho cantato,
non so se la
ritrovo l'aria mia.
Ma oggi è venardì
e non si canta;
il Signore s'è
messo in penitenza.
SPLENDORE:
O madre mia, dove sei con la mente?
Guardi e non ci
conosci! Qual pensiero
ti trae? Misere noi,
che è mai questo?
CANDIA:
Questo è il pianeta, e questo è il Sacramento,
e questo è il
campanile di San Biagio,
e questo è il
fiume e questa è la mia casa.
Ma chi è questa
che sta su la porta?
(Un
terrore sùbito assalirà le giovanette. Si discosteranno
alquanto a riguardare la madre, e gemeranno sommesse).
ORNELLA:
Ah, sorelle, sorelle mie, perduta
l'abbiamo! Anche la
madre nostra abbiamo
perduta! Escita è
di senno, vedete.
SPLENDORE:
Sventura nostra! Maledette siamo
da Dio. Siamo
rimaste sole in terra!
FAVETTA: O
donne, buone parenti, scavateci
la fossa accanto a
quell'altra, e metteteci
tutte e tre giù,
così come siam vive.
FELÀVIA
SÈSARA: No, non isbigottite, creature;
ché la percossa le
ha riversa l'anima,
l'ha risospinta nel
tempo di già.
Lasciatela che
svaghi; e poi ritorna.
(Candia farà
qualche passo).
ORNELLA:
Madre, mi senti? Dove vuoi andare?
CANDIA: Il
core ho perso d'un dolce figliuolo,
or è trentatre
giorni, e non lo trovo!
L'hai tu veduto, l'hai
tu riscontrato?
- Io sul Monte
Calvario l'ho lasciato,
i' l'ho lasciato
sul Monte distante,
l'ho lasciato con
lacrime e con sangue.
MARIA CORA:
Ah, dice l'ore della Passione.
FELÀVIA
SÈSARA: Lasciatela, lasciatela che dica.
LA CINERELLA:
Lasciatela, che il cuore le si scarichi.
MÒNICA DELLA
COGNA: O Madonna del Santo Venardì,
miserere di lei.
Ora pro nobis.
(Le donne del
parentado s'inginocchieranno pregando).
CANDIA:
Ecco e la Madre si mette in cammino,
viene alla vista
del suo dolce figlio.
- O madre, madre,
perché sei venuta?
Tra la gente giudea
non v'è salute.
- Portato un
braccio t'ho di pannolino
per ricuoprirti il
tuo corpo ferito.
- Deh portato m'avessi
un sorso d'acqua!
- Figlio, non so
né strada né fontana;
ma, se la testa un
poco puoi chinare,
una goccia di latte
io ti vo' dare;
e, se latte non
esce, tanto spremo
che tutta la mia
vita esce del seno.
- O madre, madre,
parla piano piano...
(Ella s'arresterà
per qualche attimo nella cadenza; poi griderà d'improvviso, con
una voce disperata).
Madre, madre,
dormii settecent'anni,
settecent'anni; e
vengo di lontano.
Non mi ricordo più
della mia culla.
(Colpita
dal suo stesso grido, ella si guarderà intorno sgomenta, come
risvegliandosi di soprassalto. Le figlie correranno a sostenerla.
Le donne si leveranno. Si udrà più presso il rullo del tamburo
allentato).
ORNELLA:
Ah come trema, come trema tutta!
Ora vien meno. Più
non regge l'anima.
Da due giorni è
digiuna, e si svanisce.
SPLENDORE:
Mamma, chi parla in te? Chi senti tu
dentro parlarti,
dentro le tue viscere?
FAVETTA:
Dacci udienza, poni mente a noi,
guardaci in viso.
Siamo qui con te.
FEMO DI NERFA
(dal fondo): Donne, donne, è qui presso con la
turba.
Lo stendardo ora
passa la cisterna.
Portano anche l'Angelo
coperto.
(Le donne si
aduneranno sotto la quercia a guatare verso il sentiero).
ORNELLA (a
gran voce):Madre, ora viene Aligi, viene Aligi
a pigliar
perdonanza dal tuo cuore,
a bevere la tazza
del consólo
dalle tue mani.
Svégliati e sta forte.
Maledetto non è.
Col pentimento
il sacro sangue
sparso ei lo riscatta.
CANDIA: È
vero, è vero. Con le foglie trite
fu ristagnato il
sangue che colava.
Figlio
Aligi gli disse figlio Aligi,
lascia la falce e
prenditi la mazza;
fatti pastore e va
su la montagna.
E fu guardato il
suo comandamento.
SPLENDORE:
Hai bene inteso? Il figlio Aligi arriva.
CANDIA: E
alla montagna deve ritornare.
Come farò? Le sue
camicie nuove
non ho finito di
cucirgli, Ornella!
ORNELLA:
Madre, andiamo. Fa questo passo. Vòlgiti.
Aspettarlo bisogna
innanzi casa.
Donàmogli commiato,
a lui che parte.
E poi ci colcheremo
tutte in pace,
a fianco a fianco,
nel letto di giù.
(Le figlie
ricondurranno la madre sotto il portico).
CANDIA (tra
sé mormorando): Io mi colcai e Cristo mi sognai.
Cristo mi disse:
Non aver paura.
San Giovanni mi
disse: Sta sicuro.
IL CORO DELLE
PARENTI: - Oh che turba di gente viene dietro
lo stendardo! Vien
tutta la contrada.
- Iona di Midia
porta lo stendardo.
- E che silenzio,
come a processione!
- Ah che pietà!
Sul capo il velo nero.
- Le ritorte di
legno alle sue mani,
come pesanti,
grosse come un giogo!
- E col càmice
bigio e i piedi scalzi.
- Ah chi ci regge?
Io metto faccia in terra
e chiudo gli occhi,
e non voglio vedere.
- Lonardo della
Roscia porta il sacco
di cuoio; Biagio
Gudo, il can mastino.
- Mettetegli nel
vino un po' di ràdica
di solatro, che
perda il sentimento.
- Cocetegli nel
vino erba morella,
ch'esca della
memoria e non s'accorga.
- Va, Maria Cora,
che sai medicina,
aiuta Ornella a
fare il beveraggio.
- Grande il
misfatto ma grande il patire.
- Ah che pietà!
Guarda la gente, come
è muta! Viene
tutta la contrada.
- Han lasciato le
vigne in abbandono.
- Oggi uva non si
coglie. Anco la terra
è a lutto. Chi non
piange? Chi non piange?
- Guarda Vienda.
Pare in agonia.
- Meglio per lei,
che ha perso conoscenza.
- Meglio per lei,
se non ode e non vede.
- Ahi, che destino
amaro! Or è tre mesi
che venimmo
portando le canestre.
- E il male che
verrà, chi lo misura?
- Non vi saranno
lacrime per piangere.
FEMO DI NERFA:
Silenzio, donne! Silenzio! Ecco Iona.
(Le donne si
ritrarranno verso il portico. Si farà gran silenzio).
LA VOCE DI
IONA: O vedova di Lazaro di Roio
o gente della casa
sciagurata,
all'erta, all'erta!
Viene il penitente.
Scena terza
Apparirà l'alta
statura di Iona con lo stendardo funereo. Dietro di lui verrà il
parricida vestito d'un càmice, col capo coperto d'un velo nero,
con ambe le mani strette da pesati ritorte di legno. Un uomo gli
starà da presso tenendo la mazza pastorale istoriata; un altro
avrà la scure; altri porteranno l'Angelo avvolto in un drappo e
lo poseranno a terra. La turba si accalcherà nello spazio, tra l'albero
e il pagliaio. Le lamentatrici, trascinatesi carponi alla soglia
della casa, leveranno il grido verso il morituro.
IL CORO DELLE
LAMENTATRICI: Figlio Aligi, figlio Aligi,
che hai fatto? che
hai fatto?
Chi è questo
insanguinato?
chi l'ha corco
sopra il sasso?
È venuta l'ora tua.
Nero il vino del
trapasso!
Mano mozza, morte
infame,
mano mozza, corda e
sacco!
Ahi, ahi! Figlio di
Lazaro, Lazaro
è morto, ahi ahi,
ucciso da te!
Libera, Domine,
animam servi tui.
IONA DI MIDIA:
Trist'a te, Candia della Leonessa.
O Vienda di Giave,
trist'a te.
Trist'a voi, figlie
del Morto, parenti.
Il Signore abbia
pietà di voi, donne.
Nelle mani del
popolo rimesso
è Aligi di Lazaro
dal Giudice
del Malificio,
perché vendicata
sia per le nostre
mani questa infamia
caduta sopra a noi,
che d'una eguale
i vecchi nostri non
hanno memoria
e così la memoria
se ne perda,
per la Dio grazia,
ne' figli de' figli.
Or t'abbiamo
condotto il penitente
perché da te la
tazza del consólo
riceva, Candia
della Leonessa.
Escito egli è
dalle viscere tue.
T'è conceduto
alzargli il velo nero,
accostargli alla
bocca il beveraggio,
ché molto amara
sarà la sua morte.
Salvum fac populum
tuum, Domine.
Kyrie eleison.
LA TURBA:
Christe eleison. Kyrie eleison.
(Iona
porrà una mano su la spalla di Aligi per sospingerlo. Il
penitente velato farà un passo verso la madre; poi cadrà su i
ginocchi, di schianto).
ALIGI:
Laudato Gesù e Maria!
Ma voi madre
chiamare non più
m'è dato, non più
benedire
m'è dato, ché la
bocca è d'inferno,
quella che da voi
succhiò il latte,
che da voi le sante
orazioni
imparò nel timore
di Dio,
e i comandamenti e
la legge.
Perché tanto male
v'ho reso?
Volontà di dire m'è
dentro;
ma ratterrò la mia
bocca.
O la più
sventurata di tutte
le donne che hanno
nutrito
il suo figlio, che
gli hanno cantato
il sonno nella
culla e nel grembo,
oh no, non alzate
il mio velo,
che non vi
comparisca dinanzi
la faccia del
peccato tremendo.
Non alzate il velo
mio nero.
Io non abbia da voi
beveraggio;
perché poco è
quello che soffro,
poco è quello che
debbo patire.
Ma scacciatemi ora,
con legni
e con pietre,
scacciatemi via;
scacciatemi come il
mastino
che all'agonia
sarà mio compagno,
che mi morderà la
mia gola
quando l'anima mia
disperata
vi chiamerà mamma
mamma
nel sangue del mio
moncherino
maledetto entro il
sacco d'infamia.
LA TURBA (sommessamente):
- Oh povera, povera! Guarda
guarda: tutta
bianca in due notti!
- Non piange.
Pianger non può.
- Escita sembra di
senno.
- Non si move. E
come la statua
dell'Addolorata. Oh
pietà!
- Abbine pietà,
buono Iddio!
Santa Vergine,
misericordia!
- Miserere di lei,
Iesu Cristo!
ALIGI: E
voi, creature, non più
m'è dato chiamare
sorelle,
né più nominare m'è
dato
i nomi che il
battesmo v'impose,
che m'eran le mie
foglie di menta
in bocca, le mie
foglie odorose,
che mi davan
freschezza e piacenza
fino al cuore nel
mio pasturare;
e me li sento qui a
sommo
e poterli dire
vorrei,
e non vorrei sorso
d'altro
consólo pel mio
trapassare.
Ma non più
nominarvi m'è dato.
E s'appassiranno i
bei nomi;
e non li canterà l'amor
vostro
sotto la finestra
al sereno;
ché nessuno vorrà
le sorelle
di Aligi. E ora il
miele è veleno!
Scacciatemi via
come cane,
anche voi
scacciatemi via,
battetemi,
scagliatemi sassi.
Ma, prima di
scacciarmi, soffrite
ch'io vi lasci a
voi sconsolate
le due cose ch'io
sole posseggo,
che questa gente
cristiana
vi porta: la mazza
di sànguine
dov'io feci le tre
verginelle
a simiglianza di
voi
per avervi compagne
su l'erba;
la mazza, e l'Angelo
muto
ch'io lavorai col
mio cuore,
ahimè, dov'è la
macchia tremenda.
E la macchia
scomparirà
un giorno, e l'Angelo
muto
parlerà un giorno.
E vedrete
e udrete. Io patire
patire
voglio per questo,
e il patire
m'è poco al mio
pentimento.
LA TURBA:
- Oh povere, povere! Guarda,
guarda come sono
disfatte!
Anch'elle non
piangono più.
Non hanno più
lacrime. Secche
sono, bruciate fin
dentro.
- La morte le
falcia e le lascia
per terra, che
càmpino ancóra!
- Le taglia ma non
se le porta.
- Abbine pietà,
buono Iddio!
- Sono creature
innocenti.
- Miserere, Gesù,
miserere!
ALIGI: E
tu, che sei vergine e vedova,
tu che nell'arche
tue del corredo
portasti vestimenta
di lutto,
pettine di rovi,
collana
di spine, lenzuola
tessute
di triboli, tu che
piangesti
la prima notte e
poi sempre,
tu hai nel Paradiso
le nozze
tue nuove. Gesù ti
fa sposa,
Maria ti consola
per sempre.
LA TURBA:
- Oh povera! Quella non giunge
a sera; è al suo
ultimo fiato.
È tutta capelli:
non ha
più carne: è
tutta in quell'oro.
- Ma s'è scolorito
il suo oro.
- È come una
ròcca di canapa.
- Come l'erba del
Giovedì Santo.
- O Vienda, vergine
e vedova,
il Paradiso hai per
certo.
- E s'ella non l'ha,
chi l'avrà?
- Nostra Donna,
portala in cielo!
- Mettila tra gli
Angeli bianchi!
- Mettila tra le
Màrtiri d'oro!
IONA DI MIDIA:
Aligi, hai detto il tuo dire.
Su, lèvati e
andiamo ch'è tardi.
Fra poco il sole si
colca.
E l'avemaria tu non
devi
udire, né vedere
la stella.
O Candia della
Leonessa,
se pietà vuoi
avere, se dargli
vuoi la tazza, non
t'indugiare.
La madre tu sei. T'è
concesso.
LA TURBA:
- Candia, Candia, alzagli il velo!
- Candia, dàgli la
tazza, ch'ei beva!
- Dàgli il
beveraggio, ch'egli abbia
cuore al supplizio.
Su, Candia!
- Abbi pietà pel
tuo figlio!
- Tu sola puoi. T'è
concesso.
- Miserere di lui!
Miserere!
(Ornella
presenterà alla madre la ciotola del vino misturato. Favetta e
Splendore inciteranno la misera sospingendola. Aligi si
trascinerà su i ginocchi verso la porta della casa, e alzerà la
voce invocando il defunto).
ALIGI:
Padre, padre, padre mio Lazaro
odimi. Tu il fiume
passasti
con la bara, ed era
pesante
più d'un carro di
buoi la tua bara,
e fu gettata la
pietra
nella corrente, e
passasti.
Padre, padre, padre
mio Lazaro,
odimi. Ora io me ne
vado
al fiume e non
passo. Io vado
a cercar quella
pietra nel fondo
e dopo io ti vengo
a trovare;
e tu mi vieni sopra
con l'erpice,
per l'eternità mi
dirompi,
per l'eternità mi
dilàceri.
Padre mio, fra poco
son teco.
(La
madre camminerà verso di lui, nell'orrore. Si chinerà,
solleverà il velo, con la sinistra mano premerà al seno la
guancia del figlio, con la destra prenderà la tazza recatale da
Ornella, l'accosterà alle labbra del morituro. Si udrà un
vocìo confuso della gente più discosta, giù pel sentiere).
IONA DI MIDIA:
Suscipe, Domine, servum tuum.
Kyrie eleison.
LA TURBA:
Christe eleison. Kyrie eleison.
Miserere, Deus,
miserere.
- Vedete, vedete
che viso!
- Questo in terra
si vede, Gesù!
- O Passione di
Cristo!
- E chi è che
grida? perché?
- Silenzio!
Silenzio! Chi chiama?
- La figlia di
Iorio! La figlia
di Iorio! Mila di
Codra!
- Buono Iddio,
miracolo fai!
- È la figlia di
Iorio, che viene.
- Risuscitata l'hai,
buono Iddio?
- Largo! Largo!
Lasciate passare!
- Maledetta cagna,
sei viva?
- Ah strega d'inferno,
sei tu?
- Magalda! Bagascia!
Carogna!
- Fate luogo!
Lasciatela! Passa,
passa, femmina. Su,
fate luogo!
- Lasciatela, al
nome di Dio!
Scena ultima
Aligi sorgerà
in piedi, con la faccia scoperta, guatando verso il clamore; e la
madre e le sorelle saranno presso a lui. Fendendo la turba
apparirà Mila di Codra impetuosamente.
MILA DI CODRA:
Madre d'Aligi, sorelle
d'Aligi, sposa,
parenti,
stendardiero del
Malificio,
popolo giusto,
giustizia
di Dio, sono Mila
di Codra.
Mi confesso. Datemi
ascolto.
Il santo dei monti
m'invia.
Son discesa dai
monti, venuta
sono a confessarmi
in conspetto
di tutti. Datemi
ascolto.
IONA DI MIDIA:
Silenzio, silenzio! Lasciate
che parli, al nome
di Dio.
Confèssati, Mila
di Codra.
Il popolo giusto ti
giudica.
MILA:
Aligi figliuolo di Lazaro
è innocente.
Commesso non ha
parricidio. Ma sì,
il suo padre
ucciso da me fu con
l'asce.
ALIGI:
Mila, innanzi a Dio tu ne menti.
IONA: Egli
è confesso. Hai mentito.
Egli è reo ma rea
tu con lui.
LA TURBA:
- Alle fiamme! Alle fiamme! Su, Iona,
dàccela, che noi
la bruciamo.
- Alla catasta la
maga!
- Alla stessa ora
periscano!
- No, no! Io lo
dissi: È innocente.
- È confesso! È
confesso! La femmina
l'istigò ma egli
diè il colpo.
- Tutt'e due sono
rei. Alle fiamme!
MILA:
Gente di Dio, datemi ascolto;
e poi fate scempio
di me.
Sono pronta, venuta
per questo.
IONA:
Silenzio! Lasciate che parli.
MILA:
Aligi figliuolo di Lazaro
è innocente. Ma
egli non sa.
ALIGI:
Mila, innanzi a Dio tu ne menti.
Ornella (perdóno,
se fui oso
nominarti), tu sei
testimone
ch'ella inganna il
popolo giusto.
MILA: Egli
non sa. Di quell'ora
non gli sovviene.
È magato.
Io gli voltai la
ragione.
Io gli voltai la
memoria.
Son figlia di mago.
Non v'è
sortilegio ch'io
non conosca,
ch'io non operi. Se
tra le donne
del parentado è
quell'una
che mi fece accusa
qui proprio,
la vigilia di Santo
Giovanni,
quando entrai per
la porta che è là,
venga innanzi e l'accusa
ripeta.
LA CATALANA:
Sono io quell'una. Son qui.
MILA: Fa
testimonianza di me
per quelli che feci
infermare,
per quelli che feci
morire,
per quelli che
tolsi di senno.
LA CATALANA:
Giovanna Camètra. Lo so.
E il povero delle
Marane,
e Afuso, e Tillùra.
Lo so.
So che fai
nocimento a chiunque.
MILA:
Avete udito, popolo giusto,
questa serva di Dio?
Bene, è vero.
Mi confesso. Il
santo dei monti
m'ha toccata quest'anima
trista.
Mi confesso e mi
pento. Non voglio
che l'innocente
perisca.
Voglio il castigo,
e sia grande!
Per fare ruina, per
rompere
vincoli distruggere
gioie
prendere vite, in
giorno di nozze
varcai quella
soglia che è là,
del focolare mi
feci
padrona e lo
sconsacrai.
Il vino ospitale
falsai,
non bevvi, adoprai
per fattura.
Le sorti del padre
e del figlio
torsi a odio, e
posi a pressura
la gola della sposa
novizia.
E per arte le
lacrime care
di quelle
giovanette sorelle
a mia difensione io
le trassi.
Dite, donne del
parentado,
dite, se sapete d'Iddio
quanta fu, quanta
fu la nequizia!
IL CORO DELLE
PARENTI: - È vero, è vero. Sì, questo fece.
- Sguisciò dentro
la cagna randagia
quando la Cinerella
spargeva
su Vienda il suo
pugno di grano.
- Di sùbito fece
la sorte.
- E la mala febbre
appiccò
di sùbito al
giovine soro.
- E tutte noi
contro gridammo
e fu vano gridare.
Avea l'arte.
- È vero. Ora sì,
dice il vero.
- Laudato Gesù che
fa luce!
(Aligi
starà a capo chino, col mento in sul petto, sotto l'ombra del
velo, intento all'orribile conturbazione dell'anima sua, già
scorrendogli per le vene la virtù del beveraggio).
ALIGI (scotendosi,
con violenza): No, no, non è vero. T'inganna,
non la udire,
popolo giusto;
questa creatura t'inganna.
Tutti e tutte le
stavano contro,
e così le facean
vitupèro.
E io vidi l'Angelo
muto
dietro a lei. Con
questi occhi mortali
che non debbon
vedere la stella
di questo vespro,
io lo vidi
che mi guardava e
piangeva.
O Iona, miracolo fu
per mostrare ch'ell'era
di Dio.
MILA: Oh
povero Aligi pastore!
Oh giovine credulo
e ignaro!
L'Angelo
apostàtico era.
(Tutti
si segneranno, tranne Aligi constretto dalle ritorte e Ornella
che discostata dal portico terrà gli occhi fissi alla vittima
volontaria).
L'Angelo
apostàtico apparve
(perdonata da Dio
non sarò
né da te perdonata
giammai)
apparve agli occhi
tuoi per inganno.
Era l'Angelo iniquo,
il fallace.
MARIA CORA:
Io lo dissi, lo dissi nel punto.
Al sacrilegio
gridai.
LA CINERELLA:
Anch'io lo dissi, gridai.
Quand'ella fu osa
il Custode
nominare per sorte,
gridai:
Ha biastemato, ha
biastemato!
MILA:
Aligi, perdonata da te
non sarò, se pure
da Dio!
Ma debbo scoprir la
mia frode.
Ornella, né tu mi
guardare
così come fai. Ch'io
sia sola!
Aligi, quando venni
allo stazzo,
quando tu mi
trovasti seduta
su quella pietra,
in silenzio
la tua perdizione
compiei.
E tu lavorasti nel
ceppo,
ah misero te, co'
tuoi ferri
l'effigie dell'Angelo
malo.
(È quello, coperto
col panno:
lo sento.) E io
mane e sera
opravo con l'arte
mia falsa.
Non ti sovviene di
me? di tanto
amore ch'io t'ebbi,
di tanta
umiltà che m'era
negli atti,
nella voce, dinanzi
al tuo viso?
Non ti sovviene che
mai
ci contaminammo,
che monda
presso il tuo
giaciglio rimasi?
E come, come (tu
non pensasti),
tanta purità,
tanta temenza
nella straniera
malvagia
che i mietitori di
Norca
avean svergonata al
conspetto
della madre tua?
Bene opravo,
bene opravo con l'arte
mia falsa.
Non mi vedevi tu
raccattare
intorno al tuo
ceppo le schegge
e bruciarle dicendo
parole?
Preparai l'ora di
sangue,
che contra Lazaro
antica
rancura, odio
antico nudrivo.
Tu lasciasti l'asce
nel ceppo.
Ora uditemi, gente
di Dio.
Una grande potenza
venuta
era in me sopra lui
vincolato.
Quasi notte faceva
nel luogo
maligno. Imbestiato
il suo padre
presa m'avea pe'
capegli
e mi trascinava
furente.
Ei sopraggiunse e
su noi
si gettò per
difendere me.
Rapidamente brandii
l'asce, nell'ombra;
colpii,
forte colpii, sino
a morte.
Sul colpo gridai:
L'hai ucciso!
Al figlio gridai:
L'hai ucciso,
ucciso!
Potenza era in me grande.
Parricida lo fece
il mio grido
nell'anima sua ch'era
schiava.
L'ho ucciso!
rispose; nel sangue
tramortì, più
altro non seppe.
(Candia
con ambe le braccia, scossa da un fremito quasi di belva,
afferrerà il figlio ridivenuto suo. Da lui si distaccherà, con
violenza selvaggia si avanzerà verso la nemica. Ma le figlie la
tratterranno).
IL CORO DELLE
PARENTI: - Lasciatela! Lasciala, Ornella!
Che il cuore le
strappi, che il cuore
le mangi! Cuore per
cuore!
- Lasciatela, che
se la metta
sotto i piedi, che
la calpesti,
che col calcagno le
schiacci
tempia e tempia, i
denti le sgrani!
- Lasciatela!
Lasciala, Ornella;
ché, se questo non
fa, non le torna
l'anima in petto
sanata.
- Iona, Iona, Aligi
è innocente.
- Toglilo dalle
ritorte!
Levagli il velo!
Ridaccelo!
- Oggi il popolo è
giustiziere.
- Tu giudica,
popolo giusto.
- Comanda che sia
liberato!
(Mila
si ritrarrà presso l'Angelo coperto, e guarderà Aligi già
invaso dall'ebbrezza del vino misturato).
LA TURBA:
- Lode a Dio! Gloria a Dio! Gloria Patri!
- L'infamia è
tolta da noi.
- La macchia non è
sopra noi.
- Di nostra gente
non viene.
il parricida. A Dio
gloria!
- Lazaro l'uccise
la femmina
straniera, di Codra
alle Farne.
- L'ho detto, l'ho
detto: È innocente,
Aligi è innocente.
Sia sciolto!
- Sia liberato ora
in punto!
- Alla madre sua
sia renduto!
- Iona, Iona,
scioglilo! Il Giudice
del Malificio ci
diede
oggi potestà sopra
un capo.
- Piglia il capo
della sortiera!
- Alle fiamme, alle
fiamme la maga!
- Alla catasta la
strega!
- O Iona di Midia,
odi il popolo!
Sciogli l'innocente!
Su, Iona!
- Alla catasta la
figlia
di Iorio, la figlia
di Iorio!
MILA: Sì,
sì, popolo giusto, sì, popolo
di Dio, piglia
vendetta su me.
E l'Angelo
apostàtico mettilo
nella catasta con
me,
che faccia la
fiamma per ardermi,
che si consumi con
me.
ALIGI: Oh
voce di promessa e di frode!
Toglietemela di
dentro
così come bella mi
parve,
come cara mi fu,
soffocatela
nell'anima mia,
fate che mai
udita io l'abbia,
che mai
n'abbia gioito!
Rempietemi dentro
tutti questi solchi
d'amore
che mi scavò,
quando io era
alle sue parole d'inganno
come la mia
montagna rigata
dalle acque di neve!
Rempietemi
il solco di quella
speranza,
per ove mi corse la
grazia
di tutti i miei
giorni ingannati!
Cancellate da me
ogni traccia!
Fate che udito e
creduto
io non abbia
giammai! Ma, se questo
da voi non si può,
s'io son quello
che udii credetti
sperai,
quello che adorai l'Angelo
iniquo,
mozzatemi entrambe
le mani,
nel sacco di cuoio
cucitemi
(Lonardo, non lo
porre da banda)
e gittatemi nella
fiumana
ch'io vi dorma
settecent'anni
ch'io dorma sott'acqua,
nel gorgo
profondo, ancóra
settecent'anni
e più non mi
ricordi che il giorno
di Dio ha
illuminato quegli occhi!
ORNELLA:
Mila, Mila, è l'ebbrezza del vino
misturato, del
beveraggio
ch'ebbe dalla madre
a consólo.
LA TURBA:
- Scioglilo, Iona. Ha il delirio.
- Ha preso il
solatro nel vino.
- Che la madre lo
stenda sul letto.
- Che il sonno gli
venga, che dorma.
- Che Gesù Cristo
l'acqueti.
(Iona darà a
taluno di sua gente lo stendardo e s'avanzerà verso Aligi per
togliergli le ritorte).
ALIGI: Sì,
per un poco scioglimi, Iona,
solo ch'io possa
levar le mani
contra costei (no,
non l'ardete:
la fiamma è bella!),
chiamare i morti,
tutti i miei morti
nella mia terra,
quelli degli anni
dimenticati,
i più lontani, i
più lontani,
settanta braccia
sotto la zolla,
a maledirla, a
maledirla!
MILA (con
un grido lacerante): Aligi, Aligi, tu no,
tu non puoi, tu non
devi!
(Libero
delle ritorte i polsi, libero del velo nero il capo, Aligi cadrà
fra le braccia della madre, preso dalla vertigine; e le maggiori
sorelle e le donne del parentado gli saranno intorno).
IL CORO DELLE
PARENTI: - Non isbigottire. È quel vino.
- È la vertigine
calda.
- Ora lo stupore lo
prende.
- Ora un gran sonno
gli viene.
- Ch'ei dorma! Che
Dio lo pacifichi!
- Stendetelo!
Lasciate che dorma!
- Vienda! Vienda!
Ti torna.
- L'uno e l'altra
dal mondo di là.
- Laus Deo! Laus
Deo! Gloria Patri!
(Iona
metterà le ritorte a Mila di Codra che gli tenderà i polsi. La
testa le coprirà col velo nero. Poi, ripreso lo stendardo del
Malificio, sospingerà la vittima verso la turba).
IONA:
Popolo giusto, ti do
nelle mani Mila di
Codra,
la figlia di Iorio,
colei
che fa nocimento a
chiunque,
perché tu
giustizia ne faccia
e tu ne disperda la
cenere.
Salvum fac populum
tuum, Domine.
Kyrie eleison.
LA TURBA:
Christe eleison. Kyrie eleison.
- Alle fiamme alle
fiamme la figlia
di Iorio! La figlia
di Iorio
e l'Angelo
apostàtico al fuoco!
- Alla catasta! All'inferno!
ORNELLA (a
gran voce): Mila, Mila, sorella in Gesù,
io ti bacio i tuoi
piedi che vanno!
Il Paradiso è per
te!
MILA (di
mezzo alla turba): La fiamma è bella! La fiamma è
bella!
- FINE -