Carlo Goldoni
IL SERVITORE DI DUE PADRONI
L'autore a chi legge
Troverai, Lettor carissimo, la presente Commedia diversa moltissimo dall'altre mie, che lette avrai finora. Ella non è di carattere, se non se carattere considerare si voglia quello del Truffaldino, che un servitore sciocco ed astuto nel medesimo tempo ci rappresenta: sciocco cioè in quelle cose le quali impensatamente e senza studio egli opera, ma accortissimo allora quando l'interesse e la malizia l'addestrano, che è il vero carattere del villano.
Ella può chiamarsi piuttosto Commedia giocosa, perché di essa il gioco di Truffaldino forma la maggior parte. Rassomiglia moltissimo alle commedie usuali degl'Istrioni, se non che scevra mi pare di tutte quelle improprietà grossolane, che nel mio Teatro Comico ho condannate, e che dal Mondo sono oramai generalmente aborrite.
Improprietà potrebbe parere agli scrupolosi, che Truffaldino mantenga l'equivoco della sua doppia servitù, anche in faccia dei due padroni medesimi soltanto per questo, perché niuno di essi lo chiama mai col suo nome; che se una volta sola, o Florindo, o Beatrice, nell'Atto terzo, dicessero Truffaldino, in luogo di dir sempre il mio Servitore, l'equivoco sarebbe sciolto e la commedia sarebbe allora terminata. Ma di questi equivoci, sostenuti dall'arte dell'Inventore, ne sono piene le Commedie non solo, ma le Tragedie ancora; e quantunque io m'ingegni d'essere osservante del verisimile in una Commedia giocosa, credo che qualche cosa, che non sia impossibile, si possa facilitare.
Sembrerà a taluno ancora, che troppa distanza siavi dalla sciocchezza l'astuzia di Truffaldino; per esempio: lacerare una cambiale per disegnare la scalcherìa di una tavola, pare l'eccesso della goffaggine. Servire a due padroni, in due camere, nello stesso tempo, con tanta prontezza e celerità, pare l'eccesso della furberia. Ma appunto quel ch'io dissi a principio del carattere di Truffaldino: sciocco allor che opera senza pensamento, come quando lacera la cambiale; astutissimo quando opera con malizia, come nel servire a due tavole comparisce.
Se poi considerar vogliamo la catastrofe della Commedia, la peripezia, l'intreccio, Truffaldino non fa figura da protagonista, anzi, se escludere vogliamo la supposta vicendevole morte de' due amanti, creduta per opera di questo servo, la Commedia si potrebbe fare senza di lui; ma anche di ciò abbiamo infiniti esempi, quali io non adduco per non empire soverchiamente i fogli; e perché non mi credo in debito di provare ciò che mi lusingo non potermi essere contraddetto; per altro il celebre Molière istesso mi servirebbe di scorta a giustificarmi.
Quando io composi la presente Commedia, che fu nell'anno 1745, in Pisa, fra le cure legali, per trattenimento e per genio, non la scrissi io già, come al presente si vede. A riserva di tre o quattro scene per atto, le più interessanti per le parti serie, tutto il resto della Commedia era accennato soltanto, in quella maniera che i commedianti sogliono denominare "a soggetto"; cioè uno scenario disteso, in cui accennando il proposito, le tracce, e la condotta e il fine de' ragionamenti, che dagli Attori dovevano farsi, era poi in libertà de' medesimi supplire all'improvviso, con adattate parole e acconci lazzi, spiritosi concetti. In fatti fu questa mia Commedia all'improvviso così bene eseguita da' primi Attori che la rappresentarono, che io me ne compiacqui moltissimo, e non ho dubbio a credere che meglio essi non labbiano allimprovviso adornata, di quello possa aver io fatto scrivendola. I sali del Truffaldino, le facezie, le vivezze sono cose che riescono più saporite, quando prodotte sono sul fatto dalla prontezza di spirito, dalloccasione, dal brio. Quel celebre eccellente comico, noto allItalia tutta pel nome appunto di Truffaldino, ha una prontezza tale di spirito, una tale abbondanza di sali e naturalezza di termini, che sorprende: e volendo io provvedermi per le parti di lui. Questa Commedia lha disegnata espressamente per lui, anzi mi ha egli medesimo largomento proposto, argomento un po' difficile in vero, che ha posto in cimento tutto il genio mio per la Comica artificiosa, e tutto il talento suo per lesecuzione.
L'ho poi veduta in altre parti da altri comici rappresentare, e per mancanza forse non di merito, ma di quelle notizie che dallo scenario soltanto aver non poteano, parmi chella decadesse moltissimo dal primo aspetto. Mi sono per questa ragione indotto a scriverla tutta, non già per obbligare quelli che sosterranno il carattere del Truffaldino a dir per lappunto le parole mie, quando di meglio ne sappian dire, ma per dichiarare la mia intenzione, e per una strada assai dritta condurli al fine.
Affaticato mi sono a distendere tutti i lazzi più necessari, tutte le più minute osservazioni, per renderla facile quanto mai ho potuto, e se non ha essa il merito della Critica, della Morale, della istruzione, abbia almeno quello di una ragionevole condotta e di un discreto ragionevole gioco.
Prego però que' tali, che la parte del Truffaldino rappresenteranno, qualunque volta aggiungere del suo vi volessero, astenersi dalle parole sconce, da' lazzi sporchi; sicuri che di tali cose ridono soltanto quelli della vil plebe, e se ne offendono le gentili persone.
PERSONAGGI
Pantalone de' Bisognosi
Clarice, sua figliuola
Il Dottore Lombardi
Silvio, di lui figliuolo
Beatrice, torinese, in abito da uomo sotto nome di Federigo Rasponi
Florindo Aretusi, torinese di lei amante
Brighella, locandiere
Smeraldina, cameriera di Clarice
Truffaldino, servitore di Beatrice, poi di Florindo
Un cameriere della locanda, che parla
Un servitore di Pantalone, che parla
Due facchini, che parlano
Camerieri d'osteria, che non parlano
La scena si rappresenta in Venezia
ATTO PRIMO
SCENA PRIMA
Camera in casa di Pantalone
Pantalone, il Dottore, Clarice, Silvio, Brighella, Smeraldina, un altro Servitore di Pantalone.
Silvio: Eccovi la mia destra, e con questa vi dono tutto il mio cuore (a Clarice, porgendole la mano).
Pantalone: Via, no ve vergognè; dèghe la man anca vu. Cusì sarè promessi, e presto presto sarè maridai (a Clarice).
Clarice: Sì caro Silvio, eccovi la mia destra. Prometto di essere vostra sposa.
Silvio: Ed io prometto esser vostro. (Si danno la mano.)
Dottore: Bravissimi, anche questa è fatta. Ora non si torna più indietro.
Smeraldina: (Oh bella cosa! Propriamente anch'io me ne struggo di voglia).
Pantalone: Vualtri sarè testimoni de sta promission, seguida tra Clarice mia fia e el sior Silvio, fio degnissimo del nostro sior dottor Lombardi (a Brighella ed al Servitore).
Brighella: Sior sì, sior compare, e la ringrazio de sto onor che la se degna de farme (a Pantalone).
Pantalone: Vedeu? Mi son stà compare alle vostre nozze, e vu se testimonio alle nozze de mia fia. Non ho volesto chiamar compari, invidar parenti, perchè anca sior Dottor el xè del mio temperamento; ne piase far le cosse senza strepito, senza grandezze. Magneremo insieme, se goderemo tra de nu, e nissun ne disturberà. Cossa diseu, putti, faremio pulito? (a Clarice: e Silvio).
Silvio: Io non desidero altro che essere vicino alla mia cara sposa.
Smeraldina: (Certo che questa è la migliore vivanda).
Dottore: Mio figlio non è amante della vanità. Egli è un giovane di buon cuore. Ama la vostra figliuola, e non pensa ad altro.
Pantalone: Bisogna dir veramente che sto matrimonio el sia stà destinà dal cielo, perché se a Turin no moriva sior Federigo Rasponi, mio corrispondente, savè che mia fia ghe l'aveva promessa a elo, e no la podeva toccar al mio caro sior zenero (verso Silvio).
Silvio: Certamente io posso dire di essere fortunato. Non so se dirà così la signora Clarice.
Clarice: Caro Silvio, mi fate torto. Sapete pur se vi amo; per obbedire il signor padre avrei sposato quel torinese, ma il mio cuore è sempre stato per voi.
Dottore: Eppur è vero; il cielo, quando ha decretato una cosa, la fa nascere per vie non prevedute. Come è succeduta la morte di Federigo Rasponi? (a Pantalone).
Pantalone: Poverazzo! L'è stà mazzà de notte per causa de una sorella... No so gnente. I gh'ha dà una ferìa e el xè restà sulla botta.
Brighella: Elo successo a Turin sto fatto? (a Pantalone).
Pantalone: A Turin.
Brighella: Oh, povero signor! Me despiase infinitamente.
Pantalone: Lo conossevi sior Federigo Rasponi? (a Brighella).
Brighella: Siguro che lo conosseva. So stà a Turin tre anni e ho conossudo anca so sorella. Una zovene de spirito, de corazo; la se vestiva da omo, l'andava a cavallo, e lu el giera innamorà de sta so sorella. Oh! chi l'avesse mai dito!
Pantalone: Ma! Le disgrazie le xè sempre pronte. Orsù, no parlemo de malinconie. Saveu cossa che v'ho da dir, missier Brighella caro? So che ve diletè de laorar ben in cusina. Vorave che ne fessi un per de piatti a vostro gusto.
Brighella: La servirò volentiera. No fazzo per dir, ma alla mia locanda tutti se contenta. I dis cusì che in nissun logo i magna, come che se magna da mi. La sentirà qualcossa de gusto.
Pantalone: Bravo. Roba brodosa, vedè, che se possa bagnarghe drento delle molene de pan. (Si sente picchiare). Oh! i batte. Varda chi è, Smeraldina.
Smeraldina: Subito (parte, e poi ritorna).
Clarice: Signor padre, con vostra buona licenza.
Pantalone: Aspettè; vegnimo tutti. Sentimo chi xè.
Smeraldina: (torna) Signore, è un servitore di un forestiere che vorrebbe farvi un'imbasciata. A me non ha voluto dir nulla. Dice che vuol parlar col padrone.
Pantalone: Diseghe che el vegna avanti. Sentiremo cossa che el vol.
Smeraldina: Lo farò venire (parte).
Clarice: Ma io me ne anderei, signor padre.
Pantalone: Dove?
Clarice: Che so io? Nella mia camera.
Pantalone: Siora no, siora no; stè qua. (Sti novizzi non vòi gnancora che i lassemo soli) (piano al Dottore).
Dottore: (Saviamente, con prudenza) (piano a Pantalone).
SCENA SECONDA
Truffaldino, Smeraldina e detti.
Truffaldino: Fazz umilissima reverenza a tutti lor siori. Oh, che bella compagnia! Oh, che bella conversazion!
Pantalone: Chi seu, amigo? Cossa comandeu? (a Truffaldino).
Truffaldino: Chi èla sta garbata signora? (a Pantalone, accennando Clarice).
Pantalone: La xè mia fia.
Truffaldino: Me ne ralegher.
Smeraldina: E di più è sposa (a Truffaldino).
Truffaldino: Me ne consolo. E ella chi èla? (a Smeraldina).
Smeraldina: Sono la sua cameriera, signore.
Truffaldino: Me ne congratulo.
Pantalone: Oh via, sior, a monte le cerimonie. Cossa voleu da mi? Chi seu? Chi ve manda?
Truffaldino: Adasio, adasio, colle bone. Tre interrogazion in t'una volta l'è troppo per un poveromo.
Pantalone: (Mi credo che el sia un sempio costù) (piano al Dottore).
Dottore: (Mi par piuttosto un uomo burlevole) (piano a Pantalone).
Truffaldino: V. S. è la sposa? (a Smeraldina).
Smeraldina: Oh! (sospirando) Signor no.
Pantalone: Voleu dir chi sè, o voleu andar a far i fatti vostri?
Truffaldino: Co no la vol altro che saver chi son, in do parole me sbrigo. Son servitor del me padron (a Pantalone). E cusì, tornando al nostro proposito... (voltandosi a Smeraldina).
Pantalone: Mo chi xèlo el vostro padron?
Truffaldino: L'è un forestier che vorave vegnir a farghe una visita (a Pantalone). Sul proposito dei sposi, discorreremo (a Smeraldina, come sopra).
Pantalone: Sto forestier chi xèlo? Come se chiamelo?
Truffaldino: Oh, l'è longa. L'è el sior Federigo Rasponi torinese, el me padron, che la reverisse, che l'è vegnù a posta, che l'è da basso, che el manda l'ambassada, che el vorria passar, che el me aspetta colla risposta. Èla contenta? Vorla saver altro? (a Pantalone. Tutti fanno degli atti di ammirazione). Tornemo a nu... (a Smeraldina, come sopra).
Pantalone: Mo vegni qua, parlè co mi. Cossa diavolo diseu?
Truffaldino: E se la vol saver chi son mi, mi son Truffaldin Batocchio, dalle vallade de Bergamo.
Pantalone: No m'importa de saver chi siè vu. Voria che me tornessi a dir chi xè sto vostro padron. Ho paura de aver strainteso.
Truffaldino: Povero vecchio! El sarà duro de recchie. El me padron l'è el sior Federigo Rasponi da Turin.
Pantalone: Andè via, che sè un pezzo de matto. Sior Federigo Rasponi da Turin el xè morto.
Truffaldino: L'è morto?
Pantalone: L'è morto seguro. Pur troppo per elo.
Truffaldino: (Diavol! Che el me padron sia morto? L'ho pur lassà vivo da basso!). Disì da bon, che l'è morto?
Pantalone: Ve digo assolutamente che el xè morto.
Dottore: Sì, è la verità; è morto; non occorre metterlo in dubbio.
Truffaldino: (Oh, povero el me padron! Ghe sarà vegnù un accidente). Con so bona grazia (si licenzia).
Pantalone: No volè altro da mi?
Truffaldino: Co l'è morto, no m'occorre altro. (Voi ben andar a veder, se l'è la verità) (da sé, parte e poi ritorna).
Pantalone: Cossa credemio che el sia costù? Un furbo, o un matto?
Dottore: Non saprei. Pare che abbia un poco dell'uno e un poco dell'altro.
Brighella: A mi el me par piuttosto un semplizotto. L'è bergamasco, no crederia che el fuss un baron
Smeraldina: Anche l'idea l'ha buona. (Non mi dispiace quel morettino).
Pantalone: Ma cossa se insonielo de sior Federigo?
Clarice: Se fosse vero ch'ei fosse qui, sarebbe per me una nuova troppo cattiva.
Pantalone: Che spropositi! No aveu visto anca vu le lettere? (a Clarice).
Silvio: Se anche fosse egli vivo e fosse qui, sarebbe venuto tardi.
Truffaldino: (ritorna) Me maraveio de lor siori. No se tratta cusì colla povera zente. No se inganna cusì i forestieri. No le son azion da galantomeni. E me ne farò render conto.
Pantalone: (Vardemose, che el xè matto). Coss'è stà? Cossa v'ali fatto?
Truffaldino: Andarme a dir che sior Federigh Rasponi l'è morto?
Pantalone: E cusì?
Truffaldino: E cusì l'è qua, vivo, san, spiritoso e brillante, che el vol reverirla, se la se contenta.
Pantalone: Sior Federigo?
Truffaldino: Sior Federigo.
Pantalone: Rasponi?
Truffaldino: Rasponi.
Pantalone: Da Turin?
Truffaldino: Da Turin.
Pantalone: Fio mio, andè all'ospeal, che sè matto.
Truffaldino: Corpo del diavolo! Me farissi bestemiar come un zogador. Mo se l'è qua, in casa, in sala, che ve vegna el malanno.
Pantalone: Adessadesso ghe rompo el muso.
Dottore: No, signor Pantalone, fate una cosa; ditegli che faccia venire innanzi questo tale, ch'egli crede essere Federigo Rasponi.
Pantalone: Via, felo vegnir avanti sto morto ressuscità.
Truffaldino: Che el sia stà morto e che el sia resuscità pol esser, mi no gh'ho niente in contrario. Ma adesso l'è vivo, e el vederì coi vostri occhi. Vagh a dirghe che el vegna. E da qua avanti imparè a trattar coi forestieri, coi omeni della me sorte, coi bergamaschi onorati (a Pantalone, con collera). Quella giovine, a so tempo se parleremo (a Smeraldina, e parte).
Clarice: (Silvio mio, tremo tutta) (piano a Silvio).
Silvio: (Non dubitate; in qualunque evento sarete mia) (piano a Clarice).
Dottore: Ora ci chiariremo della verità.
Pantalone: Pol vegnir qualche baronato a darme da intender delle fandonie.
Brighella: Mi, come ghe diseva, sior compare, l'ho conossudo el sior Federigo; se el sarà lu, vederemo.
Smeraldina: (Eppure quel morettino non ha una fisonomia da bugiardo. Voglio veder se mi riesce...). Con buona grazia di lor signori (parte).
SCENA TERZA
Beatrice: in abito da uomo, sotto nome di Federigo, e detti.
Beatrice: Signor Pantalone, la gentilezza che io ho ammirato nelle vostre lettere, non corrisponde al trattamento che voi mi fate in persona. Vi mando il servo, vi fo passar l'ambasciata, e voi mi fate stare all'aria aperta, senza degnarvi di farmi entrare che dopo una mezz'ora?
Pantalone: La compatissa... Ma chi xèla ella, patron?
Beatrice: Federigo Rasponi di Torino, per obbedirvi. (Tutti fanno atti d'ammirazione).
Brighella: (Cossa vedio? Coss'è sto negozio? Questo no l'è Federigo, l'è la siora Beatrice so sorella. Voi osservar dove tende sto inganno).
Pantalone: Mi resto attonito... Me consolo de vederla san e vivo, quando avevimo avudo delle cattive nove. (Ma gnancora no ghe credo, savè) (piano al Dottore).
Beatrice: Lo so: fu detto che in una rissa rimasi estinto. Grazie al cielo, fui solamente ferito; e appena risanato, intrapresi il viaggio di Venezia, già da gran tempo con voi concertato.
Pantalone: No so cossa dir. La so ciera xè da galantomo: ma mi gh'ho riscontri certi e seguri, che sior Federigo sia morto; onde la vede ben... se no la me dà qualche prova in contrario...
Beatrice: È giustissimo il vostro dubbio; conosco la necessità di giustificarmi. Eccovi quattro lettere dei vostri amici corrispondenti, una delle quali è del ministro della nostra banca. Riconoscerete le firme, e vi accerterete dell'esser mio (dà quattro lettere a Pantalone, il quale le legge da sé).
Clarice: (Ah Silvio, siamo perduti!) (piano a Silvio).
Silvio: (La vita perderò, ma non voi!) (piano a Clarice).
Beatrice: (Oimè! Qui Brighella? Come diamine qui si ritrova costui? Egli mi conoscerà certamente; non vorrei che mi discoprisse) (da sé, avvedendosi di Brighella). Amico, mi par di conoscervi (forte a Brighella).
Brighella: Sì signor, no la s'arrecorda a Turin Brighella Cavicchio?
Beatrice: Ah sì, ora vi riconosco (si va accostando a Brighella) Bravo galantuomo, che fate in Venezia? (Per amor del cielo, non mi scoprite) (piano a Brighella).
Brighella: (Non gh'è dubbio) (piano a Beatrice). Fazzo el locandier, per servirla (forte alla medesima).
Beatrice: Oh, per l'appunto; giacché ho il piacer di conoscervi, verro ad alloggiare alla vostra locanda.
Brighella: La me farà grazia. (Qualche contrabando, siguro).
Pantalone: Ho sentio tutto. Certo che ste lettere le me accompagna el sior Federigo Rasponi, e se ella me le presenta, bisognerave creder che la fosse... come che dise ste lettere.
Beatrice: Se qualche dubbio ancor vi restasse, ecco qui messer Brighella; egli mi conosce, egli può assicurarvi dell'esser mio.
Brighella: Senz'altro, sior compare, lo assicuro mi.
Pantalone: Co la xè cusì, co me l'attesta, oltre le lettere, anca mio compare Brighella, caro sior Federigo, me ne consolo con ella, e ghe domando scusa se ho dubita.
Clarice: Signor padre, quegli è dunque il signor Federigo Rasponi?
Pantalone: Mo el xè elo lu.
Clarice: (Me infelice, che sarà di noi?) (piano a Silvio).
Silvio: (Non dubitate, vi dico; siete mia e vi difenderò) (piano a Clarice).
Pantalone: (Cossa diseu, dottor, xèlo vegnù a tempo?) (piano al Dottore).
Dottore: Accidit in puncto, quod non contingit in anno.
Beatrice: Signor Pantalone, chi è quella signora (accennando Clarice).
Pantalone: La xè Clarice mia fia.
Beatrice: Quella a me destinata in isposa?
Pantalone: Sior sì, giusto quella. (Adesso son in t'un bell'intrigo).
Beatrice: Signora, permettetemi ch'io abbia l'onore di riverirvi (a Clarice).
Clarice: Serva divota (sostenuta).
Beatrice: Molto freddamente m'accoglie (a Pantalone).
Pantalone: Cossa vorla far? La xè timida de natura.
Beatrice: E quel signore è qualche vostro parente? (a Pantalone, accennando Silvio).
Pantalone: Sior sì; el xè un mio nevodo.
Silvio: No signore, non sono suo nipote altrimenti, sono lo sposo della signora Clarice (a Beatrice).
Dottore: (Bravo! Non ti perdere. Di'la tua ragione, ma senza precipitare) (piano a Silvio).
Beatrice: Come! Voi sposo della signora Clarice? Non è ella a me destinata?
Pantalone: Via, via. Mi scoverzirò tutto. Caro sior Federigo, se credeva che fosse vera la vostra disgrazia che fussi morto, e cussi aveva dà mia fia a sior Silvio; qua no ghe xè un mal al mondo. Finalmente sè arriva in tempo. Clarice xè vostra, se la volè, e mi son qua a mantegnirve la mia parola. Sior Silvio, no so cossa dir; vedè coi vostri occhi la verità. Savè cossa che v'ho dito, e de mi no ve podè lamentar.
Silvio: Ma il signor Federigo non si contenterà di prendere una sposa, che porse ad altri la mano.
Beatrice: Io poi non sono si delicato. La prenderò non ostante. (Voglio anche prendermi un poco di divertimento).
Dottore: (Che buon marito alla moda! Non mi dispiace).
Beatrice: Spero che la signora Clarice non ricuserà la mia mano.
Silvio: Orsù, signore, tardi siete arrivato. La signora Clarice deve esser mia, né sperate che io ve la ceda. Se il signor Pantalone mi farà torto, saprò vendicarmene; e chi vorrà Clarice, dovrà contenderla con questa spada (parte).
Dottore: (Bravo, corpo di Bacco!).
Beatrice: (No, no, per questa via non voglio morire).
Dottore: Padrone mio, V. S. è arrivato un po'tardi. La signora Clarice l'ha da sposare mio figlio. La legge parla chiaro. Prior in tempore, potior in iure (parte).
Beatrice: Ma voi, signora sposa, non dite nulla? (a Clarice).
Clarice: Dico che siete venuto per tormentarmi (parte).
SCENA QUARTA
Pantalone, Beatrice e Brighella, poi il Servitore di Pantalone.
Pantalone: Come, pettegola? Cossa distu? (le vuol correr dietro).
Beatrice: Fermatevi, signor Pantalone; la compatisco. Non conviene prenderla con asprezza. Col tempo spero di potermi meritare la di lei grazia. Intanto andremo esaminando i nostri conti, che è uno dei due motivi per cui, come vi è noto, mi son portato a Venezia.
Pantalone: Tutto xè all'ordine per el nostro conteggio. Ghe farò veder el conto corrente; i so bezzi xè parechiai, e faremo el saldo co la vorrà.
Beatrice: Verro con più comodo a riverirvi; per ora, se mi permettete, andrò con Brighella a spedire alcuni piccioli affari che mi sono stati raccomandati. Egli è pratico della città, potrà giovarmi nelle mie premure.
Pantalone: La se serva come che la vol; e se la gh'ha bisogno de gnente, la comanda.
Beatrice: Se mi darete un poco di denaro, mi farete piacere; non ho voluto prenderne meco per non discapitare nelle monete.
Pantalone: Volentiera, la servirò. Adesso no gh'è el cassier. Subito che el vien, ghe manderò i bezzi fina a casa. No vala a star da mio compare Brighella?
Beatrice: Certamente, vado da lui; e poi manderò il mio servitore; egli è fidatissimo, gli si può fidar ogni cosa.
Pantalone: Benissimo; la servirò come la comanda, e se la vol restar da mi a far penitenza, la xè parona.
Beatrice: Per oggi vi ringrazio. Un'altra volta sarò a incomodarvi.
Pantalone: Donca starò attendendola.
Servitore: Signore, è domandato (a Pantalone).
Pantalone: Da chi?
Servitore: Di là... non saprei... (Vi sono degl'imbrogli) (piano a Pantalone, e parte).
Pantalone: Vegno subito. Con so bona grazia. La scusa, se no la compagno. Brighella, vu sè de casa; servilo vu sior Federigo.
Beatrice: Non vi prendete pena per me.
Pantalone: Bisogna che vaga. A bon reverirla. (Non voria che nascesse qualche diavolezzo) (parte).
SCENA QUINTA
Beatrice: e Brighella.
Brighella: Se pol saver, siora Beatrice?...
Beatrice: Chetatevi, per amor del cielo, non mi scoprite. II povero mio fratello è morto, ed è rimasto ucciso o dalle mani di Florindo: Aretusi, o da alcun altro per di lui cagione. Vi sovverrete che Florindo: mi amava, e mio fratello non voleva che io gli corrispondessi. Si attaccarono non so come: Federigo morì, e Florindo, per timore della giustizia, se n'è fuggito senza potermi dare un addio. Sa il cielo se mi dispiace la morte del povero mio fratello, e quanto ho pianto per sua cagione; ma oramai non vi è più rimedio, e mi duole la perdita di Florindo: So che a Venezia erasi egli addrizzato, ed io ho fatto la risoluzione di seguitarlo. Cogli abiti e colle lettere credenziali di mio fratello, eccomi qui arrivata colla speranza di ritrovarvi l'amante. Il signor Pantalone, in grazia di quelle lettere, e in grazia molto più della vostra asserzione, mi crede già Federigo. Faremo il saldo dei nostri conti, riscuoterò del denaro, e potrò soccorrere anche Florindo, se ne avrà di bisogno. Guardate dove conduce amore! Secondatemi, caro Brighella, aiutatemi; sarete largamente ricompensato.
Brighella: Tutto va bene, ma no vorave esser causa mi che sior Pantalon, sotto bona fede, ghe pagasse el contante e che po el restasse burlà.
Beatrice: Come burlato? Morto mio fratello, non sono io l'erede?
Brighella: L'è la verità. Ma perché no scovrirse?
Beatrice: Se mi scopro, non faccio nulla. Pantalone principierà a volermi far da tutore, e tutti mi seccheranno, che non istà bene, che non conviene, e che so io? Voglio la mia libertà. Durerà poco, ma pazienza. Frattanto qualche cosa sarà.
Brighella: Veramente, signora, l'è sempre stada un spiritin bizzarro. La lassa far a mi, la staga su la mia fede. La se lassa servir.
Beatrice: Andiamo alla vostra locanda.
Brighella: El so servitor dov'elo?
Beatrice: Ha detto che mi aspetterà sulla strada.
Brighella: Dove l'ala tolto quel martuffo? Nol sa gnanca parlar.
Beatrice: L'ho preso per viaggio. Pare sciocco qualche volta, ma non lo è; e circa la fedeltà non me ne posso dolere.
Brighella: Ah, la fedeltà l'è una bella cossa. Andemo, la resta servida, vardè amor cossa che el fa far.
Beatrice: Questo non è niente. Amor ne fa far di peggio (parte).
Brighella: Eh, avemo principià ben. Andando in là, no se sa cossa possa succeder (parte).
SCENA SESTA
Strada colla locanda di Brighella
Truffaldino: solo.
Truffaldino: Son stuffo d'aspettar, che no posso più. Co sto me patron se magna poco, e quel poco el me lo fa suspirar. Mezzozorno della città l'è sonà che è mezz'ora, e el mezzozorno delle mie budelle l'è sonà che sarà do ore. Almanco savesse dove s'ha da andar a alozar. I alter subit che i arriva in qualche città, la prima cossa i va all'osteria. Lu, sior no, el lassa i bauli in barca del corrier. el va a far visite, e nol se recorda del povero servitor. Quand ch'i dis, bisogna servir i padroni con amor! Bisogna dir ai padroni, ch'i abbia un poco de carità per la servitù. Qua gh'è una locanda; quasi quasi anderia a veder se ghe fuss da devertir el dente; ma se el padron me cerca? So danno, che l'abbia un poco de discrezion. Voi andar; ma adess che ghe penso, gh'è un'altra piccola difficoltà, che no me l'arrecordava; non ho gnanca un quattrin. Oh povero Truffaldin! Più tost che far el servitor, corpo del diavol, me voi metter a far... cossa mo? Per grazia del Cielo, mi no so far gnente
SCENA SETTIMA
Florindo: da viaggio con un Facchino col baule in spalla, e detto.
FACCHINO Ghe digo che no posso più; el pesa che el mazza.
Florindo: Ecco qui un'insegna d'osteria o di locanda. Non puoi far questi quattro passi?
FACCHINO Aiuto; el baul va in terra.
Florindo: L'ho detto che tu non saresti stato al caso: sei troppo debole: non hai forza (regge il baule sulle spalle del Facchino).
Truffaldino: (Se podess vadagnar diese soldi) (osservando il Facchino). Signor, comandela niente da mi? La possio servir? (a Florindo).
Florindo: Caro galantuomo, aiutate a portare questo baule in quell'albergo.
Truffaldino: Subito, la lassa far a mi. La varda come se fa. Passa via (va colla spalla sotto il baule, lo prende tutto sopra di sé, e caccia in terra il Facchino con una spinta).
Florindo: Bravissimo.
Truffaldino: Se nol pesa gnente! (entra nella locanda col baule).
Florindo: Vedete come si fa? (al Facchino).
FACCHINO Mi no so far de più. Fazzo el facchin per desgrazia; ma son fiol de una persona civil.
Florindo: Che cosa faceva vostro padre?
FACCHINO Mio padre? El scortegava i agnelli per la città.
Florindo: (Costui è un pazzo; non occorr'altro) (vuol andare nella locanda).
FACCHINO Lustrissimo, la favorissa.
Florindo: Che cosa?
FACCHINO I bezzi della portadura.
Florindo: Quanto ti ho da dare per dieci passi? Ecco lì la corriera (accenna dentro alla scena).
FACCHINO Mi no conto i passi; la me paga (stende la mano).
Florindo: Eccoti cinque soldi (gli mette una moneta in mano).
FACCHINO La me paga (tiene la mano stesa).
Florindo: O che pazienza! Eccotene altri cinque (fa come sopra).
FACCHINO La me paga (come sopra).
Florindo: (gli dà un calcio) Sono annoiato.
Facchino: Adesso son pagà (parte).
SCENA OTTAVA
Florindo, poi Truffaldino.
Florindo: Che razza di umori si danno! Aspettava proprio che io lo maltrattassi. Oh, andiamo un po'a vedere che albergo è questo...
Truffaldino: Signor, l'è restada servida.
Florindo: Che alloggio è codesto?
Truffaldino: L'è una bona locanda, signor. Boni letti, bei specchi, una cusina bellissima, con un odor che consola. Ho parlà col camerier. La sarà servida da re.
Florindo: Voi che mestiere fate?
Truffaldino: El servitor.
Florindo: Siete veneziano?
Truffaldino: No son venezian, ma son qua del Stato. Son bergamasco, per servirla.
Florindo: Adesso avete padrone?
Truffaldino: Adesso... veramente non l'ho.
Florindo: Siete senza padrone?
Truffaldino: Eccome qua; la vede, son senza padron. (Qua nol gh'è el me padron, mi no digo busie).
Florindo: Verreste voi a servirmi?
Truffaldino: A servirla? Perché no? (Se i patti fusse meggio, me cambieria de camisa).
Florindo: Almeno per il tempo ch'io sto in Venezia.
Truffaldino: Benissimo. Quanto me vorla dar?
Florindo: Quanto pretendete?
Truffaldino: Ghe dirò: un altro padron che aveva, e che adesso qua nol gh'ho più, el me dava un felippo al mese e le spese.
Florindo: Bene, e tanto vi darò io.
Truffaldino: Bisognerave che la me dasse qualcossetta de più.
Florindo: Che cosa pretendereste di più?
Truffaldino: Un soldetto al zorno per el tabacco.
Florindo: Sì, volentieri; ve lo darò.
Truffaldino: Co l'è cusì, stago con lu.
Florindo: Ma vi vorrebbe un poco d'informazione dei fatti vostri.
Truffaldino: Co no la vol altro che informazion dei fatti mii, la vada a Bergamo, che tutti ghe dirà chi son.
Florindo: Non avete nessuno in Venezia che vi conosca?
Truffaldino: Son arrivà stamattina, signor.
Florindo: Orsù; mi parete un uomo da bene. Vi proverò.
Truffaldino: La me prova, e la vederà.
Florindo: Prima d'ogni altra cosa, mi preme vedere se alla Posta vi siano lettere per me. Eccovi mezzo scudo; andate alla Posta di Torino, domandate se vi sono lettere di Florindo Aretusi; se ve ne sono, prendetele e portatele subito, che vi aspetto.
Truffaldino: Intanto la fazza parecchiar da disnar.
Florindo: Sì, bravo, farò preparare. (È faceto: non mi dispiace. A poco alla volta ne farò la prova) (entra nella locanda).
SCENA NONA
Truffaldino, poi Beatrice da uomo e Brighella.
Truffaldino: Un soldo al zorno de più, i è trenta soldi al mese; no l'è gnanca vero che quell'alter me daga un felippo; el me dà diese pauli, Pol esser che diese pauli i fazza un felippo, ma mi nol so de seguro. E po quel sior turinese nol vedo più. L'è un matto. L'è un zovenotto che no gh'ha barba e no gh'ha giudizio. Lassemolo andar; andemo alla Posta per sto sior... (vuol partire ed incontra Beatrice).
Beatrice: Bravissimo. Così mi aspetti?
Truffaldino: Son qua, signor. V'aspetto ancora.
Beatrice: E perchè vieni a aspettarmi qui, e non nella strada dove ti ho detto? È un accidente che ti abbia ritrovato.
Truffaldino: Ho spasseggià un pochetto, perché me passasse la fame.
Beatrice: Orsù, va in questo momento alla barca del corriere. Fatti consegnare il mio baule e portalo alla locanda di messer Brighella...
Brighella: Eccola l'à la mia locanda; nol pol fallar.
Beatrice: Bene dunque, sbrigati, che ti aspetto.
Truffaldino: (Diavolo! In quella locanda!).
Beatrice: Tieni, nello stesso tempo anderai alla Posta di Torino e domanderai se vi sono mie lettere. Anzi domanda se vi sono lettere di Federigo Rasponi e di Beatrice Rasponi. Aveva da venir meco anche mia sorella, e per un incomodo è restata in villa, qualche amica le potrebbe scrivere; guarda se ci sono lettere o per lei, o per me.
Truffaldino: (Mi no so quala far. Son l'omo più imbroià de sto mondo).
Brighella: (Come aspettela lettere al so nome vero e al so nome finto, se l'è partida segretamente?) (piano a Beatrice).
Beatrice: (Ho lasciato ordine che mi si scriva ad un servitor mio fedele che amministra le cose della mia casa; non so con qual nome egli mi possa scrivere. Ma andiamo, che con comodo vi narrerò ogni cosa) (piano a Brighella). Spicciati, va alla Posta e va alla corriera. Prendi le lettere, fa portar il baule nella locanda, ti aspetto (entra nella locanda).
Truffaldino: Sì vu el padron della locanda? (a Brighella).
Brighella: Si ben, son mi. Porteve ben, e no ve dubitè, che ve farò magnar ben (entra nella locanda).
SCENA DECIMA
Truffaldino, poi Silvio.
Truffaldino: Oh bella! Ghe n'è tanti che cerca un padron, e mi ghe n'ho trovà do. Come diavol oia da far? Tutti do no li posso servir. No? E perché no? No la saria una bella cossa servirli tutti do, e guadagnar do salari, e magnar el doppio? La saria bella, se no i se ne accorzesse. E se i se ne accorze, cossa pèrdio? Gnente. Se uno me manda via, resto con quell'altro. Da galantomo, che me vai provar. Se la durasse anca un dì solo, me vòi provar. Alla fin averò sempre fatto una bella cossa. Animo; andemo alla Posta per tutti do (incamminandosi).
Silvio: (Questi è il servo di Federigo Rasponi). Galantuomo (a Truffaldino).
Truffaldino: Signor.
Silvio: Dov'è il nostro padrone?
Truffaldino: El me padron? L'è là in quella locanda.
Silvio: Andate subito dal vostro padrone, ditegli ch'io gli voglio parlare; s'è uomo d'onore, venga giù, ch'io l'attendo.
Truffaldino: Ma caro signor...
Silvio: Andate subito (con voce alta).
Truffaldino: Ma la sappia che el me padron...
Silvio: Meno repliche, giuro al cielo.
Truffaldino: Ma qualo ha da vegnir?...
Silvio: Subito, o ti bastono.
Truffaldino: (No so gnente, manderò el primo che troverò) (entra nella locanda).
SCENA UNDICESIMA
Silvio, poi Florindo e Truffaldino.
Silvio: No, non sarà mai vero ch'io soffra vedermi innanzi agli occhi un rivale. Se Federigo scampò la vita una volta, non gli succederà sempre la stessa sorte. O ha da rinunziare ogni pretensione sopra Clarice, o l'avrà da far meco... Esce altra gente dalla locanda. Non vorrei essere disturbato (si ritira dalla parte opposta).
Truffaldino: Ecco là quel sior che butta fogo da tutte le bande (accenna Silvio a Florindo).
Florindo: Io non lo conosco. Che cosa vuole da me? (a Truffaldino).
Truffaldino: Mi no so gnente. Vado a tor le lettere; con so bona grazia. (No voggio impegni) (da sé, e parte).
Silvio: (E Federigo non viene).
Florindo: (Voglio chiarirmi della verità). Signore, siete voi che mi avete domandato? (a Silvio)
Silvio: Io? Non ho nemmeno l'onor di conoscervi.
Florindo: Eppure quel servitore, che ora di qui è partito, mi ha detto che con voce imperiosa e con minaccie avete preteso di provocarmi.
Silvio: Colui m'intese male; dissi che parlar volevo al di lui padrone.
Florindo: Bene, io sono il di lui padrone.
Silvio: Voi, il suo padrone?
Florindo: Senz'altro. Egli sta al mio servizio.
Silvio: Perdonate dunque, o il vostro servitore è simile ad un altro che ho veduto stamane, o egli serve qualche altra persona.
Florindo: Egli serve me, non ci pensate.
Silvio: Quand'è così, torno a chiedervi scusa.
Florindo: Non vi è male. Degli equivoci ne nascon sempre.
Silvio: Siete voi forestiere, signore?
Florindo: Turinese, a'vostri comandi.
Silvio: Turinese appunto era quello con cui desiderava sfogarmi.
Florindo: Se è mio paesano, può essere ch'io lo conosca, e s'egli vi ha disgustato, m'impiegherò volentieri per le vostre giuste soddisfazioni.
Silvio: Conoscete voi un certo Federigo Rasponi?
Florindo: Ah! l'ho conosciuto pur troppo.
Silvio: Pretende egli per una parola avuta dal padre togliere a me una sposa, che questa mane mi ha giurato la fede.
Florindo: Non dubitate, amico, Federigo Rasponi non può involarvi la sposa. Egli è morto.
Silvio: Si, tutti credevano ch'ei fosse morto, ma stamane giunse vivo e sano in Venezia, per mio malanno, per mia disperazione.
Florindo: Signore, voi mi fate rimaner di sasso.
Silvio: Ma! ci sono rimasto anch'io.
Florindo: Federigo Rasponi vi assicuro che è morto.
Silvio: Federigo Rasponi vi assicuro che è vivo.
Florindo: Badate bene che v'ingannerete.
Silvio: Il signor Pantalone de'Bisognosi, padre della ragazza, ha fatto tutte le possibili diligenze per assicurarsene, ed ha certissime prove che sia egli proprio in persona.
Florindo: (Dunque non restò ucciso, come tutti credettero, nella rissa!).
Silvio: O egli, o io, abbiamo da rinunziare agli amori di Clarice, o alla vita.
Florindo: (Qui Federigo? Fuggo dalla giustizia, e mi trovo a fronte il nemico!).
Silvio: È molto che voi non lo abbiate veduto. Doveva alloggiare in codesta locanda.
Florindo: Non l'ho veduto; qui m'hanno detto che non vi era forestiere nessuno.
Silvio: Avrà cambiato pensiere. Signore, scusate se vi ho importunato Se lo vedete, ditegli che per suo meglio abbandoni l'idea di cotali nozze. Silvio Lombardi è il mio nome; avrò l'onore di riverirvi.
Florindo: Gradirò sommamente la vostra amicizia. (Resto pieno di confusione).
Silvio: Il vostro nome, in grazia, poss'io saperlo?
Florindo: (Non vo'scoprirmi). Orazio Ardenti per obbedirvi.
Silvio: Signor Orazio, sono a'vostri comandi (parte).
SCENA DODICESIMA
Florindo: solo.
Florindo: Come può darsi che una stoccata, che lo passò dal fianco alle reni, non l'abbia ucciso? Lo vidi pure io stesso disteso al suolo, involto nel proprio sangue. Intesi dire che spirato egli era sul colpo. Pure potrebbe darsi che morto non fosse. Il ferro toccato non lo avrà nelle parti vitali. La confusione fa travedere. L'esser io fuggito da Torino subito dopo il fatto, che a me per la inimicizia nostra venne imputato, non mi ha lasciato luogo a rilevare la verità. Dunque, giacché non è morto, sarà meglio ch'io ritorni a Torino, ch'io vada a consolare la mia diletta Beatrice, che vive forse penando, e piange per la mia lontananza.
SCENA TREDICESIMA
Truffaldino: con un altro Facchino che porta il baule di Beatrice, e detto.
Truffaldino: s'avanza alcuni passi col Facchino, poi accorgendosi di Florindo e dubitando esser veduto, fa ritirare il Facchino.
Truffaldino: Andemo con mi... Oh diavol! L è qua quest'alter padron. Retirete, camerada, e aspetteme su quel canton (il Facchino si ritira).
Florindo: (Sì, senz'altro. Ritornerò a Torino).
Truffaldino: Son qua, signor...
Florindo: Truffaldino, vuoi venir a Torino con me?
Truffaldino: Quando?
Florindo: Ora, subito.
Truffaldino: Senza disnar?
Florindo: No; si pranzerà, e poi ce n'andremo.
Truffaldino: Benissimo; disnando ghe penserò.
Florindo: Sei stato alla Posta?
Truffaldino: Signor sì.
Florindo: Hai trovato mie lettere?
Truffaldino: Ghe n'ho trovà.
Florindo: Dove sono?
Truffaldino: Adesso le troverò (tira fuori di tasca tre lettere). (Oh diavolo! Ho confuso quelle de un padron con quelle dell'altro. Come faroio a trovar fora le soe? Mi no so lezer).
Florindo: Animo, dà qui le mie lettere.
Truffaldino: Adesso, signor. (Son imbroiado). Ghe dirò, signor. Ste tre lettere no le vien tutte a V. S. Ho trovà un servitor che me cognosse, che semo stadi a servir a Bergamo insieme; gh'ho dit che andava alla Posta, e el m'ha pregà che veda se gh'era niente per el so padron. Me par che ghe ne fusse una, ma no la conosso più, no so quala che la sia.
Florindo: Lascia vedere a me; prenderò le mie, e l'altra te la renderò.
Truffaldino: Tolì pur. Me preme de servir l'amigo.
Florindo: (Che vedo? Una lettera diretta a Beatrice Rasponi? A Beatrice Rasponi in Venezia!).
Truffaldino: L'avì trovada quella del me camerada?
Florindo: Chi è questo tuo camerata, che ti ha dato una tale incombenza?
Truffaldino: L'è un servitor... che gh'ha nome Pasqual.
Florindo: Chi serve costui?
Truffaldino: Mi no lo so, signor.
Florindo: Ma se ti ha detto di cercar le lettere del suo padrone, ti avrà dato il nome.
Truffaldino: Naturalmente. (L'imbroio cresce).
Florindo: Ebbene, che nome ti ha dato?
Truffaldino: No me l'arrecordo.
Florindo: Come!...
Truffaldino: El me l'ha scritto su un pezzo de carta.
Florindo: E dov'è la carta?
Truffaldino: L'ho lassada alla Posta.
Florindo: (Io sono in un mare di confusioni).
Truffaldino: (Me vado inzegnando alla meio).
Florindo: Dove sta di casa questo Pasquale?
Truffaldino: Non lo so in verità.
Florindo: Come potrai ricapitargli la lettera?
Truffaldino: El m'ha dito che se vederemo in piazza.
Florindo: (Io non so che pensare).
RUFFALDINO (Se la porto fora netta, l'è un miracolo). La me favorissa quella lettera, che vederò de trovarlo.
Florindo: No, questa lettera voglio aprirla.
Truffaldino: Ohibò; no la fazza sta cossa. La sa pur, che pena gh'è a avrir le lettere.
Florindo: Tant'è, questa lettera m'interessa troppo. È diretta a persona, che mi appartiene per qualche titolo. Senza scrupolo la posso aprire (l'apre).
Truffaldino: (Schiavo siori. El l'ha fatta).
Florindo: (legge)
Illustrissima signora padrona.
La di lei partenza da questa città ha dato motivo di discorrere a tutto il paese; e tutti capiscono ch'ella abbia fatto tale risoluzione per seguitare il signor Florindo. Lo Corte ha penetrato ch'ella sia fuggita in abito da uomo, e non lascia di far diligenze per rintracciarla e farla arrestare. Io non ho spedito la presente da questa Posta di Torino per Venezia a dirittura, per non iscoprire il paese dov'ella mi ha confidato che pensava portarsi; ma l'ho inviata ad un amico di Genova, perché poi di la la trasmettesse a Venezia. Se avrò novità di rimarco, non lascerò di comunicargliele collo stesso metodo, e umilmente mi rassegno.
Umilissimo e fedelissimo servitore
Tognin della Doira.
Truffaldino: (Che bell'azion! Lezer i fatti d'i altri).
Florindo: (Che intesi mai? Che lessi? Beatrice partita di casa sua? in abito d'uomo? per venire in traccia di me? Ella mi ama davvero. Volesse il cielo che io la ritrovassi in Venezia!). Va, caro Truffaldino, usa ogni diligenza per ritrovare Pasquale; procura di ricavare da lui chi sia il suo padrone, se uomo, se donna. Rileva dove sia alloggiato, e se puoi, conducilo qui da me, che a te e a lui darò una mancia assai generosa.
Truffaldino: Deme la lettera; procurerò de trovarlo.
Florindo: Eccola, mi raccomando a te. Questa cosa mi preme infinitamente.
Truffaldino: Ma ghe l'ho da dar cusì averta?
Florindo: Digli che è stato un equivoco, un accidente. Non mi trovare difficoltà.
Truffaldino: E a Turin se va più per adesso?
Florindo: No, non si va più per ora. Non perder tempo. Procura di ritrovar Pasquale. (Beatrice in Venezia, Federigo in Venezia. Se la trova il fratello, misera lei; farò io tutte le diligenze possibili per rinvenirla) (parte).
SCENA QUATTORDICESIMA
Truffaldino solo, poi il Facchino col baule.
Truffaldino: Ho gusto da galantomo, che no se vada via. Ho volontà de veder come me riesce sti do servizi. Vòi provar la me abilità. Sta lettera, che va a st'alter me padron, me despias de averghela da portar averta. M'inzegnerò de piegarla (fa varie piegature cattive). Adess mo bisogneria bollarla. Se savess come far! Ho vist la me siora nonna, che delle volte la bollava le lettere col pan mastegà. Voio provar (tira fuori di tasca un pezzetto di pane). Me despiase consumar sto tantin de pan; ma ghe vol pazenzia (mastica un po'di pane per sigillare la lettera, ma non volendo l'inghiotte). Oh diavolo! L'è andà zo. Bisogna mastegarghene un altro boccon (fa lo stesso e l'inghiotte). No gh'è remedio, la natura repugna. Me proverò un'altra volta (mastica, come sopra. Vorrebbe inghiottir il pane, ma si trattiene, e con gran fatica se lo leva di bocca). Oh, l'è vegnù. Bollerò la lettera (la sigilla col pane). Me par che la staga ben. Gran mi per far le cosse pulito! Oh, no m'arrecordava più del facchin. Camerada, vegnì avanti, tolì su el baul (verso la scena).
Facchino: (col baule in spalla) Son qua, dove l'avemio da portar?
Truffaldino: Portel in quella locanda, che adess vegno anca mi.
Facchino: E chi pagherà?
SCENA QUINDICESIMA
Beatrice, che esce dalla locanda, e detti.
Beatrice: Èquesto il mio baule? (a Truffaldino).
Truffaldino: Signor sì.
Beatrice: Portatelo nella mia camera (al Facchino).
Facchino: Qual èla la so camera?
Beatrice: Domandatelo al cameriere.
Facchino: Semo d'accordo trenta soldi.
Beatrice: Andate, che vi pagherò.
Facchino: Che la fazza presto.
Beatrice: Non mi seccate.
Facchino: Adessadesso ghe butto el baul in mezzo alla strada (entra nella locanda).
Truffaldino: Gran persone gentili che son sti facchini!
Beatrice: Sei stato alla Posta?
Truffaldino: Signor si.
Beatrice: Lettere mie ve ne sono?
Truffaldino: Ghe n'era una de vostra sorella.
Beatrice: Bene, dov'è?
Truffaldino: Eccola qua (le dà la lettera).
Beatrice: Questa lettera è stata aperta.
Truffaldino: Averta? Oh! no pol esser.
Beatrice: Aperta e sigillata ora col pane.
Truffaldino: Mi no saveria mai come che la fusse.
Beatrice: Non lo sapresti, eh? Briccone, indegno; chi ha aperto questa lettera? Voglio saperlo.
Truffaldino: Ghe dirò, signor, ghe confesserò la verità. Semo tutti capaci de fallar. Alla Posta gh'era una lettera mia; so poco lezer; e in fallo, in vece de averzer la mia, ho averto la soa. Ghe domando perdon.
Beatrice: Se la cosa fosse così, non vi sarebbe male.
Truffaldino: L'è così da povero fiol.
Beatrice: L'hai letta questa lettera? Sai che cosa contiene?
Truffaldino: Niente affatto. L'è un carattere che no capisso.
Beatrice: L'ha veduta nessuno?
Truffaldino: Oh! (maravigliandosi).
Beatrice: Bada bene, veh!
Truffaldino: Uh! (come sopra).
Beatrice: (Non vorrei che costui m'ingannasse) (legge piano).
Truffaldino: (Anca questa l'è tacconada).
Beatrice: (Tognino è un servitore fedele. Gli ho dell'obbligazione). Orsù, io vado per un interesse poco lontano Tu va nella locanda, apri il baule, eccoti le chiavi e da'un poco d'aria ai miei vestiti. Quando torno, si pranzerà (Il signor Pantalone non si vede, ed a me premono queste monete) (parte).
SCENA SEDICESIMA
Truffaldino, poi Pantalone.
Truffaldino: Mo l'è andada ben, che no la podeva andar meio. Son un omo de garbo; me stimo cento scudi de più de quel che no me stimava.
Pantalone: Disè, amigo, el vostro padron xèlo in casa?
Truffaldino: Sior no, nol ghe xè.
Pantalone: Saveu dove che el sia?
Truffaldino: Gnanca.
Pantalone: Vienlo a casa a disnar?
Truffaldino: Mi crederave de sì.
Pantalone: Tolè, col vien a casa, deghe sta borsa co sti cento ducati. No posso trattegnirme, perché gl'ho da far. Ve reverisso (parte).
SCENA DICIASSETTESIMA
Truffaldino, poi Florindo.
Truffaldino: La diga, la senta. Bon viazo. Non m'ha gnanca dito a qual dei mi padroni ghe l'ho da dar.
Florindo: E bene, hai tu ritrovato Pasquale?
Truffaldino: Sior no, no l'ho trovà Pasqual, ma ho trovà uno, che m'ha dà una borsa con cento ducati.
Florindo: Cento ducati? Per farne che?
Truffaldino: Disim la verità, sior padron, aspetteu denari da nissuna banda?
Florindo: Sì ho presentata una lettera ad un mercante.
Truffaldino: Donca sti quattrini i sarà vostri.
Florindo: Che cosa ha detto chi te li ha dati?
Truffaldino: El m'ha dit, che li daga al me padron.
Florindo: Dunque sono miei senz'altro. Non sono io il tuo padrone? Che dubbio c'è?
Truffaldino: (Nol sa gnente de quell'alter padron).
Florindo: E non sai chi te li abbia dati?
Truffaldino: Mi no so; me par quel viso averlo visto un'altra volta, ma no me recordo.
Florindo: Sarà un mercante, a cui sono raccomandato.
Truffaldino: El sarà lu senz'altro.
Florindo: Ricordati di Pasquale.
Truffaldino: Dopo disnar lo troverò.
Florindo: Andiamo dunque a sollecitare il pranzo (entra nella locanda).
Truffaldino: Andemo pur. Manco mal che sta volta non ho fallà. La borsa l'ho dada a chi l'aveva d'aver (entra nella locanda).
SCENA DICIOTTESIMA
Camera in casa di Pantalone Pantalone e Clarice, poi Smeraldina.
Pantalone: Tant'è; sior Federigo ha da esser vostro mario. Ho dà parola, e no son un bambozzo.
Clarice: Siete padrone di me, signor padre; ma questa, compatitemi, è una tirannia.
Pantalone: Quando sior Federigo v'ha fatto domandar, ve l'ho dito; vu non m'avè resposo de no volerlo. Allora dovevi parlar; adesso no sè più a tempo.
Clarice: La soggezione, il rispetto, mi fecero ammutolire.
Pantalone: Fè che el respetto e la suggizion fazza l'istesso anca adesso.
Clarice: Non posso, signor padre.
Pantalone: No? per cossa?
Clarice: Federigo non lo sposerò certamente.
Pantalone: Ve despiaselo tanto?
Clarice: È odioso agli occhi miei.
Pantalone: Anca sì che mi ve insegno el modo de far che el ve piasa?
Clarice: Come mai, signore?
Pantalone: Desmenteghève sior Silvio, e vederè che el ve piaserà.
Clarice: Silvio: è troppo fortemente impresso nell'anima mia; e voi coll'approvazione vostra lo avete ancora più radicato.
Pantalone: (Da una banda la compatisso). Bisogna far de necessità vertù.
Clarice: Il mio cuore non è capace di uno sforzo sì grande.
Pantalone: Feve animo, bisogna farlo...
Smeraldina: Signor padrone, è qui il signor Federigo, che vuol riverirla.
Pantalone: Ch'el vegna, che el xè patron.
Clarice: Oimè! Che tormento! (piange).
Smeraldina: Che avete, signora padrona? Piangete? In verità avete torto. Non avete veduto com'è bellino il signor Federigo? Se toccasse a me una tal fortuna, non vorrei piangere, no; vorrei ridere con tanto di bocca (parte).
Pantalone: Via, fia mia, no te far veder a pianzer.
Clarice: Ma se mi sento scoppiar il cuore.
SCENA DICIANNOVESIMA
Beatrice: da uomo, e detti.
Beatrice: Riverisco il signor Pantalone.
Pantalone: Padron reverito. Àla recevesto una borsa con cento ducati?
Beatrice: Io no.
Pantalone: Ghe l'ho dada za un poco al so servitor. La m'ha dito che el xè un omo fidà.
Beatrice: Sì, non vi è pericolo. Non l'ho veduto: me li darà, quando torno a casa. (Che ha la signora Clarice: che piange?) (piano a Pantalone).
Pantalone: (Caro sior Federigo, bisogna compatirla. La nova della so morte xè stada causa de sto mal. Col tempo spero che la se scambierà) (piano a Beatrice).
Beatrice: (Fate una cosa, signor Pantalone, lasciatemi un momento in libertà con lei, per vedere se mi riuscisse d'aver una buona parola) (come sopra).
Pantalone: Sior Sì; vago e vegno. (Voggio provarle tutte). Fia mia, aspetteme, che adesso torno. Tien un poco de compagnia al to novizzo. (Via, abbi giudizio) (piano a Clarice, e parte).
SCENA VENTESIMA
Beatrice e Clarice.
Beatrice: Deh, signora Clarice...
Clarice: Scostatevi, e non ardite d'importunarmi.
Beatrice: Così severa con chi vi è destinato in consorte?
Clarice: Se sarò strascinata per forza alle vostre nozze, avrete da me la mano, ma non il cuore.
Beatrice: Voi siete sdegnata meco, eppure io spero placarvi.
Clarice: V'aborrirò in eterno.
Beatrice: Se mi conosceste, voi non direste così.
Clarice: Vi conosco abbastanza per lo sturbatore della mia pace.
Beatrice: Ma io ho il modo di consolarvi.
Clarice: V'ingannate; altri che Silvio consolare non mi potrebbe.
Beatrice: Certo che non posso darvi quella consolazione, che dar vi potrebbe il vostro Silvio, ma posso contribuire alla vostra felicità.
Clarice: Mi par assai, signore, che parlandovi io in una maniera la più aspra del mondo, vogliate ancor tormentarmi.
Beatrice: (Questa povera giovane mi fa pietà; non ho cuore di vederla penare).
Clarice: (La passione mi fa diventare ardita, temeraria, incivile).
Beatrice: Signora Clarice, vi ho da confidare un segreto.
Clarice: Non vi prometto la segretezza. Tralasciate di confidarmelo.
Beatrice: La vostra austerità mi toglie il modo di potervi render felice.
Clarice: Voi non mi potete rendere che sventurata.
Beatrice: V'ingannate; e per convincervi vi parlerò schiettamente. Se voi non volete me, io non saprei che fare di voi. Se avete ad altri impegnata la destra, anch'io con altri ho impegnato il cuore.
Clarice: Ora cominciate a piacermi.
Beatrice: Non vel dissi che aveva io il modo di consolarvi?
Clarice: Ah, temo che mi deludiate.
Beatrice: No, signora, non fingo. Parlovi col cuore sulle labbra; e se mi promettete quella segretezza che mi negaste poc'anzi, vi confiderò un arcano, che metterà in sicuro la vostra pace.
Clarice: Giuro di osservare il più rigoroso silenzio.
Beatrice: Io non sono Federigo Rasponi, ma Beatrice di lui sorella.
Clarice: Oh! che mi dite mai! Voi donna?
Beatrice: Sì, tale io sono. Pensate, se aspiravo di cuore alle vostre nozze.
Clarice: E di vostro fratello che nuova ci date?
Beatrice: Egli morì pur troppo d'un colpo di spada. Fu creduto autore della di lui morte un amante mio, di cui sotto di queste spoglie mi porto in traccia. Pregovi per tutte le sacre leggi d'amicizia e d'amore di non tradirmi. So che incauta sono io stata confidandovi un tale arcano, ma l'ho fatto per più motivi; primieramente, perché mi doleva vedervi afflitta; in secondo luogo, perché mi pare conoscere in voi che siate una ragazza da potersi compromettere di segretezza; per ultimo, perché il vostro Silvio mi ha minacciato e non vorrei che, sollecitato da voi, mi ponesse in qualche cimento.
Clarice: A Silvio mi permettete voi ch'io lo dica?
Beatrice: No, anzi ve lo proibisco assolutamente.
Clarice: Bene, non parlerò.
Beatrice: Badate che mi fido di voi.
Clarice: Ve lo giuro di nuovo, non parlerò.
Beatrice: Ora non mi guarderete più di mal occhio.
Clarice: Anzi vi sarò amica; e, se posso giovarvi, disponete di me.
Beatrice: Anch'io vi giuro eterna la mia amicizia. Datemi la vostra mano.
Clarice: Eh, non vorrei...
Beatrice: Avete paura ch'io non sia donna? Vi darò evidenti prove della verità.
Clarice: Credetemi, ancora mi pare un sogno.
Beatrice: Infatti la cosa non è ordinaria.
Clarice: È stravagantissima.
Beatrice: Orsù, io me ne voglio andare. Tocchiamoci la mano in segno di buona amicizia e di fedeltà.
Clarice: Ecco la mano; non ho nessun dubbio che m'inganniate.
SCENA VENTUNESIMA
Pantalone e dette.
Pantalone: Bravi! Me ne rallegro infinitamente. (Fia mia, ti t'ha giustà molto presto) (a Clarice).
Beatrice: Non vel dissi, signor Pantalone, ch'io l'avrei placata?
Pantalone: Bravo! Avè fatto più vu in quattro minuti, che no averave fatto mi in quattr'anni.
Clarice: (Ora sono in un laberinto maggiore).
Pantalone: Donca stabiliremo presto sto matrimonio (a Clarice).
Clarice: Non abbiate tanta fretta, signore.
Pantalone: Come! Se se tocca le manine in scondon, e non ho d'aver pressa? No, no, no voggio che me succeda desgrazie. Doman se farà tutto.
Beatrice: Sarà necessario, signor Pantalone, che prima accomodiamo le nostre partite, che vediamo il nostro conteggio.
Pantalone: Faremo tutto. Queste le xè cosse che le se fa in do ore. Doman daremo l'anello.
Clarice: Deh, signor padre...
Pantalone: Siora fia, vago in sto ponto a dir le parole a sior Silvio.
Clarice: Non lo irritate, per amor del cielo.
Pantalone: Coss'è? Ghe ne vustu do?
Clarice: Non dico questo. Ma...
Pantalone: Ma e mo, la xè finia. Schiavo, siori (vuol partire).
Beatrice: Udite... (a Pantalone).
Pantalone: Sè mario e muggier (partendo).
Clarice: Piuttosto... (a Pantalone).
Pantalone: Stassera la descorreremo (parte).
SCENA VENTIDUESIMA
Beatrice: e Clarice.
Clarice: Ah, signora Beatrice, esco da un affanno per entrare in un altro.
Beatrice: Abbiate pazienza. Tutto può succedere, fuor ch'io vi sposi.
Clarice: E se Silvio mi crede infedele?
Beatrice: Durerà per poco l'inganno.
Clarice: Se gli potessi svelare la verità...
Beatrice: Io non vi disimpegno dal giuramento.
Clarice: Che devo fare dunque?
Beatrice: Soffrire un poco.
Clarice: Dubito che sia troppo penosa una tal sofferenza.
Beatrice: Non dubitate, che dopo i timori, dopo gli affanni, riescono più graditi gli amorosi contenti (parte).
Clarice: Non posso lusingarmi di provar i contenti, finchè mi vedo circondata da pene. Ah, pur troppo egli è vero: in questa vita per lo più o si pena, o si spera, e poche volte si gode (parte).
ATTO SECONDO
SCENA PRIMA
Cortile in casa di Pantalone
Silvio: e il Dottore.
Silvio: Signor padre, vi prego lasciarmi stare.
Dottore: Fermati; rispondimi un poco.
Silvio: Sono fuori di me.
Dottore: Per qual motivo sei tu venuto nel cortile del signor Pantalone?
Silvio: Perché voglio, o che egli mi mantenga quella parola che mi ha dato, o che mi renda conto del gravissimo affronto.
Dottore: Ma questa è una cosa che non conviene farla nella propria casa di Pantalone. Tu sei un pazzo a lasciarti trasportar dalla collera.
Silvio: Chi tratta male con noi, non merita alcun rispetto.
Dottore: È vero, ma non per questo si ha da precipitare. Lascia fare a me, Silvio mio, lascia un po'ch'io gli parli; può essere ch'io lo illumini e gli faccia conoscere il suo dovere. Ritirati in qualche loco, e aspettami; esci di questo cortile, non facciamo scene. Aspetterò io il signor Pantalone.
Silvio: Ma io, signor padre...
Dottore: Ma io, signor figliuolo, voglio poi esser obbedito.
Silvio: Sì, v'obbedirò. Me n'anderò. Parlategli. Vi aspetto dallo speziale. Ma se il signor Pantalone persiste, avrà che fare con me (parte).
SCENA SECONDA
Il Dottore, poi Pantalone.
Dottore: Povero figliuolo, lo compatisco. Non doveva mai il signor Pantalone lusingarlo a tal segno, prima di essere certo della morte del torinese. Vorrei pure vederlo quieto, e non vorrei che la collera me lo facesse precipitare.
Pantalone: (Cossa fa el Dottor in casa mia?).
Dottore: Oh, signor Pantalone, vi riverisco.
Pantalone: Schiavo, sior Dottor. Giusto adesso vegniva a cercar de vu e de vostro fio.
Dottore: Sì? Bravo, m'immagino che dovevate venir in traccia di noi, per assicurarci che la signora Clarice sarà moglie di Silvio.
Pantalone: Anzi vegniva per dirve... (mostrando difficoltà di parlare).
Dottore: No, non c'è bisogno di altre giustificazioni. Compatisco il caso in cui vi siete trovato. Tutto vi si passa in grazia della buona amicizia.
Pantalone: Seguro, che considerando la promessa fatta a sior Federigo... (titubando, come sopra).
Dottore: E colto all'improvviso da lui, non avete avuto tempo a riflettere; e non avete pensato all'affronto che si faceva alla nostra casa.
Pantalone: No se pol dir affronto, quando con un altro contratto...
Dottore: So che cosa volete dire. Pareva a prima vista che la promessa col turinese fosse indissolubile, perché stipulata per via di contratto. Ma quello era un contratto seguito fra voi e lui; e il nostro è confermato dalla fanciulla.
Pantalone: Xè vero; ma...
Dottore: E sapete bene che in materia di matrimoni: Consensus et non concubitus facit virum.
Pantalone: Mi no so de latin; ma ve digo...
Dottore: E le ragazze non bisogna sacrificarle.
Pantalone: Aveu altro da dir?
Dottore: Per me ho detto.
Pantalone: Aveu fenio?
Dottore: Ho finito.
Pantalone: Possio parlar?
Dottore: Parlate.
Pantalone: Sior dottor caro, con tutta la vostra dottrina...
Dottore: Circa alla dote ci aggiusteremo. Poco più, poco meno, non guarderò.
Pantalone: Semo da capo. Voleu lassarme parlar?
Dottore: Parlate.
Pantalone: Ve digo che la vostra dottrina xè bella e bona; ma in sto caso no la conclude.
Dottore: E voi comporterete che segua un tal matrimonio?
Pantalone: Per mi giera impegnà, che no me podeva cavar. Mia fia xè contenta; che difficoltà possio aver? Vegniva a posta a cercar de vu o de sior Silvio, per dirve sta cossa. La me despiase assae, ma non ghe vedo remedio.
Dottore: Non mi maraviglio della vostra figliuola; mi maraviglio di voi, che trattiate si malamente con me. Se non eravate sicuro della morte del signor Federigo, non avevate a impegnarvi col mio figliuolo; e se con lui vi siete impegnato, avete a mantener la parola a costo di tutto. La nuova della morte di Federigo giustificava bastantemente, anche presso di lui, la vostra nuova risoluzione, né poteva egli rimproverarvi, né aveva luogo a pretendere veruna soddisfazione. Gli sponsali contratti questa mattina fra la signora Clarice ed il mio figliuolo coram testibus non potevano essere sciolti da una semplice parola data da voi ad un altro. Mi darebbe l'animo colle ragioni di mio figliuolo render nullo ogni nuovo contratto, e obbligar vostra figlia a prenderlo per marito; ma mi vergognerei d'avere in casa mia una nuora di così poca riputazione, una figlia di un uomo senza parola, come voi siete. Signor Pantalone, ricordatevi che l'avete fatta a me, che l'avete fatta alla casa Lombardi verrà il tempo che forse me la dovrete pagare: sì, verrà il tempo: omnia tempus habent (parte).
SCENA TERZA
Pantalone, poi Silvio.
Pantalone: Andè, che ve mando. No me n'importa un figo, e no gh'ho paura de vu. Stimo più la casa Rasponi de cento case Lombardi. Un fio unico e ricco de sta qualità se stenta a trovarlo. L'ha da esser cussì.
Silvio: (Ha bel dire mio padre. Chi si può tenere, si tenga).
Pantalone: (Adesso, alla segonda de cambio) (vedendo Silvio).
Silvio: Schiavo suo, signore (bruscamente).
Pantalone: Patron reverito. (La ghe fuma).
Silvio: Ho inteso da mio padre un certo non so che; crediamo poi che sia la verità?
Pantalone: Co ghe l'ha dito so sior padre, sarà vero.
Silvio: Sono dunque stabiliti gli sponsali della signora Clarice col signor Federigo?
Pantalone: Sior sì, stabiliti e conclusi.
Silvio: Mi maraviglio che me lo diciate con tanta temerità. Uomo senza parola, senza riputazione.
Pantalone: Come parlela, padron? Co un omo vecchio della mia sorte la tratta cussì?
Silvio: Non so chi mi tenga, che non vi passi da parte a parte.
Pantalone: No son miga una rana, padron. In casa mia se vien a far ste bulae?
Silvio: Venite fuori di questa casa.
Pantalone: Me maraveggio de ella, sior.
Silvio: Fuori, se siete un uomo d'onore.
Pantalone: Ai omeni della mia sorte se ghe porta respetto.
Silvio: Siete un vile, un codardo, un plebeo.
Pantalone: Sè un tocco de temerario.
Silvio: Eh, giuro al Cielo... (mette mano alla spada).
Pantalone: Agiuto (mette mano al pistolese).
SCENA QUARTA
Beatrice: colla spada alla mano, e detti.
Beatrice: Eccomi; sono io in vostra difesa (a Pantalone, e rivolta la spada contro Silvio).
Pantalone: Sior zenero, me raccomando (a Beatrice).
Silvio: Con te per l'appunto desideravo di battermi (a Beatrice).
Beatrice: (Son nell'impegno).
Silvio: Rivolgi a me quella spada (a Beatrice).
Pantalone: Ah, sior zenero... (timoroso).
Beatrice: Non è la prima volta che io mi sia cimentato. Son qui, non ho timore di voi (presenta la spada a Silvio).
Pantalone: Aiuto. No gh'è nissun? (Parte correndo verso la strada). Beatrice e Silvio si battono. Silvio cade e lascia la spada in terra, e Beatrice gli presenta la punta al petto.
SCENA QUINTA
Clarice: e detti.
Clarice: Oimè! Fermate (a Beatrice).
Beatrice: Bella Clarice, in grazia vostra dono a Silvio: la vita; e voi, in ricompensa della mia pietà, ricordatevi del giuramento (parte).
SCENA SESTA
Silvio e Clarice.
Clarice: Siete salvo o mio caro?
Silvio: Ah, perfida ingannatrice! Caro a Silvio? Caro ad un amante schernito, ad uno sposo tradito?
Clarice: No, Silvio, non merito i vostri rimproveri. V'amo, v'adoro, vi son fedele.
Silvio: Ah menzognera! Mi sei fedele, eh? Fedeltà chiami prometter fede ad un altro amante?
Clarice: Ciò non feci, ne farò mai. Morirò, prima d'abbandonarvi.
Silvio: Sento che vi ha impegnato con un giuramento.
Clarice: Il giuramento non mi obbliga ad isposarlo.
Silvio: Che cosa dunque giuraste?
Clarice: Caro Silvio, compatitemi, non posso dirlo.
Silvio: Per qual ragione?
Clarice: Perché giurai di tacere.
Silvio: Segno dunque che siete colpevole.
Clarice: No, sono innocente.
Silvio: Gl'innocenti non tacciono.
Clarice: Eppure questa volta rea mi farei parlando.
Silvio: Questo silenzio a chi l'avete giurato?
Clarice: A Federigo.
Silvio: E con tanto zelo l'osserverete?
Clarice: L'osserverò per non divenire spergiura.
Silvio: E dite di non amarlo? Semplice chi vi crede. Non vi credo io già, barbara, ingannatrice! Toglietevi dagli occhi miei.
Clarice: Se non vi amassi, non sarei corsa qui a precipizio per difendere la vostra vita.
Silvio: Odio anche la vita, se ho da riconoscerla da un'ingrata.
Clarice: Vi amo con tutto il cuore.
Silvio: Vi aborrisco con tutta l'anima.
Clarice: Morirò, se non vi placate.
Silvio: Vedrei il vostro sangue più volentieri della infedeltà vostra.
Clarice: Saprò soddisfarvi (toglie la spada di terra).
Silvio: Sì, quella spada potrebbe vendicare i miei torti.
Clarice: Così barbaro colla vostra Clarice?
Silvio: Voi mi avete insegnata la crudeltà.
Clarice: Dunque bramate la morte mia?
Silvio: Io non so dire che cosa brami.
Clarice: Vi saprò compiacere (volta la punta al proprio seno).
SCENA SETTIMA
Smeraldina: e detti.
Smeraldina: Fermatevi; che diamine fate? (leva la spada a Clarice). E voi, cane rinnegato, l'avreste lasciata morire? (a Silvio). Che cuore avete di tigre, di leone, di diavolo? Guardate lì il bel suggettino, per cui le donne s'abbiano a sbudellare! Oh siete pur buona, signora padrona. Non vi vuole più forse? Chi non vi vuol, non vi merita. Vada all'inferno questo sicario, e voi venite meco, che degli uomini non ne mancano; m'impegno avanti sera trovarvene una dozzina (getta la spada in terra, e Silvio la prende).
Clarice: (piangendo) Ingrato! Possibile che la mia morte non vi costasse un sospiro? Sì, mi ucciderà il dolore; morirò, sarete contento. Però vi sarà nota un giorno la mia innocenza, e tardi allora, pentito di non avermi creduto, piangerete la mia sventura e la vostra barbara crudeltà (parte).
SCENA OTTAVA
Silvio: e Smeraldina.
Smeraldina: Questa è una cosa che non so capire. Veder una ragazza che si vuol ammazzare, e star lì a guardarla, come se vedeste rappresentare una scena di commedia.
Silvio: Pazza che sei! Credi tu ch'ella si volesse uccider davvero?
Smeraldina: Non so altro io so che, se non arrivavo a tempo, la poverina sarebbe ita.
Silvio: Vi voleva ancor tanto prima che la spada giungesse al petto.
Smeraldina: Sentite che bugiardo! Se stava lì lì per entrare.
Silvio: Tutte finzioni di voi altre donne.
Smeraldina: Sì, se fossimo come voi. Dirò, come dice il proverbio: noi abbiamo le voci, e voi altri avete le noci. Le donne hanno la fama di essere infedeli, e gli uomini commettono le infedeltà a più non posso. Delle donne si parla, e degli uomini non si dice nulla. Noi siamo criticate, e a voi altri si passa tutto. Sapete perché? Perché le leggi le hanno fatte gli uomini; che se le avessero fatte le donne, si sentirebbe tutto il contrario. S'io comandassi, vorrei che tutti gli uomini infedeli portassero un ramo d'albero in mano, e so che tutte le città diventerebbero boschi (parte).
SCENA NONA
Silvio: solo.
Silvio: Sì, che Clarice è infedele, e col pretesto di un giuramento affetta di voler celare la verità. Ella è una perfida, e l'atto di volersi ferire fu un'invenzione per ingannarmi, per muovermi a compassione di lei. Ma se il destino mi fece cadere a fronte del mio rivale, non lascierò mai il pensiero di vendicarmi. Morirà quell'indegno, e Clarice: ingrata vedrà nel di lui sangue il frutto de'suoi amori (parte)
SCENA DECIMA
Sala della locanda con due porte in prospetto e due laterali
Truffaldino, poi Florindo.
Truffaldino: Mo gran desgrazia che l'è la mia! De do padroni nissun è vegnudo ancora a disnar. L'è do ore che è sonà mezzozorno, e nissun se vede. I vegnirà po tutti do in una volta, e mi sarò imbroiado; tutti do no li poderò servir, e se scovrirà la fazenda. Zitto, zitto, che ghe n'è qua un. Manco mal.
Florindo: Ebbene, hai ritrovato codesto Pasquale?
Truffaldino: No avemio dito, signor, che el cercherò dopo che averemo disnà?
Florindo: Io sono impaziente.
Truffaldino: El doveva vegnir a disnar un poco più presto.
Florindo: (Non vi è modo ch'io possa assicurarmi se qui si trovi Beatrice).
Truffaldino: El me dis, andemo a ordinar el pranzo, e po el va fora de casa. La roba sarà andada de mal.
Florindo: Per ora non ho volontà di mangiare. (Vo' tornare alla Posta. Ci voglio andare da me; qualche cosa forse rileverò).
Truffaldino: La sappia, signor, che in sto paese bisogna magnar, e chi no magna, s'ammala.
Florindo: Devo uscire per un affar di premura. Se torno a pranzo, bene; quando no, mangerò questa sera. Tu, se vuoi, fatti dar da mangiare.
Truffaldino: Oh, non occorr'altro. Co l'è cusì, che el se comoda, che l'è padron.
Florindo: Questi danari mi pesano; tieni, mettili nel mio baule. Eccoti la chiave (dà a Truffaldino la borsa dei cento ducati e la chiave).
Truffaldino: La servo, e ghe porto la chiave.
Florindo: No, no, me la darai. Non mi vo'trattenere. Se non torno a pranzo, vieni alla piazza; attenderò con impazienza che tu abbia ritrovato Pasquale (parte).
SCENA UNDICESIMA
Truffaldino, poi Beatrice con un foglio in mano.
Truffaldino: Manco mal che l'ha dito che me fazza dar da magnar; cusì andaremo d'accordo. Se nol vol magnar lu, che el lassa star. La mia complession no l'è fatta per dezunar. Voi metter via sta borsa, e po subito...
Beatrice: Ehi, Truffaldino!
Truffaldino: (Oh diavolo!).
Beatrice: Il signor Pantalone de'Bisognosi ti ha dato una borsa con cento ducati?
Truffaldino: Sior sì, el me l'ha dada.
Beatrice: E perché dunque non me la dai?
Truffaldino: Mo vienla a vussioria?
Beatrice: Se viene a me? Che cosa ti ha detto, quando ti ha dato la borsa?
Truffaldino: El m'ha dit che la daga al me padron.
Beatrice: Bene, il tuo padrone chi è?
Truffaldino: Vussioria.
Beatrice: E perché domandi dunque, se la borsa è mia?
Truffaldino: Donca la sarà soa.
Beatrice: Dov'è la borsa?
Truffaldino: Eccola qua (gli dà la borsa).
Beatrice: Sono giusti?
Truffaldino: Mi no li ho toccadi, signor.
Beatrice: (Li conterò poi).
Truffaldino: (Aveva fallà mi colla borsa; ma ho rimedià. Cossa dirà quell'altro? Se no i giera soi, nol dirà niente).
Beatrice: Vi è il padrone della locanda?
Truffaldino: El gh'è è, signor si.
Beatrice: Digli che avrò un amico a pranzo con me, che presto presto procuri di accrescer la tavola più che può.
Truffaldino: Come vorla restar servida? Quanti piatti comandela?
Beatrice: Il signor Pantalone de'Bisognosi non è uomo di gran soggezione. Digli che faccia cinque o sei piatti; qualche cosa di buono.
Truffaldino: Se remettela in mi?
Beatrice: Sì, ordina tu, fatti onore. Vado a prender l'amico, che è qui poco lontano; e quando torno, fa che sia preparato (in atto di partire).
Truffaldino: La vederà, come la sarà servida.
Beatrice: Tieni questo foglio, mettilo nel baule. Bada bene veh, che è una lettera di cambio di quattromila scudi.
Truffaldino: No la se dubita, la metterò via subito.
Beatrice: Fa' che sia tutto pronto. (Povero signor Pantalone, ha avuto la gran paura. Ha bisogno di essere divertito) (parte).
SCENA DODICESIMA
Truffaldino, poi Brighella.
Truffaldino: Qua bisogna veder de farse onor. La prima volta che sto me padron me ordina un disnar, voi farghe veder se son de bon gusto. Metterò via sta carta, e po... La metterò via dopo, no vòi perder tempo. Oe de là; gh'è nissun? Chiameme missier Brighella, diseghe che ghe vòi parlar (verso la scena). No consiste tanto un bel disnar in te le pietanze, ma in tel bon ordine; val più una bella disposizion, che no val una montagna de piatti.
Brighella: Cossa gh'è, sior Truffaldin? Cossa comandeu da mi?
Truffaldino: El me padron el gh'ha un amigo a disnar con lu; el vol che radoppiè la tavola, ma presto, subito. Aveu el bisogno in cusina?
Brighella: Da mi gh'è sempre de tutto. In mezz'ora posso metter all'ordine qualsesia disnar.
Truffaldino: Ben donca. Disìme cossa che ghe darè.
Brighella: Per do persone, faremo do portade de quattro piatti l'una; anderà ben?
Truffaldino: (L'ha dito cinque o sie piatti; sie o otto, no gh'è mal). Anderà ben. Cossa ghe sarà in sti piatti?
Brighella: Nella prima portada ghe daremo la zuppa, la frittura, el lesso e un fracandò.
Truffaldino: Tre piatti li cognosso; el quarto no so cossa che el sia.
Brighella: Un piatto alla franzese, un intingolo, una bona vivanda.
Truffaldino: Benissimo, la prima portada va ben; alla segonda.
Brighella: La segonda ghe daremo l'arrosto, l'insalata, un pezzo de carne pastizzada e un bodin.
Truffaldino: Anca qua gh'è un piatto che no cognosso; coss'è sto budellin?
Brighella: Ho dito un bodin, un piatto all'inglese, una cossa bona.
Truffaldino: Ben, son contento; ma come disponeremio le vivande in tavola?
Brighella: L'è una cossa facile. El camerier farà lu.
Truffaldino: No, amigo, me preme la scalcaria; tutto consiste in saver metter in tola ben.
Brighella: Se metterà, per esempio, qua la soppa, qua el fritto, qua l'alesso e qua el fracandò (accenna una qualche distribuzione).
Truffaldino: No, no me piase; e in mezzo no ghe mettè gnente?
Brighella: Bisognerave che fessimo cinque piatti.
Truffaldino: Ben, far cinque piatti.
Brighella: In mezzo ghe metteremo una salsa per el lesso.
Truffaldino: No, no savè gnente, caro amigo; la salsa no va ben in mezzo; in mezzo ghe va la minestra.
Brighella: E da una banda metteremo el lesso, e da st'altra la salsa...
Truffaldino: Oibò, no faremo gnente. Voi altri locandieri savì cusinar, ma no savi metter in tola. Ve insegnerò mi. Fè conto che questa sia la tavola (s'inginocchia con un ginocchio, e accenna il pavimento). Osservè come se distribuisse sti cinque piatti; per esempio: qua in mezzo la minestra (straccia un pezzo della lettera di cambio, e figura di mettere per esempio un piatto nel mezzo). Qua da sta parte el lesso (fa lo stesso, stracciando un altro pezzo di lettera, e mettendo il pezzo da un canto). Da st'altra parte el fritto (fa lo stesso con un altro pezzo di lettera, ponendolo all'incontro dell'altro). Qua la salsa, e qua el piatto che no cognosso (con altri due pezzi della lettera compisce la figura di cinque piatti). Cossa ve par? Cusì anderala ben? (a Brighella).
Brighella: Va ben; ma la salsa l'è troppo lontana dal lesso.
Truffaldino: Adesso vederemo come se pol far a tirarla più da visin.
SCENA TREDICESIMA
Beatrice, Pantalone e detti.
Beatrice: Che cosa fai ginocchioni? (a Truffaldino).
Truffaldino: Stava qua disegnando la scalcaria (s'alza).
Beatrice: Che foglio è quello?
Truffaldino: (Oh diavolo! la lettera che el m'ha da!).
Beatrice: Quella è la mia cambiale.
Truffaldino: La compatissa. La torneremo a unir...
Beatrice: Briccone! Così tieni conto delle cose mie? Di cose di tanta importanza? Tu meriteresti che io ti bastonassi. Che dite, signor Pantalone? Si può vedere una sciocchezza maggior di questa?
Pantalone: In verità che la xè da rider. Sarave mal se no ghe fusse caso de remediarghe; ma co mi ghe ne fazzo un'altra, la xè giustada.
Beatrice: Tant'era se la cambiale veniva di lontan paese. Ignorantaccio!
Truffaldino: Tutto el mal l'è vegnù, perché Brighella no sa metter i piatti in tola.
Brighella: El trova difficoltà in tutto.
Truffaldino: Mi son un omo che sa...
Beatrice: Va via di qua (a Truffaldino).
Truffaldino: Val più el bon ordine...
Beatrice: Va via, ti dico.
Truffaldino: In materia de scalcheria no ghe la cedo al primo marescalco del mondo (parte).
Brighella: No lo capisso quell'omo: qualche volta l'è furbo, e qualche volta l'è alocco.
Beatrice: Lo fa lo sciocco, il briccone. Ebbene, ci darete voi da pranzo? (a Brighella).
Brighella: Se la vol cinque piatti per portada, ghe vol un poco de tempo.
Pantalone: Coss'è ste portade? Coss è sti cinque piatti? Alla bona, alla bona. Quattro risi, un per de piatti, e schiavo. Mi no son omo da suggizion.
Beatrice: Sentite? Regolatevi voi (a Brighella).
Brighella: Benissimo; ma averia gusto, se qualcossa ghe piasesse, che la me lo disesse.
Pantalone: Se ghe fusse delle polpette per mi, che stago mal de denti, le magneria volentiera.
Beatrice: Sentite? Delle polpette (a Brighella).
Brighella: La sarà servida. La se comoda in quella camera, che adessadesso ghe mando in tola.
Beatrice: Dite a Truffaldino: che venga a servire.
Brighella: Ghe lo dirò, signor (parte).
SCENA QUATTORDICESIMA
Beatrice, Pantalone, poi Camerieri, poi Truffaldino.
Beatrice: Il signor Pantalone si contenterà di quel poco che daranno.
Pantalone: Me maraveggio, cara ella, xè anca troppo l'incomodo che la se tol; quel che averave da far mi con elo, el fa elo con mi; ma la vede ben, gh'ho quella putta in casa; fin che no xè fatto tutto, no xè lecito che la staga insieme. Ho accettà le so grazie per devertirme un pochetto; tremo ancora dalla paura. Se no gieri vu, fio mio, quel cagadonao me sbasiva.
Beatrice: Ho piacere d'esser arrivato in tempo. (I Camerieri portano nella camera indicata da Brighella tutto l'occorrente per preparare la tavola, con bicchieri, vino, pane ecc.)
Pantalone: In sta locanda i xè molto lesti.
Beatrice: Brighella è un uomo di garbo. In Torino serviva un gran cavaliere, e porta ancora la sua livrea.
Pantalone: Ghe xè anca una certa locanda sora Canal Grando, in fazza alle Fabbriche de Rialto, dove che se magna molto ben; son stà diverse volte con certi galantomeni, de quei della bona stampa, e son stà cusì ben, che co me l'arrecordo, ancora me consolo. Tra le altre cosse me recordo d'un certo vin de Borgogna che el dava el becco alle stelle.
Beatrice: Non vi è maggior piacere al mondo, oltre quello di essere in buona compagnia.
Pantalone: Oh se la savesse che compagnia che xè quella! Se la savesse che cuori tanto fatti! Che sincerità! Che schiettezza! Che belle conversazion, che s'ha fatto anca alla Zuecca! Siei benedetti. Sette o otto galantomeni, che no ghe xè i so compagni a sto mondo.
(I Camerieri escono dalla stanza e tornano verso la cucina.)
Beatrice: Avete dunque goduto molto con questi?
Pantalone: L'è che spero de goder ancora.
Truffaldino: (col piatto in mano della minestra o della zuppa) La resta servida in camera, che porto in tola (a Beatrice).
Beatrice: Va innanzi tu; metti giù la zuppa.
Truffaldino: Eh, la resti servida (fa le cerimonie).
Pantalone: El xè curioso sto so servitor. Andemo (entra in camera).
Beatrice: Io vorrei meno spirito, e più attenzione (a Truffaldino, ed entra).
Truffaldino: Guardè che bei trattamenti! Un piatto alla volta! I spende i so quattrini, e no i gh'ha niente de bon gusto. Chi sa gnanca se sta minestra la sarà bona da niente; voi sentir (assaggia la minestra, prendendone con un cucchiaio che ha in tasca). Mi gh'ho sempre le mie arme in scarsella. Eh! no gh'è mal; la poderave esser pezo (entra in camera).
SCENA QUINDICESIMA
Un Cameriere con un piatto, poi Truffaldino, poi Florindo, poi Beatrice ed altri Camerieri.
Cameriere: Quanto sta costui a venir a prender le vivande?
Truffaldino: (dalla camera) Son qua, camerada; cossa me deu?
Cameriere:Ecco il bollito. Vado a prender un altro piatto (parte).
Truffaldino: Che el sia castrà, o che el sia vedèllo? El me par castrà. Sentimolo un pochetin (ne assaggia un poco). No l'è né castrà, né vedèllo: l'è pegora bella e bona (s'incammina verso la camera di Beatrice).
Florindo: Dove si va? (l'incontra).
Truffaldino: (Oh poveretto mi!).
Florindo: Dove vai con quel piatto?
Truffaldino: Metteva in tavola, signor.
Florindo: A chi?
Truffaldino: A vussioria.
Florindo: Perché metti in tavola prima ch'io venga a casa?
Truffaldino: V'ho visto a vegnir dalla finestra. (Bisogna trovarla).
Florindo: E dal bollito principi a metter in tavola, e non dalla zuppa?
Truffaldino: Ghe dirò, signor, a Venezia la zuppa la se magna in ultima.
Florindo: Io costumo diversamente. Voglio la zuppa. Riporta in cucina quel piatto.
Truffaldino: Signor sì la sarà servida.
Florindo: E spicciati, che voglio poi riposare.
Truffaldino: Subito (mostra di ritornare in cucina).
Florindo: (Beatrice: non la ritroverò mai?) (entra nell'altra camera in prospetto).
Truffaldino, entrato Florindo in camera, corre col piatto e lo porta a Beatrice.
Cameriere: (torna con una vivanda) E sempre bisogna aspettarlo. Truffaldino (chiama).
Truffaldino: (esce di camera di Beatrice) Son qua. Presto, andè a parecchiar in quell'altra camera, che l'è arrivado quell'altro forestier, e portè la minestra subito.
Cameriere: Subito (parte).
Truffaldino: Sta piatanza coss'èla mo? Bisogna che el sia el fracastor (assaggia). Bona, bona, da galantomo (la porta in camera di Beatrice. Camerieri passano e portano l'occorrente per preparare la tavola in camera di Florindo). Bravi. Pulito. I è lesti come gatti (verso i Camerieri). Oh se me riuscisse de servir a tavola do padroni; mo la saria la gran bella cossa. (Camerieri escono dalla camera di Florindo e vanno verso la cucina). Presto, fioi, la menestra.
Cameriere: Pensate alla vostra tavola, e noi penseremo a questa (parte).
Truffaldino: Voria pensar a tutte do, se podesse. (Cameriere torna colla minestra per Florindo). Dè qua a mi, che ghe la porterò mi; andè a parecchiar la roba per quell'altra camera. (Leva la minestra di mano al Cameriere e la porta in camera di Florindo).
Cameriere: Ê curioso costui. Vuol servire di qua e di la. Io lascio fare: già la mia mancia bisognerà che me la diano. Truffaldino esce di camera di Florindo.
Beatrice: Truffaldino (dalla camera lo chiama).
Cameriere: Eh! servite il vostro padrone (a Truffaldino).
Truffaldino: Son qua (entra in camera di Beatrice; i Camerieri portano il bollito per Florindo).
Cameriere: Date qui (lo prende). Camerieri partono.
Truffaldino: esce di camera di Beatrice con i tondi sporchi.
Florindo: Truffaldino (dalla camera lo chiama forte).
Truffaldino: De qua (vuol prendere il piatto del bollito dal Cameriere).
Cameriere: Questo lo porto io.
Truffaldino: No sentì che el me chiama mi? (gli leva il bollito di mano e lo porta a Florindo).
Cameriere: È bellissima. Vuol far tutto. (I Camerieri portano un piatto di polpette, lo danno al Cameriere e partono).
Cameriere: Lo porterei io in camera, ma non voglio aver che dire con costui. (Truffaldino esce di camera di Florindo: con i tondi sporchi). Tenete, signor faccendiere; portate queste polpette al vostro padrone.
Truffaldino: Polpette? (prendendo il piatto in mano).
Cameriere: Sì, le polpette ch'egli ha ordinato (parte).
Truffaldino: Oh bella! A chi le òi da portar? Chi diavol de sti padroni le averà ordinade? Se ghel vago a domandar in cusina, no voria metterli in malizia; se fallo e che no le porta a chi le ha ordenade, quell'altro le domanderà e se scoverzirà l'imbroio. Farò cussi... Eh, gran mi! Farò cusì; le spartirò in do tondi, le porterò metà per un, e cusì chi le averà ordinade, le vederà (prende un altro tondo di quelli che sono in sala, e divide le polpette per metà). Quattro e quattro. Ma ghe n'è una de più. A chi ghe l'òia da dar? No voi che nissun se n'abbia per mal; me la magnerò mi (mangia la polpetta). Adesso va ben. Portemo le polpette a questo (mette in terra l'altro tondo, e ne porta uno da Beatrice).
Cameriere: (con un bodino all'inglese) Truffaldino (chiama)
Truffaldino: Son qua (esce dalla camera di Beatrice).
Cameriere: Portate questo bodino...
Truffaldino: Aspettè che vegno (prende l'altro tondino di polpette, e lo porta a Florindo).
Cameriere: Sbagliate; le polpette vanno di la.
Truffaldino: Sior si, lo so, le ho portade de là; e el me padron manda ste quattro a regalar a sto forestier (entra).
Cameriere: Si conoscono dunque, sono amici. Potevano desinar insieme.
Truffaldino: (torna in camera di Florindo) E cusì, coss'elo sto negozio? (al Cameriere).
Cameriere: Questo è un bodino all'inglese.
Truffaldino: A chi valo?
Cameriere: Al vostro padrone (parte).
Truffaldino: Che diavolo è sto bodin? L'odor l'è prezioso, el par polenta. Oh, se el fuss polenta, la saria pur una bona cossa! Voi sentir (tira fuori di tasca una forchetta). No l'è polenta, ma el ghe someia (mangia). L'è meio della polenta (mangia).
Beatrice: Truffaldino (dalla camera lo chiama).
Truffaldino: Vegno (risponde colla bocca piena).
Florindo: Truffaldino (lo chiama dalla sua camera).
Truffaldino: Son qua (risponde colla bocca piena, come sopra). Oh che roba preziosa! Un altro bocconcin, e vegno (segue a mangiare).
Beatrice: (esce dalla sua camera e vede Truffaldino che mangia; gli dà un calcio e gli dice) Vieni a servire (torna nella sua camera). Truffaldino mette il bodino in terra, ed entra in camera di Beatrice.
Florindo: (esce dalla sua camera) Truffaldino (chiama). Dove diavolo è costui?
Truffaldino: (esce dalla camera di Beatrice) L'è qua (vedendo Florindo).
Florindo: Dove sei? Dove ti perdi?
Truffaldino: Era andà a tor dei piatti, signor.
Florindo: Vi è altro da mangiare?
Truffaldino: Anderò a veder.
Florindo: Spicciati, ti dico, che ho bisogno di riposare (torna nella sua camera).
Truffaldino: Subito. Camerieri, gh'è altro? (chiama). Sto bodin me lo metto via per mi (lo nasconde).
Cameriere: Eccovi l'arrosto (porta un piatto con l'arrosto).
Truffaldino: Presto i frutti (prende l'arrosto).
Cameriere: Gran furie! Subito (parte).
Truffaldino: L'arrosto lo porterò a questo (entra da Florindo).
Cameriere: Ecco le frutta, dove siete? (con un piatto di frutta).
Truffaldino: Son qua (di camera di Florindo).
Cameriere: Tenete (gli dà le frutta). Volete altro?
Truffaldino: Aspettè (porta le frutta a Beatrice).
Cameriere: Salta di qua, salta di là; è un diavolo costui.
Truffaldino: Non occorr'altro. Nissun vol altro.
CAMERIERE Ho piacere.
Truffaldino: Parecchiè per mi.
Cameriere: Subito (parte).
Truffaldino: Togo su el me bodin; evviva, l'ho superada, tutti i è contenti, no i vol alter, i è stadi servidi. Ho servido a tavola do padroni, e un non ha savudo dell'altro. Ma se ho servido per do, adess voio andar a magnar per quattro (parte).
SCENA SEDICESIMA
Strada con veduta della locanda
Smeraldina, poi il Cameriere della locanda.
Smeraldina: Oh, guardate che discretezza della mia padrona! Mandarmi con un viglietto ad una locanda, una giovane come me! Servire una donna innamorata è una cosa molto cattiva. Fa mille stravaganze questa mia padrona; e quel che non so capire si è, che è innamorata del signor Silvio: a segno di sbudellarsi per amor suo, e pur manda i viglietti ad un altro. Quando non fosse che ne volesse uno per la state e l'altro per l'inverno. Basta... Io nella locanda non entro certo. Chiamerò; qualcheduno uscirà. O di casa! o della locanda!
Cameriere: Che cosa volete, quella giovine?
Smeraldina: (Mi vergogno davvero, davvero). Ditemi.. Un certo signor Federigo Rasponi è alloggiato in questa locanda?
Cameriere: Sì, certo. Ha finito di pranzare che è poco.
Smeraldina: Avrei da dargli una cosa.
Cameriere: Qualche ambasciata? Potete passare.
Smeraldina: Ehi, chi vi credete ch'io sia? Sono la cameriera della sua sposa.
Cameriere: Bene, passate.
Smeraldina: Oh, non ci vengo io là dentro.
Cameriere: Volete ch'io lo faccia venire sulla strada? Non mi pare cosa ben fatta; tanto più ch'egli è in compagnia col signor Pantalone de'Bisognosi.
Smeraldina: Il mio padrone? Peggio! Oh, non ci vengo.
Cameriere: Manderò il suo servitore, se volete.
Smeraldina: Quel moretto?
Cameriere: Per l'appunto.
Smeraldina: Si, mandatelo.
Cameriere: (Ho inteso. Il moretto le piace. Si vergogna a venir dentro. Non si vergognerà a farsi scorgere in mezzo alla strada) (entra).
SCENA DICIASSETTESIMA
Smeraldina, poi Truffaldino.
Smeraldina: Se il padrone mi vede, che cosa gli dirò? Dirò che venivo in traccia di lui; eccola bella e accomodata. Oh, non mi mancano ripieghi.
Truffaldino: (con un fiasco in mano, ed un bicchiere, ed un tovagliolino) Chi è che me domanda?
Smeraldina: Sono io, signore. Mi dispiace avervi incomodato.
Truffaldino: Niente; son qua a ricever i so comandi.
Smeraldina: M'immagino che foste a tavola, per quel ch'io vedo.
Truffaldino: Era a tavola, ma ghe tornerò.
Smeraldina: Davvero me ne dispiace.
Truffaldino: E mi gh'ho gusto. Per dirvela, ho la panza piena, e quei bei occhietti i è giusto a proposito per farme digerir.
Smeraldina: (Egli è pure grazioso!).
Truffaldino: Metto zo el fiaschetto e son qua da vu, cara.
Smeraldina: (Mi ha detto cara). La mia padrona manda questo viglietto al signor Federigo Rasponi; io nella locanda non voglio entrare, onde ho pensato di dar a voi quest'incomodo, che siete il suo servitore.
Truffaldino: Volentiera, ghe lo porterò; ma prima sappiè che anca mi v'ho da far un'imbassada.
Smeraldina: Per parte di chi?
Truffaldino: Per parte de un galantomo. Disime, conossive vu un certo Truffaldin Battocchio?
Smeraldina: Mi pare averlo sentito nominare una volta, ma non me ne ricordo. (Avrebbe a esser lui questo).
Truffaldino: L'è un bell'omo: bassotto, traccagnotto, spiritoso, che parla ben. Maestro de cerimonie...
Smeraldina: Io non lo conosco assolutamente.
Truffaldino: E pur lu el ve cognosse, e l'è innamorado de vu.
Smeraldina: Oh! mi burlate.
Truffaldino: E se el podesse sperar un tantin de corrispondenza, el se daria da cognosser.
Smeraldina: Dirò, signore; se lo vedessi e mi desse nel genio, sarebbe facile ch'io gli corrispondessi.
Truffaldino: Vorla che ghe lo fazza veder?
Smeraldina: Lo vedrò volentieri.
Truffaldino: Adesso subito (entra nella locanda).
Smeraldina: Non è lui dunque. (Truffaldino: esce dalla locanda, fa delle riverenze a Smeraldina, le passa vicino; poi sospira ed entra nella locanda). Quest'istoria non la capisco.
Truffaldino: L'ala visto? (tornando a uscir fuori).
Smeraldina: Chi?
Truffaldino: Quello che è innamorato delle so bellezze.
Smeraldina: Io non ho veduto altri che voi.
Truffaldino: Mah! (sospirando).
Smeraldina: Siete voi forse quello che dice di volermi bene?
Truffaldino: Son mi (sospirando).
Smeraldina: Perché non me l'avete detto alla prima?
Truffaldino: Perché son un poco vergognosetto.
Smeraldina: (Farebbe innamorare i sassi).
Truffaldino: E cusì, cossa me disela?
Smeraldina: Dico che...
Truffaldino: Via, la diga.
Smeraldina: Oh, anch'io sono vergognosetta.
Truffaldino: Se se unissimo insieme, faressimo el matrimonio de do persone vergognose.
Smeraldina: In verità, voi mi date nel genio.
Truffaldino: Èla putta ella?
Smeraldina: Oh, non si domanda nemmeno.
Truffaldino: Che vol dir, no certo.
Smeraldina: Anzi vuol dir, sì certissimo.
Truffaldino: Anca mi son putto.
Smeraldina: Io mi sarei maritata cinquanta volte, ma non ho mai trovato una persona che mi dia nel genio.
Truffaldino: Mi possio sperar de urtarghe in tela simpatia?
Smeraldina: In verità, bisogna che io lo dica, voi avete un non so che... Basta, non dico altro.
Truffaldino: Uno che la volesse per muier, come averielo da far?
Smeraldina: Io non ho né padre, né madre. Bisognerebbe dirlo al mio padrone, o alla mia padrona.
Truffaldino: Benissimo, se ghel dirò, cossa dirali?
Smeraldina: Diranno, che se sono contenta io...
Truffaldino: E ella cossa dirala?
Smeraldina: Dirò... che se sono contenti loro...
Truffaldino: Non occorr'altro. Saremo tutti contenti. Deme la lettera, e co ve porterò la risposta, discorreremo.
Smeraldina: Ecco la lettera.
Truffaldino: Saviu mo cossa che la diga sta lettera?
Smeraldina: Non lo so, e se sapeste che curiosità che avrei di saperlo!
Truffaldino: No voria che la fuss una qualche lettera de sdegno, e che m'avess da far romper el muso.
Smeraldina: Chi sa? D'amore non dovrebbe essere.
Truffaldino: Mi no vòi impegni. Se no so cossa che la diga, mi no ghe la porto.
Smeraldina: Si potrebbe aprirla... ma poi a serrarla ti voglio.
Truffaldino: Eh, lassè far a mi; per serrar le lettere son fatto a posta; no se cognosserà gnente affatto.
Smeraldina: Apriamola dunque.
Truffaldino: Saviu lezer vu?
Smeraldina: Un poco. Ma voi saprete legger bene.
Truffaldino: Anca mi un pochettin.
Smeraldina: Sentiamo dunque.
Truffaldino: Averzimola con pulizia (ne straccia una parte).
Smeraldina: Oh! che avete fatto?
Truffaldino: Niente. Ho el segreto d'accomodarla. Eccola qua, l'è averta.
Smeraldina: Via, leggetela.
Truffaldino: Lezila vu. El carattere della vostra padrona l'intenderè meio de mi.
Smeraldina: Per dirla, io non capisco niente (osservando la lettera).
Truffaldino: E mi gnanca una parola (fa lo stesso).
Smeraldina: Che serviva dunque aprirla?
Truffaldino: Aspettè; inzegnemose; qualcossa capisso (tiene egli la lettera).
Smeraldina: Anch'io intendo qualche lettera.
Truffaldino: Provemose un po'per un. Questo non elo un emme?
Smeraldina: Oibò; questo è un erre.
Truffaldino: Dall'erre all'emme gh'è poca differenza.
Smeraldina: Ri, ri, a, ria. No, no, state cheto, che credo sia un emme, mi, mi, a, mia.
Truffaldino: No dirà mia, dirà mio.
Smeraldina: No, che vi è la codetta.
Truffaldino: Giusto per questo: mio.
SCENA DICIOTTESIMA
Beatrice: e Pantalone dalla locanda, e detti.
Pantalone: Cossa feu qua? (a Smeraldina).
Smeraldina: Niente, signore, venivo in traccia di voi (intimorita).
Pantalone: Cossa voleu da mi? (a Smeraldina).
Smeraldina: La padrona vi cerca (come sopra).
Beatrice: Che foglio è quello? (a Truffaldino).
Truffaldino: Niente, l'è una carta... (intimorito).
Beatrice: Lascia vedere (a Truffaldino).
Truffaldino: Signor sì (gli dà il foglio tremando).
Beatrice: Come! Questo è un viglietto che viene a me. Indegno! Sempre si aprono le mie lettere?
Truffaldino: Mi no so niente, signor...
Beatrice: Osservate, signor Pantalone, un viglietto della signora Clarice, in cui mi avvisa delle pazze gelosie di Silvio; e questo briccone me l'apre.
Pantalone: E ti, ti ghe tien terzo? (a Smeraldina).
Smeraldina: Io non so niente, signore.
Beatrice: Chi l'ha aperto questo viglietto?
Truffaldino: Mi no.
Smeraldina: Nemmen io.
Pantalone: Mo chi l'ha portà?
Smeraldina: Truffaldino: lo portava al suo padrone.
Truffaldino: E Smeraldina: l'ha portà a Truffaldin.
Smeraldina: (Chiacchierone, non ti voglio più bene).
Pantalone: Ti, pettegola desgraziada, ti ha fatto sta bell'azion? Non so chi me tegna che no te daga una man in tel muso.
Smeraldina: Le mani nel viso non me le ha date nessuno; e mi maraviglio di voi.
Pantalone: Cusì ti me rispondi? (le va da vicino).
Smeraldina: Eh, non mi pigliate. Avete degli impedimenti che non potete correre (parte correndo).
Pantalone: Desgraziada, te farò veder se posso correr; te chiaperò (parte correndo dietro a Smeraldina).
SCENA DICIANNOVESIMA
Beatrice, Truffaldino, poi Florindo: alla finestra della locanda.
Truffaldino: (Se savess come far a cavarme).
Beatrice: (Povera Clarice, ella è disperata per la gelosia di Silvio; converrà ch'io mi scopra, e che la consoli) (osservando il viglietto).
Truffaldino: (Par che nol me veda. Voi provar de andar via) (pian piano se ne vorrebbe andare).
Beatrice: Dove vai?
Truffaldino: Son qua (si ferma).
Beatrice: Perché hai aperta questa lettera?
Truffaldino: L'è stada Smeraldina. Signor, mi no so gnente.
Beatrice: Che Smeraldina? Tu sei stato, briccone. Una, e una due. Due lettere mi hai aperte in un giorno. Vieni qui.
Truffaldino: Per carità, signor (accostandosi con paura).
Beatrice: Vien qui, dico.
Truffaldino: Per misericordia (s'accosta tremando). Beatrice leva dal fianco di Truffaldino il bastone, e lo bastona ben bene, essendo voltata colla schiena alla locanda.
Florindo: (alla finestra della locanda) Come! Si bastona il mio servitore? (parte dalla finestra).
Truffaldino: No più, per carità.
Beatrice: Tieni, briccone. Imparerai a aprir le lettere (getta il bastone per terra e parte).
SCENA VENTESIMA
Truffaldino, poi Florindo dalla locanda.
Truffaldino: (dopo partita Beatrice) Sangue de mi! Corpo de mi! Cusì se tratta coi omeni della me sorte? Bastonar un par mio? I servitori, co no i serve, i se manda via, no i se bastona.
Florindo: Che cosa dici? (uscito dalla locanda non veduto da Truffaldino).
Truffaldino: (Oh!) (avvedendosi di Florindo). No se bastona i servitori dei altri in sta maniera. Quest'l'è un affronto, che ha ricevudo el me padron (verso la parte per dove è andata Beatrice).
Florindo: Sì, è un affronto che ricevo io. Chi è colui che ti ha bastonato?
Truffaldino: Mi no lo so, signor: nol conosso.
Florindo: Perché ti ha battuto?
Truffaldino: Perché... perché gh'ho spudà su una scarpa.
Florindo: E ti lasci bastonare così? E non ti muovi, e non ti difendi nemmeno? Ed esponi il tuo padrone ad un affronto, ad un precipizio? Asino, poltronaccio che sei (prende il bastone di terra). Se hai piacere a essere bastonato, ti darò gusto, ti bastonerò ancora io (lo bastona, e poi entra nella locanda).
Truffaldino: Adesso posso dir che son servitor de do padroni. Ho tirà el salario da tutti do (entra nella locanda).
ATTO TERZO
SCENA PRIMA
Sala della locanda con varie porte
Truffaldino: solo, poi due Camerieri.
Truffaldino: Con una scorladina ho mandà via tutto el dolor delle bastonade; ma ho magnà ben, ho disnà ben, e sta sera cenerò meio, e fin che posso vòi servir do padroni, tanto almanco che podesse tirar do salari. Adess mo coss'òia da far? El primo patron l'è fora de casa, el segondo dorme; poderia giust adesso dar un poco de aria ai abiti; tirarli fora dei bauli, e vardar se i ha bisogno de gnente. Ho giusto le chiavi. Sta sala l'è giusto a proposito. Tirerò fora i bauli, e farò pulito. Bisogna che me fazza aiutar. Camerieri (chiama).
Cameriere: (viene in compagnia d'un garzone) Che volete?
Truffaldino: Voria che me dessi una man a tirar fora certi bauli da quelle camere, per dar un poco de aria ai vestidi.
Cameriere: Andate: aiutategli (al garzone).
Truffaldino: Andemo, che ve darò de bona man una porzion de quel regalo che m'ha fatto i me padroni (entra in una camera col garzone).
Cameriere: Costui pare sia un buon servitore. È lesto, pronto, attentissimo; però qualche difetto anch'egli avrà. Ho servito anch'io, e so come la va. Per amore non si fa niente. Tutto si fa o per pelar il padrone, o per fidarlo.
Truffaldino: (dalla suddetta camera col garzone, portando fuori un baule) A pian; mettemolo qua (lo posano in mezzo alla sala). Andemo a tor st'altro. Ma femo a pian, che el padron l'è in quell'altra stanza, che el dorme (entra col garzone nella camera di Florindo).
Cameriere: Costui o è un grand'uomo di garbo, o è un gran furbo: servir due persone in questa maniera non ho più veduto. Davvero voglio stare un po'attento; non vorrei che un giorno o l'altro, col pretesto di servir due padroni, tutti due li spogliasse.
Truffaldino: (dalla suddetta camera col garzone con l'altro baule) E questo mettemolo qua (lo posano in poca distanza da quell'altro). Adesso, se volè andar, andè, che no me occorre altro (al garzone).
Cameriere: Via, andate in cucina (al garzone che se ne va). Avete bisogno di nulla? (a Truffaldino).
Truffaldino: Gnente affatto. I fatti mii li fazzo da per mi.
Cameriere: Oh va, che sei un omone; se la duri, ti stimo (parte).
Truffaldino: Adesso farò le cosse pulito, con quiete, e senza che nissun me disturba (tira fuori di tasca una chiave) Qual èla mo sta chiave? Qual averzela de sti do bauli? Proverò (apre un baule). L'ho indovinada subito. Son el primo omo del mondo. E st'altra averzirà quell'altro (tira fuori di tasca l'altra chiave, e apre l'altro baule). Eccoli averti tutti do. Tiremo fora ogni cossa (leva gli abiti da tutti due i bauli e li posa sul tavolino, avvertendo che in ciaschedun baule vi sia un abito di panno nero, dei libri e delle scritture, e altre cose a piacere). Voio un po veder, se gh'è niente in te le scarselle. Delle volte i ghe mette dei buzzolai, dei confetti (visita le tasche del vestito nero di Beatrice, e vi trova un ritratto). Oh bello! Che bel ritratto! Che bell'omo! De chi saral sto ritratto? L'è un'idea, che me par de cognosser, e no me l'arrecordo. El ghe someia un tantinin all'alter me padron; ma no, nol gh'ha né sto abito, nè sta perrucca.
SCENA SECONDA
Florindo nella sua camera, e detto.
Florindo: Truffaldino (chiamandolo dalla camera).
Truffaldino: O sia maledetto! El s'ha sveià. Se el diavol fa che el vegna fora, e el veda st'alter baul, el vorrà saver... Presto, presto, lo serrerò, e dirò che no so de chi el sia (va riponendo le robe).
Florindo: Truffaldino (come sopra).
Truffaldino: La servo (risponde forte). Che metta via la roba. Ma! No me recordo ben sto abito dove che el vada. E ste carte no me recordo dove che le fusse.
Florindo: Vieni, o vengo a prenderti con un bastone? (come sopra).
Truffaldino: Vengo subito (forte, come sopra). Presto, avanti che el vegna. Co l'anderà fora de casa, giusterò tutto (mette le robe a caso nei due bauli, e li serra).
Florindo: (esce dalla sua stanza in veste da camera) Che cosa diavolo fai? (a Truffaldino).
Truffaldino: Caro signor, no m'ala dito che repulissa i panni? Era qua che fava l'obbligo mio.
Florindo: E quell'altro baule di chi è?
Truffaldino: No so gnente; el sarà d'un altro forestier.
Florindo: Dammi il vestito nero.
Truffaldino: La servo (apre il baule di Florindo, e gli dà il suo vestito nero). Florindo si fa levare la veste da camera, e si pone il vestito; poi, mettendo le mani in tasca, trova il ritratto.
Florindo: Che è questo? (maravigliandosi del ritratto).
Truffaldino: (Oh diavolo! Ho fallà. In vece de metterlo in tel vestido de quel alter, l'ho mess in questo. El color m'ha fatto fallar).
Florindo: (Oh cieli! Non m'inganno io già. Questo è il mio ritratto; il mio ritratto che donai io medesimo alla mia cara Beatrice). Dimmi, tu, come è entrato nelle tasche del mio vestito questo ritratto, che non vi era?
Truffaldino: (Adesso mo no so come covrirla. Me inzegnerò).
Florindo: Animo, dico; parla, rispondi. Questo ritratto, come nelle mie tasche?
Truffaldino: Caro sior padron, la compatissa la confidenza che me son tolto. Quel ritratt l'è roba mia; per no perderlo, l'aveva nascosto là drento. Per amor del ciel, la me compatissa.
Florindo: Dove hai avuto questo ritratto?
Truffaldino: L'ho eredità dal me padron.
Florindo: Ereditato?
Truffaldino: Sior Sì, ho servido un padron, l'è morto, el m'ha lassa delle bagattelle che le ho vendude, e m'è resta sto ritratt.
Florindo: Oimè! Quanto tempo è che è morto questo tuo padrone?
Truffaldino: Sarà una settimana. (Digo quel che me vien alla bocca).
Florindo: Come chiamavasi questo tuo padrone?
Truffaldino: Nol so, signor; el viveva incognito.
Florindo: Incognito? Quanto tempo lo hai tu servito?
Truffaldino: Poco: diese o dodese zorni.
Florindo: (Oh cieli! Sempre più tremo, che non sia stata Beatrice! Fuggi in abito d'uomo... viveva incognita... Oh me infelice, se fosse vero!).
Truffaldino: (Col crede tutto, ghe ne racconterò delle belle).
Florindo: Dimmi, era giovine il tuo padrone? (con affanno).
Truffaldino: Sior si, zovene.
Florindo: Senza barba?
Truffaldino: Senza barba.
Florindo: (Era ella senz'altro) (sospirando).
Truffaldino: (Bastonade spereria de no ghe n'aver).
Florindo: Sai la patria almeno del tuo defonto padrone?
Truffaldino: La patria la saveva, e no me l'arrecordo.
Florindo: Turinese forse?
Truffaldino: Sior si, turinese.
Florindo: (Ogni accento di costui è una stoccata al mio cuore). Ma dimmi: è egli veramente morto questo giovine torinese?
Truffaldino: L'è morto siguro.
Florindo: Di qual male è egli morto?
Truffaldino: Gh'è vegnù un accidente, e l'è andà. (Cusì me destrigo).
Florindo: Dove è stato sepolto?
Truffaldino: (Un altro imbroio). No l'è stà sepolto, signor; perché un alter servitor, so patrioto, l'ha avù la licenza de metterlo in t'una cassa, e mandarlo al so paese.
Florindo: Questo servitore era forse quello che ti fece stamane ritirar dalla Posta quella lettera?
Truffaldino: Sior sì, giusto Pasqual.
Florindo: (Non vi è più speranza. Beatrice è morta. Misera Beatrice! i disagi del viaggio, i tormenti del cuore l'avranno uccisa. Oimè! non posso reggere all'eccesso del mio dolore (entra nella sua camera).
SCENA TERZA
Truffaldino, poi Beatrice e Pantalone.
Truffaldino: Coss'è st'imbroio? L'è addolorà, el pianze, el se despera. No voria mi co sta favola averghe sveià l'ippocondria. Mi l'ho fatto per schivar el complimento delle bastonade, e per no scovrir l'imbroio dei do bauli. Quel ritratto gh'ha fatto mover i vermi. Bisogna che el lo conossa. Orsù, l'è mei che torna a portar sti bauli in camera, e che me libera da un'altra seccatura compagna. Ecco qua quell'alter padron. Sta volta se divide la servitù, e se me fa el ben servido (accennando le bastonate).
Beatrice: Credetemi, signor Pantalone, che l'ultima partita di specchi e cere è duplicata.
Pantalone: Poderia esser che i zoveni avesse fallà. Faremo passar i conti un'altra volta col scrittural; incontreremo e vederemo la verità.
Beatrice: Ho fatto anch'io un estratto di diverse partite cavate dai nostri libri. Ora lo riscontreremo. Può darsi che si dilucidi o per voi, o per me. Truffaldino?
Truffaldino: Signor.
Beatrice: Hai tu le chiavi del mio baule?
Truffaldino: Sior sì; eccole qua.
Beatrice: Perché l'hai portato in sala il mio baule?
Truffaldino: Per dar un poco de aria ai vestidi.
Beatrice: Hai fatto?
Truffaldino: Ho fatto.
Beatrice: Apri e dammi... Quell'altro baule di chi è?
Truffaldino: L'è d'un altro forestier, che è arrivado.
Beatrice: Dammi un libro di memorie, che troverai nel baule.
Truffaldino: Sior sì. (El ciel me la manda bona) (apre e cerca il libro).
Pantalone: Pol esser, come ghe digo, che i abbia fallà. In sto caso, error no fa pagamento.
Beatrice: E può essere che così vada bene; lo riscontreremo.
Truffaldino: Elo questo? (presenta un libro di scritture a Beatrice).
Beatrice: Sarà questo (lo prende senza molto osservarlo, e lo apre). No, non è questo... Di chi è questo libro?
Truffaldino: (L'ho fatta).
Beatrice: (Queste sono due lettere da me scritte a Florindo. Oimè! Queste memorie, questi conti appartengono a lui. Sudo, tremo, non so in che mondo mi sia).
Pantalone: Cossa gh'è, sior Federigo? Se sentelo gnente
Beatrice: Niente. (Truffaldino, come nel mio baule evvi questo libro che non è mio?) (piano a Truffaldino).
Truffaldino: Mi no saveria..
Beatrice: Presto, non ti confondere, dimmi la verità.
Truffaldino: Ghe domando scusa dell'ardir che ho avudo de metter quel libro in tel so baul. L'è roba mia, e per non perderlo, l'ho messo là. (L'è andada ben con quell'alter, pol esser che la vada ben anca con questo).
Beatrice: Questo libro è tuo, e non lo conosci, e me lo dai in vece del mio?
Truffaldino: (Oh, questo l'è ancora più fin). Ghe dirò: l'è poc tempo che l'è mio, e cusì subito no lo conosso.
Beatrice: E dove hai avuto tu questo libro?
Truffaldino: Ho servido un padron a Venezia, che l'è morto, e ho eredità sto libro.
Beatrice: Quanto tempo è?
Truffaldino: Che soia mi? Dies o dodese zorni.
Beatrice: Come può darsi, se io ti ho ritrovato a Verona?
Truffaldino: Giust allora vegniva via da Venezia per la morte del me padron.
Beatrice: (Misera me!). Questo tuo padrone aveva nome Florindo?
Truffaldino: Sior sì, Florindo.
Beatrice: Di famiglia Aretusi?
Truffaldino: Giusto, Aretusi.
Beatrice: Ed è morto sicuramente?
Truffaldino: Sicurissimamente.
Beatrice: Di che male è egli morto? Dove è stato sepolto?
Truffaldino: L'è cascà in canal, el s'ha negà, e nol s'ha più visto.
Beatrice: Oh me infelice! Morto è Florindo, morto è il mio bene, morta è l'unica mia speranza. A che ora mi serve questa inutile vita, se morto è quello per cui unicamente viveva? Oh vane lusinghe! Oh cure gettate al vento! Infelici strattagemmi d'amore! Lascio la patria, abbandono i parenti, vesto spoglie virili, mi avventuro ai pericoli, azzardo la vita istessa, tutto fo per Florindo e il mio Florindo è morto. Sventurata Beatrice! Era poco la perdita del fratello, se non ti si aggiungeva quella ancor dello sposo? Alla morte di Federigo volle il cielo che succedesse quella ancor di Florindo. Ma se io fui la cagione delle morti loro, se io sono la rea, perchè contro di me non s'arma il Cielo a vendetta? Inutile è il pianto, vane son le querele, Florindo è morto. Oimè! Il dolore mi opprime. Più non veggo la luce. Idolo mio, caro sposo, ti seguirò disperata (parte smaniosa, ed entra nella sua camera).
Pantalone: (inteso con ammirazione tutto il discorso, e la disperazione di Beatrice) Truffaldino!
Truffaldino: Sior Pantalon!
Pantalone: Donna!
Truffaldino: Femmena!
Pantalone: Oh che caso!
Truffaldino: Oh che maraveia!
Pantalone: Mi resto confuso.
Truffaldino: Mi son incanta.
Pantalone: Ghe lo vago a dir a mia fia (parte).
Truffaldino: No so più servitor de do padroni, ma de un padron e de una padrona (parte).
SCENA QUARTA
Strada colla locanda
Dottore, poi Pantalone dalla locanda.
Dottore: Non mi posso dar pace di questo vecchiaccio di Pantalone. Più che ci penso, più mi salta la bile.
Pantalone: Dottor caro, ve reverisso (con allegria).
Dottore: Mi maraviglio che abbiate anche tanto ardire di salutarmi.
Pantalone: V'ho da dar una nova. Sappiè...
Dottore: Volete forse dirmi che avete fatto le nozze? Non me n'importa un fico.
Pantalone: No xè vero gnente. Lassème parlar, in vostra malora.
Dottore: Parlate, che il canchero vi mangi.
Pantalone: (Adessadesso me vien voggia de dottorarlo a pugni). Mia fia, se volè, la sarà muggier de vostro fio.
Dottore: Obbligatissimo, non v'incomodate. Mio figlio non è di sì buono stomaco. Datela al signor turinese.
Pantalone: Co saverè chi xè quel turinese, no dirè cusì.
Dottore: Sia chi esser si voglia. Vostra figlia è stata veduta con lui, et hoc sufficit.
Pantalone: Ma no xè vero che el sia...
Dottore: Non voglio sentir altro.
Pantalone: Se no me ascolterè, sarà pezo per vu.
Dottore: Lo vedremo per chi sarà peggio.
Pantalone: Mia fia la xè una putta onorata; e quella...
Dottore: Il diavolo che vi porti.
Pantalone: Che ve strascina.
Dottore: Vecchio senza parola e senza riputazione (parte).
SCENA QUINTA
Pantalone e poi Silvio.
Pantalone: Siestu maledetto. El xè una bestia vestio da omo costù. Gh'oggio mai podesto dir che quella xè una donna? Mo, sior no, nol vol lassar parlar. Ma xè qua quel spuzzetta de so fio; m'aspetto qualche altra insolenza.
Silvio: (Ecco Pantalone. Mi sento tentato di cacciargli la spada nel petto).
Pantalone: Sior Silvio, con so bona grazia, averave da darghe una bona niova, se la se degnasse de lassarme parlar, e che no la fusse come quella masena de molin de so sior pare.
Silvio: Che avete a dirmi? Parlate.
Pantalone: La sappia che el matrimonio de mia fia co sior Federigo xè andà a monte.
Silvio: È vero? Non m'ingannate?
Pantalone: Ghe digo la verità, e se la xè più de quell'umor, mia fia xè pronta a darghe la man.
Silvio: Oh cielo! Voi mi ritornate da morte a vita.
Pantalone: (Via, via, nol xè tanto bestia, come so pare).
Silvio: Ma! oh cieli! Come potrò stringere al seno colei che con un altro sposo ha lungamente parlato?
Pantalone: Alle curte. Federigo Rasponi xè deventà Beatrice, so sorella.
Silvio: Come! Io non vi capisco.
Pantalone: S'è ben duro de legname. Quel che se credeva Federigo, s'ha scoverto per Beatrice.
Silvio: Vestita da uomo?
Pantalone: Vestia da omo.
Silvio: Ora la capisco.
Pantalone: Alle tante.
Silvio: Come andò? Raccontatemi.
Pantalone: Andemo in casa. Mia fia non sa gnente. Con un racconto solo soddisfarò tutti do.
Silvio: Vi seguo, e vi domando umilmente perdono, se trasportato dalla passione...
Pantalone: A monte; ve compatisso. So cossa che xè amor. Andemo, fio mio, vengì con mi (parte).
Silvio: Chi più felice è di me? Qual cuore può essere più contento del mio? (parte con Pantalone).
SCENA SESTA
Sala della locanda con varie porte
Beatrice e Florindo escono ambidue dalle loro camere con un ferro alla mano, in atto di volersi uccidere: trattenuti quella da Brighella, e questi dal Cameriere della locanda; e s'avanzano in modo che i due amanti non si vedono fra di loro.
Brighella: La se fermi (afferrando la mano a Beatrice).
Beatrice: Lasciatemi per carità (si sforza per liberarsi da Brighella).
Cameriere: Questa è una disperazione (a Florindo, trattenendolo).
Florindo: Andate al diavolo (si scioglie dal Cameriere).
Beatrice: Non vi riuscirà d'impedirmi (si allontana da Brighella).
Tutti due s'avanzano, determinati di volersi uccidere, e vedendosi e riconoscendosi, rimangono istupiditi.
Florindo: Che vedo!
Beatrice: Florindo!
Florindo: Beatrice!
Beatrice: Siete in vita?
Florindo: Voi pur vivete?
Beatrice: Oh sorte!
Florindo: Oh anima mia!
Si lasciano cadere i ferri, e si abbracciano.
Brighella: Tolè su quel sangue, che nol vada de mal (al Cameriere scherzando, e parte).
Cameriere: (Almeno voglio avanzare questi coltelli. Non glieli do più) (prende i coltelli da terra, e parte).
SCENA SETTIMA
Beatrice, Florindo, poi Brighella.
Florindo: Qual motivo vi aveva ridotta a tale disperazione?
Beatrice: Una falsa novella della vostra morte.
Florindo: Chi fu che vi fece credere la mia morte?
Beatrice: Il mio servitore.
Florindo: Ed il mio parimente mi fece credere voi estinta, e trasportato da egual dolore volea privarmi di vita.
Beatrice: Questo libro fu cagion ch'io gli prestai fede.
Florindo: Questo libro era nel mio baule. Come passò nelle vostre mani? Ah si, vi sarà pervenuto, come nelle tasche del mio vestito ritrovai il mio ritratto; ecco il mio ritratto, ch'io diedi a voi in Torino.
Beatrice: Quei ribaldi dei nostri servi, sa il cielo che cosa avranno fatto. Essi sono stati la causa del nostro dolore e della nostra disperazione.
Florindo: Cento favole il mio mi ha raccontato di voi.
Beatrice: Ed altrettante ne ho io di voi dal servo mio tollerate.
Florindo: E dove sono costoro?
Beatrice: Più non si vedono.
Florindo: Cerchiamo di loro e confrontiamo la verità. Chi è di là? Non vi è nessuno? (chiama).
Brighella: La comandi.
Florindo: I nostri servidori dove son eglino?
Brighella: Mi no lo so, signor. I se pol cercar.
Florindo: Procurate di ritrovarli, e mandateli qui da noi.
Brighella: Mi no ghe ne conosso altro che uno; lo dirò ai camerieri; lori li cognosserà tutti do. Me rallegro con lori che i abbia fatt una morte cussi dolce; se i se volesse far seppelir, che i vada in un altro logo, che qua no i stà ben. Servitor de lor signori (parte).
SCENA OTTAVA
Florindo: e Beatrice.
Florindo: Voi pure siete in questa locanda alloggiata?
Beatrice: Ci sono giunta stamane.
Florindo: Ed io stamane ancora. E non ci siamo prima veduti?
Beatrice: La fortuna ci ha voluto un po'tormentare.
Florindo: Ditemi: Federigo, vostro fratello, è egli morto?
Beatrice: Ne dubitate? Spirò sul colpo.
Florindo: Eppure mi veniva fatto credere ch'ei fosse vivo, e in Venezia.
Beatrice: Quest'è un inganno di chi sinora mi ha preso per Federigo. Partii di Turino con questi abiti e questo nome sol per seguire...
Florindo: Lo so, per seguir me, o cara; una lettera, scrittavi dal vostro servitor di Turino, mi assicurò di un tal fatto.
Beatrice: Come giunse nelle vostre mani?
Florindo: Un servitore, che credo sia stato il vostro, pregò il mio che ne ricercasse alla Posta. La vidi, e trovandola a voi diretta, non potei a meno di non aprirla.
Beatrice: Giustissima curiosità di un amante.
Florindo: Che dirà mai Turino della vostra partenza?
Beatrice: Se tornerò colà vostra sposa, ogni discorso sarà finito.
Florindo: Come posso io lusingarmi di ritornarvi sì presto, se della morte di vostro fratello sono io caricato?
Beatrice: I capitali ch'io porterò di Venezia, vi potranno liberare dal bando.
Florindo: Ma questi servi ancor non si vedono.
Beatrice: Che mai li ha indotti a darci sì gran dolore?
Florindo: Per saper tutto non conviene usar con essi il rigore. Convien prenderli colle buone.
Beatrice: Mi sforzerò di dissimulare.
Florindo: Eccone uno (vedendo venir Truffaldino).
Beatrice: Ha cera di essere il più briccone.
Florindo: Credo che non diciate male.
SCENA NONA
Truffaldino, condotto per forza da Brighella e dal Cameriere, e detti.
Florindo: Vieni, vieni, non aver paura.
Beatrice: Non ti vogliamo fare alcun male.
Truffaldino: (Eh! me recordo ancora delle bastonade) (parte).
Brighella: Questo l'avemo trovà; se troveremo quell'altro, lo faremo vegnir.
Florindo: Sì, è necessario che ci sieno tutti due in una volta.
Brighella: (Lo conosseu vu quell'altro?) (piano al Cameriere).
Cameriere: (Io no) (a Brighella).
Brighella: (Domanderemo in cusina. Qualchedun lo cognosserà) (al Cameriere, e parte).
Cameriere: (Se ci fosse, l'avrei da conoscere ancora io) (parte).
Florindo: Orsù, narraci un poco come andò la faccenda del cambio del ritratto e del libro, e perché tanto tu che quell'altro briccone vi uniste a farci disperare.
Truffaldino: (fa cenno col dito a tutti due che stiano cheti) Zitto (a tutti due). La favorissa, una parola in disparte (a Florindo, allontanandolo da Beatrice). (Adessadesso ghe racconterò tutto) (a Beatrice, nell'atto che si scosta per parlare a Florindo). (La sappia, signor (parla a Florindo) che mi de tutt sto negozi no ghe n'ho colpa, ma chi è stà causa l'è stà Pasqual, servitor de quella signora ch'è là (accennando cautamente Beatrice). Lu l'è sta quello che ha confuso la roba, e quel che andava in t'un baul el l'ha mess in quell'alter, senza che mi me ne accorza. El poveromo s'ha raccomandà a mi che lo tegna coverto, acciò che el so padron no lo cazza via, e mi che son de bon cor, che per i amici me faria sbudellar, ho trovà tutte quelle belle invenzion per veder d'accomodarla. No me saria mo mai stimà, che quel ritratt fosse voster, e che tant v'avess da despiaser che fusse morto quel che l'aveva. Eccove contà l'istoria come che l'è, da quell'omo sincero, da quel servitor fedel che ve ne son).
Beatrice: (Gran discorso lungo gli fa colui. Son curiosa di saperne il mistero).
Florindo: (Dunque colui che ti fece pigliar alla Posta la nota lettera, era servitore della signora Beatrice?) (piano a Truffaldino).
Truffaldino: (Sior Sì, el giera Pasqual) (piano a Florindo).
Florindo: (Perché tenermi nascosta una cosa, di cui con tanta premura ti aveva ricercato?) (piano a Truffaldino).
Truffaldino: (El m'aveva pregà che no lo disesse) (piano a Florindo).
Florindo: (Chi?) (come sopra).
Truffaldino: (Pasqual) (come sopra).
Florindo: (Perché non obbedire al tuo padrone?) (come sopra).
Truffaldino: (Per amor de Pasqual) (come sopra).
Florindo: (Converrebbe che io bastonassi Pasquale e te nello stesso tempo) (come sopra).
Truffaldino: (In quel caso me toccherave a mi le mie e anca quelle de Pasqual).
Beatrice: Ê ancor finito questo lungo esame?
Florindo: Costui mi va dicendo...
Truffaldino: (Per amor del cielo, sior padron, no la descoverza Pasqual. Piuttosto la diga che son stà mi, la me bastona anca, se la vol, ma no la me ruvina Pasqual) (piano a Florindo).
Florindo: (Sei così amoroso per il tuo Pasquale?) (piano a Truffaldino).
Truffaldino: (Ghe voi ben, come s el fuss me fradel Adess voi andar da quella signora, voi dirghe che son sta mi, che ho fallà; vai che i me grida, che i me strapazza, ma che se salva Pasqual) (come sopra, e si scosta da Florindo).
Florindo: (Costui è di un carattere molto amoroso).
Truffaldino: Son qua da ella (accostandosi a Beatrice).
Beatrice: (Che lungo discorso hai tenuto col signor Florindo?) (piano a Truffaldino).
Truffaldino: (La sappia che quel signor el gh'ha un servidor che gh'ha nome Pasqual; l'è el più gran mamalucco del mondo; l'è stà lu che ha fatt quei zavai della roba, e perchè el poveromo l'aveva paura che el so patron lo cazzasse via, ho trovà mi quella scusa del libro, del padron morto, nega, etecetera. E anca adess a sior Florindo gh'ho ditt che mi son stà causa de tutto) (piano sempre a Beatrice).
Beatrice: (Perchè accusarti di una colpa che asserisci di non avere?) (a Truffaldino, come sopra).
Truffaldino: (Per l'amor che porto a Pasqual) (come sopra).
Florindo: (La cosa va un poco in lungo).
Truffaldino: (Cara ella, la prego, no la lo precipita) (piano a Beatrice).
Beatrice: (Chi?) (come sopra).
Truffaldino: (Pasqual) (come sopra).
Beatrice: (Pasquale e voi siete due bricconi) (come sopra).
Truffaldino: (Eh, sarò mi solo).
Florindo: Non cerchiamo altro, signora Beatrice, i nostri servitori non l'hanno fatto a malizia; meritano essere corretti, ma in grazia delle nostre consolazioni, si può loro perdonare il trascorso.
Beatrice: È vero, ma il vostro servitore...
Truffaldino: (Per amor del cielo, no la nomina Pasqual) (piano a Beatrice).
Beatrice: Orsù, io andar dovrei dal signor Pantalone de'Bisognosi; vi sentireste voi di venir con me? (a Florindo).
Florindo: Ci verrei volentieri, ma devo attendere un banchiere a casa. Ci verrò più tardi, se avete premura.
Beatrice: Si, voglio andarvi subito. Vi aspetterò dal signor Pantalone; di là non parto, se non venite.
Florindo: Io non so dove stia di casa.
Truffaldino: Lo so mi, signor, lo compagnerò mi.
Beatrice: Bene, vado in camera a terminar di vestirmi.
Truffaldino: (La vada, che la servo subito) (piano a Beatrice).
Beatrice: Caro Florindo, gran pene che ho provate per voi (entra in camera).
SCENA DECIMA
Florindo: e Truffaldino.
Florindo: Le mie non sono state minori (dietro a Beatrice).
Truffaldino: La diga, sior patron, no gh'è Pasqual; siora Beatrice: no gh'ha nissun che l'aiuta a vestir; se contentelo che vada mi a servirla in vece de Pasqual?
Florindo: Si, vanne pure; servila con attenzione, avrò piacere.
Truffaldino: (A invenzion, a prontezza, a cabale, sfido el primo sollicitador de Palazzo) (entra nella camera di Beatrice).
SCENA UNDICESIMA
Florindo, poi Beatrice e Truffaldino.
Florindo: Grandi accidenti accaduti sono in questa giornata! Pianti, lamenti, disperazioni, e all'ultimo consolazione e allegrezza. Passar dal pianto al riso è un dolce salto che fa scordare gli affanni, ma quando dal piacere si passa al duolo, è più sensibile la mutazione.
Beatrice: Eccomi lesta.
Florindo: Quando cambierete voi quelle vesti?
Beatrice: Non istò bene vestita così?
Florindo: Non vedo l'ora di vedervi colla gonnella e col busto. La vostra bellezza non ha da essere soverchiamente coperta.
Beatrice: Orsù, vi aspetto dal signor Pantalone; fatevi accompagnare da Truffaldino.
Florindo: L'attendo ancora un poco; e se il banchiere non viene, ritornerà un'altra volta.
Beatrice: Mostratemi l'amor vostro nella vostra sollecitudine (s'avvia per partire).
Truffaldino: (Comandela che resta a servir sto signor?) (piano a Beatrice, accennando Florindo).
Beatrice: (Si, lo accompagnerai dal signor Pantalone) (a Truffaldino).
Truffaldino: (E da quella strada lo servirò, perché no gh'è Pasqual) (come sopra).
Beatrice: Servilo, mi farai cosa grata. (Lo amo più di me stessa) (parte).
SCENA DODICESIMA
Florindo: e Truffaldino.
Truffaldino: Tolì, nol se vede. El padron se veste, el va fora de casa, e nol se vede.
Florindo: Di chi parli?
Truffaldino: De Pasqual. Ghe voio ben, l'è me amigo, ma l'è un poltron. Mi son un servitor che valo per do.
Florindo: Vienmi a vestire. Frattanto verrà il banchiere.
Truffaldino: Sior padron, sento che vussioria ha d'andar in casa de sior Pantalon.
Florindo: Ebbene, che vorresti tu dire?
Truffaldino: Vorria pregarlo de una grazia.
Florindo: Sì, te lo meriti davvero per i tuoi buoni portamenti.
Truffaldino: Se è nato qualcossa, la sa che l'è stà Pasqual.
Florindo: Ma dov'è questo maledetto Pasquale? Non si può vedere?
Truffaldino: El vegnirà sto baron. E cusì, sior padron, voria domandarghe sta grazia.
Florindo: Che cosa vuoi?
Truffaldino: Anca mi, poverin, son innamorado.
Florindo: Sei innamorato?
Truffaldino: Signor sì; e la me morosa l'è la serva de sior Pantalon; e voria mo che vussioria...
Florindo: Come c entro io?
Truffaldino: Oh, no digo che la ghe intra; ma essendo mi el so servitor, che la disess una parola per mi al sior Pantalon.
Florindo: Bisogna vedere se la ragazza ti vuole.
Truffaldino: La ragazza me vol. Basta una parola al sior Pantalon; la prego de sta carità.
Florindo: Si, lo farò; ma come la manterrai la moglie?
Truffaldino: Farò quel che poderò. Me raccomanderò a Pasqual.
Florindo: Raccomandati a un poco più di giudizio (entra in camera).
Truffaldino: Se non fazzo giudizio sta volta, no lo fazzo mai più (entra in camera, dietro a Florindo).
SCENA TREDICESIMA
Camera in casa di Pantalone
Pantalone, il Dottore, Clarice, Silvio, Smeraldina.
Pantalone: Via, Clarice, non esser cusì ustinada. Ti vedi che l'è pentio sior Silvio, che el te domanda perdon; se l'ha dà in qualche debolezza, el l'ha fatto per amor; anca mi gh'ho perdonà i strambezzi, ti ghe li ha da perdonar anca ti.
Silvio: Misurate dalla vostra pena la mia, signora Clarice, e tanto più assicuratevi che vi amo davvero, quanto più il timore di perdervi mi aveva reso furioso. Il Cielo ci vuol felici, non vi rendete ingrata alle beneficenze del Cielo. Coll'immagine della vendetta non funestate il più bel giorno di nostra vita.
Dottore: Alle preghiere di mio figliuolo aggiungo le mie. Signora Clarice, mia cara nuora, compatitelo il poverino; è stato lì lì per diventar pazzo.
Smeraldina: Via, signora padrona, che cosa volete fare? Gli uomini, poco più, poco meno, con noi sono tutti crudeli. Pretendono un'esattissima fedeltà, e per ogni leggiero sospetto ci strapazzano, ci maltrattano, ci vorrebbero veder morire. Già con uno o con l'altro avete da maritarvi; dirò, come si dice agli ammalati, giacché avete da prender la medicina, prendetela.
Pantalone: Via, sentistu? Smeraldina al matrimonio la ghe dise medicamento. No far che el te para tossego. (Bisogna veder de devertirla) (piano al Dottore).
Dottore: Non è ne veleno, né medicamento, no. Il matrimonio è una confezione, un giulebbe, un candito.
Silvio: Ma, cara Clarice mia, possibile che un accento non abbia a uscire dalle vostre labbra? So che merito da voi essere punito, ma per pietà, punitemi colle vostre parole, non con il vostro silenzio. Eccomi ai vostri piedi; movetevi a compassione di me (s'inginocchia).
Clarice: Crudele! (sospirando verso Silvio).
Pantalone: (Aveu sentio quella sospiradina? Bon segno) (piano al Dottore).
Dottore: (Incalza l'argomento) (piano a Silvio).
Smeraldina: (Il sospiro è come il lampo: foriero di pioggia).
Silvio: Se credessi che pretendeste il mio sangue in vendetta della supposta mia crudeltà, ve lo esibisco di buon animo. Ma oh Dio! in luogo del sangue delle mie vene, prendetevi quello che mi sgorga dagli occhi (piange).
Pantalone: (Bravo!).
Clarice: Crudele! (come sopra, e con maggior tenerezza).
Dottore: (È cotta) (piano a Pantalone).
Pantalone: Animo, leveve su (a Silvio, alzandolo). Vegni qua (al medesimo, prendendolo per la mano). Vegni qua anca vu, siora (prende la mano di Clarice). Animo, torneve a toccar la man; fe pase, no pianzè più, consoleve, fenila, tolè; el cielo ve benediga (unisce le mani d'ambidue).
Dottore: Via, è fatta.
Smeraldina: Fatta, fatta.
Silvio: Deh, signora Clarice, per carità (tenendola per la mano).
Clarice: Ingrato!
Silvio: Cara.
Clarice: Inumano!
Silvio: Anima mia.
Clarice: Cane!
Silvio: Viscere mie.
Clarice: Ah! (sospira).
Pantalone: (La va).
Silvio: Perdonatemi, per amor del cielo.
Clarice: Ah! vi ho perdonato (sospirando).
Pantalone: (La xè andada).
Dottore: Via, Silvio, ti ha perdonato.
Smeraldina: L'ammalato è disposto, dategli il medicamento.
SCENA QUATTORDICESIMA
Brighella e detti.
Brighella: Con bona grazia, se pol vegnir? (entra).
Pantalone: Vegni qua mo, sior compare Brighella. Vu sè quello che m'ha dà da intender ste belle fandonie, che m'ha assicurà che sior Federigo gera quello, ah?
Brighella: Caro signor, chi non s'averave ingannà? I era do fradelli che se somegiava come un pomo spartido. Con quei abiti averia zogà la testa che el giera lu.
Pantalone: Basta; la xè passada. Cossa gh'è da niovo?
Brighella: La signora Beatrice: l'è qua, che la li vorria reverir.
Pantalone: Che la vegna pur, che la xè parona.
Clarice: Povera signora Beatrice, mi consolo che sia in buono stato.
Silvio: Avete compassione di lei?
Clarice: Si, moltissima.
Silvio: E di me?
Clarice: Ah crudele!
Pantalone: Sentiu che parole amorose? (al Dottore).
Dottore: Mio figliuolo poi ha maniera (a Pantalone).
Pantalone: Mia fia, poverazza, la xè de bon cuor (al Dottore).
Smeraldina: (Eh, tutti due sanno fare la loro parte).
SCENA QUINDICESIMA
Beatrice e detti.
Beatrice: Signori, eccomi qui a chiedervi scusa, a domandarvi perdono, se per cagione mia aveste dei disturbi...
Clarice: Niente, amica, venite qui (l'abbraccia).
Silvio: Ehi? (mostrando dispiacere di quell'abbraccio).
Beatrice: Come! Nemmeno una donna? (verso Silvio).
Silvio: (Quegli abiti ancora mi fanno specie).
Pantalone: Andè là, siora Beatrice, che per esser donna e per esser zovene, gh'avè un bel coraggio.
Dottore: Troppo spirito, padrona mia (a Beatrice).
Beatrice: Amore fa fare delle gran cose.
Pantalone: I s'ha trovà, né vero, col so moroso? Me xè stà conta.
Beatrice: Si, il cielo mi ha consolata.
Dottore: Bella riputazione! (a Beatrice).
Beatrice: Signore, voi non c'entrate nei fatti miei (al Dottore).
Silvio: Caro signor padre, lasciate che tutti facciano il fatto loro non vi prendete di tai fastidi. Ora che sono contento io, vorrei che tutto il mondo godesse. Vi sono altri matrimoni da fare? Si facciano.
Smeraldina: Ehi, signore, vi sarebbe il mio (a Silvio).
Silvio: Con chi?
Smeraldina: Col primo che viene.
Silvio: Trovalo, e son qua io.
Clarice: Voi? Per far che? (a Silvio).
Silvio: Per un poco di dote.
Clarice: Non vi è bisogno di voi.
Smeraldina: (Ha paura che glielo mangino. Ci ha preso gusto).
SCENA SEDICESIMA
Truffaldino: e detti.
Truffaldino: Fazz reverenza a sti signori.
Beatrice: Il signor Florindo: dov'è? (a Truffaldino).
Truffaldino: L'è qua, che el voria vegnir avanti, se i se contenta.
Beatrice: Vi contentate, signor Pantalone, che passi il signor Florindo?
Pantalone: Xèlo l'amigo sì fatto? (a Beatrice).
Beatrice: Sì, il mio sposo.
Pantalone: Che el resta servido.
Beatrice: Fa che passi (a Truffaldino).
Truffaldino: Zovenotta, ve reverisso (a Smeraldina, piano).
Smeraldina: Addio, morettino (piano a Truffaldino).
Truffaldino: Parleremo (come sopra).
Smeraldina: Di che? (come sopra).
Truffaldino: Se volessi (fa cenno di darle l'anello, come sopra).
Smeraldina: Perchè no? (come sopra).
Truffaldino: Parleremo (come sopra, e parte).
Smeraldina: Signora padrona, con licenza di questi signori, vorrei pregarla di una carità (a Clarice).
Clarice: Che cosa vuoi? (tirandosi in disparte per ascoltarla).
Smeraldina: (Anch'io sono una povera giovine, che cerco di collocarmi: vi è il servitore della signora Beatrice: che mi vorrebbe; s'ella dicesse una parola alla sua padrona, che si contentasse ch'ei mi prendesse, spererei di fare la mia fortuna) (piano a Clarice).
Clarice: (Sì, cara Smeraldina, lo farò volentieri: subito che potrò parlare a Beatrice: con libertà, lo farò certamente) (torna al suo posto).
Pantalone: Cossa xè sti gran secreti (a Clarice).
Clarice: Niente, signore. Mi diceva una cosa.
Silvio: (Posso saperla io?) (piano a Clarice).
Clarice: (Gran curiosità! E poi diranno di noi altre donne).
SCENA ULTIMA
Florindo, Truffaldino e detti.
Florindo: Servitor umilissimo di lor signori. (Tutti lo salutano). È ella il padrone di casa? (a Pantalone).
Pantalone: Per servirla.
Florindo: Permetta ch'io abbia l'onore di dedicarle la mia servitù, scortato a farlo dalla signora Beatrice di cui, siccome di me, note gli saranno le vicende passate.
Pantalone: Me consolo de conoscerla e de reverirla, e me consolo de cuor delle so contentezze.
Florindo: La signora Beatrice deve esser mia sposa, e se voi non isdegnate onorarci, sarete pronubo delle nostre nozze.
Pantalone: Quel che s'ha da far, che el se fazza subito. Le se daga la man.
Florindo: Son pronto, signora Beatrice.
Beatrice: Eccola, signor Florindo.
Smeraldina: (Eh, non si fanno pregare).
Pantalone: Faremo po el saldo dei nostri conti. Le giusta le so partie, che po giusteremo le nostre.
Clarice: Amica, me ne consolo (a Beatrice).
Beatrice: Ed io di cuore con voi (a Clarice).
Silvio: Signore, mi riconoscete voi? (a Florindo).
Florindo: Si, Vi riconosco; siete quello che voleva fare un duello.
Silvio: Anzi l'ho fatto per mio malanno. Ecco chi mi ha disarmato e poco meno che ucciso (accennando Beatrice).
Beatrice: Potete dire chi vi ha donato la vita (a Silvio).
Silvio: Si, è vero.
Clarice: In grazia mia però (a Silvio).
Silvio: È verissimo.
Pantalone: Tutto xè giustà, tutto xè fenio.
Truffaldino: Manca el meggio, signori.
Pantalone: Cossa manca?
Truffaldino: Con so bona grazia, una parola (a Florindo, tirandolo in disparte).
Florindo: (Che cosa vuoi?) (piano a Truffaldino).
Truffaldino: (S'arrecordel cossa ch'el m'ha promesso?) (piano a Florindo).
Florindo: (Che cosa? Io non me ne ricordo) (piano a Truffaldino).
Truffaldino: (De domandar a sior Pantalon Smeraldina per me muier?) (come sopra).
Florindo: (Sì, ora me ne sovviene. Lo faccio subito) (come sopra).
Truffaldino: (Anca mi, poveromo, che me metta all'onor del mondo).
Florindo: Signor Pantalone, benché sia questa la prima volta sola ch'io abbia l'onore di conoscervi, mi fo ardito di domandarvi una grazia.
Pantalone: La comandi pur. In quel che posso, la servirò.
Florindo: Il mio servitore bramerebbe per moglie la vostra cameriera; avreste voi difficoltà di accordargliela?
Smeraldina: (Oh bella! Un altro che mi vuole. Chi diavolo è? Almeno che lo conoscessi).
Pantalone: Per mi son contento. Cossa disela ella, patrona? (a Smeraldina).
Smeraldina: Se potessi credere d'avere a star bene...
Pantalone: Xèlo omo da qualcossa sto so servitor? (a Florindo).
Florindo: Per quel poco tempo ch'io l'ho meco, è fidato certo, e mi pare di abilita.
Clarice: Signor Florindo, voi mi avete prevenuta in una cosa che dovevo far io. Dovevo io proporre le nozze della mia cameriera per il servitore della signora Beatrice. Voi l'avete chiesta per il vostro; non occorr'altro.
Florindo: No, no; quando voi avete questa premura, mi ritiro affatto e vi lascio in pienissima libertà.
Clarice: Non sarà mai vero che voglia io permettere che le mie premure sieno preferite alle vostre. E poi non ho, per dirvela, certo impegno. Proseguite pure nel vostro.
Florindo: Voi lo fate per complimento. Signor Pantalone, quel che ho detto, sia per non detto. Per il mio servitore non vi parlo più, anzi non voglio che la sposi assolutamente.
Clarice: Se non la sposa il vostro, non l'ha da sposare nemmeno quell'altro. La cosa ha da essere per lo meno del pari.
Truffaldino: (Oh bella! Lori fa i complimenti, e mi resto senza muier).
Smeraldina: (Sto a vedere che di due non ne avrò nessuno).
Pantalone: Eh via, che i se giusta; sta povera putta gh'ha voggia de maridarse, dèmola o all'uno, o all'altro.
Florindo: Al mio no. Non voglio certo far torto alla signora Clarice.
Clarice: Né io permetterò mai che sia fatto al signor Florindo.
Truffaldino: Siori, sta faccenda l'aggiusterò mi. Sior Florindo, non ala domandà Smeraldina per el so servitor?
Florindo: Sì, non l'hai sentito tu stesso?
Truffaldino: E ella, siora Clarice, non àla destinà Smeraldina per el servidor de siora Beatrice?
Clarice: Dovevo parlarne sicuramente.
Truffaldino: Ben, co l'è cusì, Smeraldina, deme la man.
Pantalone: Mo per cossa voleu che a vu la ve daga la man? (a Truffaldino).
Truffaldino: Perché mi, mi son servitor de sior Florindo e de siora Beatrice.
Florindo: Come?
Beatrice: Che dici?
Truffaldino: Un pochetto de flemma. Sior Florindo, chi v'ha pregado de domandar Smeraldina: al sior Pantalon?
Florindo: Tu mi hai pregato.
Truffaldino: E ella, siora Clarice, de chi intendevela che l'avesse da esser Smeraldina?
Clarice: Di te.
Truffaldino: Ergo Smeraldina l'è mia.
Florindo: Signora Beatrice, il vostro servitore dov'è?
Beatrice: Eccolo qui. Non è Truffaldino?
Florindo: Truffaldino? Questi è il mio servitore.
Beatrice: Il vostro non è Pasquale?
Florindo: Pasquale? Doveva essere il vostro.
Beatrice: Come va la faccenda? (verso Truffaldino).
Truffaldino (con lazzi muti domanda scusa).
Florindo: Ah briccone!
Beatrice: Ah galeotto!
Florindo: Tu hai servito due padroni nel medesimo tempo?
Truffaldino: Sior si, mi ho fatto sta bravura. Son intrà in sto impegno senza pensarghe; m'ho volesto provar. Ho durà poco, è vero, ma almanco ho la gloria che nissun m'aveva ancora scoverto, se da per mi no me descovriva per l'amor de quella ragazza. Ho fatto una gran fadiga, ho fatto anca dei mancamenti, ma spero che, per rason della stravaganza, tutti sti siori me perdonerà.
Fine della commedia