La musica secondo... Sir Neville Marriner
Da un'intervista del 1988
Trentanni
fa, a Londra, in una bella chiesa in Trafalgar Square, nasceva
lAcademy of St. Martin-in-the-Fields, un nome lunghissimo
per unorchestra da camera che oggi non teme rivali nel
panorama della musica internazionale.
In trentanni, lAcademy ha dimostrato con la pratica
una grande verità: che il professionismo e il servizio fedele
della musica sono lingrediente principale per lesecuzione
di qualsiasi partitura. Non a caso, infatti, il repertorio
dellAcademy spazia dal Seicento ai nostri giorni, un arco
enormemente ampio che forse farà storcere il naso a quelli che
pretendono in ogni campo un diploma di specializzazione, non di
rado confinante col settarismo o quantomeno con una visione
angusta del fenomeno musicale.
Niente di tutto ciò invece tocca le interpretazioni
dellAcademy, unanimemente consacrata ad affrontare la
musica in una prospettiva per così dire obliqua, che tenga conto
in primo luogo delle ragioni stilistiche e dellidioma di
ciascuna epoca ma senza dimenticare gli esiti e il valore
dogni brano nella sua prospettiva storica. In questa
direzione, per i musicisti dellorchestra inglese la musica
è comunque una materia viva, da ricreare ogni volta secondo la
sensibilità contemporanea e cercando di attribuirle la veste
sonora più acconcia e più accurata. Il suono, infatti, è uno
dei tratti caratteristici di queste esecuzioni, che vedono ogni
singolo componente cercare il massimo di perfezione nella resa
tecnica, nella purezza dellintonazione, nella brillantezza
e nella impeccabile fusione dellinsieme. LAcademy of
St. Martin-in-the-Fields è poi una compagine proteiforme, capace
cioè di allargarsi o restringersi a soffietto in varie
formazioni, dai più piccoli gruppi cameristici fino
allorchestra sinfonica di tipo ottocentesco. La
familiarità con tipi di scrittura e stili tanto differenti fra
loro rende il complesso straordinariamente duttile e
autosufficiente di fronte a qualsivoglia impegno: non si
dimentichi poi che ciascun membro dellAcademy può con
tutta tranquillità prodursi come solista, così come è facile
constatare dalle esecuzioni in concerto e dalle innumerevoli
registrazioni discografiche. Il disco ha avuto unimportanza
decisiva nella vita dellorchestra e nella sua insaziabile
curiosità per nuovi repertori: fin dalla prima apparizione
pubblica il destino dellAcademy è andato di pari passo con
le sue fortune discografiche, che come ciascun sa sono immense e
legate a diverse etichette, fra le quali senza dubbio primeggia
numericamente la Philips.
Della trentennale vita dellAcademy of St. Martin-in-the-Fields
abbiamo parlato con il suo fondatore e direttore ormai storico,
Sir Neville Marriner. Lo abbiamo incontrato alla Baden Powell
House di Londra, in un momento assai delicato della sua
nutritissima agenda. Stava facendo audizioni per giovani
strumentisti aspiranti ad entrare nel suo prestigioso complesso.
Cordiale con tutti, semplice e familiare nei modi, Sir Neville ci
ha confessato di scrutare in questi esami non solo il grado di
preparazione tecnica ma anche le caratteristiche psicologiche dei
candidati: per far parte dellAcademy bisogna essere
disposti a lavorare per la musica, con lorgoglio della
perfezione, senza badare agli orari o alla fatica, e non tutti
sono disposti a sacrificarsi su questaltare, ancorché
dorato. Curiosamente, tutti gli aspiranti provenivano da paesi
del Commonwealth britannico, dallAustralia, dal Canada,
dalla Nuova Zelanda, e, naturalmente dal Regno Unito. Nel mondo
anglosassone, ancor più che negli altri paesi, lAcademy
rappresenta un miraggio di perfezione.
Allinizio è Marriner a fare domande, sullItalia e
sulla situazione musicale del nostro paese. Si domanda se Roma
sia anche la capitale della musica, come lo è Londra per gli
inglesi, ma poi si ricorda che quel primato deve essere condiviso
almeno con Milano e con Firenze.
«Mi sembra che in Italia non ci sia ancora un interesse per la
musica sinfonica paragonabile a quello per lopera,
soprattutto a Milano, meno forse a Firenze, dove ricordo di aver
diretto lOrchestra e il Coro del Maggio Musicale in una
bella esecuzione del Requiem di Mozart. Per contro, in
Italia avete unottima tradizione di orchestre da camera,
basti pensare ai Musici o ai Solisti Veneti, che sono entrambi
conosciutissimi in tutto il mondo.
Da voi le piccole orchestre sembrano essere ben più floride e di
migliore qualità rispetto alle orchestre sinfoniche. Qui capita
molto raramente di vedere unorchestra italiana in tournée.
Forse manca la qualità perché manca lo spirito di gruppo,
anche se è strano in un paese che ha così tante buone squadre
di calcio. Daltronde, anche i giocatori sono pochi, solo
undici, e le vostre buone orchestre da camera sono proprio quelle
con una decina di membri, come i Musici, appunto».
Maestro,
trentanni fa iniziava lavventura dellAcademy of
St. Martin-in-the-fields. Comè cominciata?
LAcademy nacque da musicisti sui venticinque anni
detà, alcuni impegnati nel lavoro con orchestre sinfoniche.
Ci rendemmo conto che non volevamo far parte di una grande
formazione e che volevamo dar spazio alla nostra individualità e
non certo per danaro, perché eravamo consapevoli che questo
avrebbe significato un lavoro molto più duro e una preparazione
molto più accurata, cose che non si pagano mai abbastanza. Per
circa due anni suonammo esclusivamente per nostro diletto, quindi
decidemmo di dare il nostro primo concerto, per il quale mi pare
di aver ricevuto qualcosa come cinque sterline,
lequivalente del biglietto dellautobus o poco più.
Scegliemmo per questa prima esibizione la chiesa di St. Martin-in-the-Fields
perché il nostro clavicembalista era lorganista e il
direttore della musica di quella chiesa. Si chiamava John
Churchill. Temevamo che non venisse molta gente, perché qui non
piacciono i concerti nelle chiese. Invece un po di gente
cera, e fra questa venne anche una signora che si dedicava
alla realizzazione di incisioni discografiche; aveva una passione
per la musica francese del XVII secolo ed aveva comprato a questo
fine una casa editrice chiamata «Les editions de LOiseau
Lyre». Era intenzionata a registrare le musiche che faceva
stampare, e immediatamente dopo quel primo concerto ci chiese di
fare un disco. Quello fu linizio del successo
dellAcademy. Per lei registrammo due dischi, che ebbero
ottime recensioni sulle riviste specializzate, perché a
quellepoca non cera nessuno che incidesse quel
repertorio.
Quali
musiche comprendeva quel primo disco?
Era tutta musica italiana, di autori allora pressoché
sconosciuti come Manfredini e Corelli. Dopo quelle recensioni,
continuammo a fare dischi che ebbero come immediata conseguenza
inviti a suonare allestero. Quei concerti a loro volta
spinsero le case discografiche a richiederci nuove incisioni. I
professori dellorchestra provenivano soprattutto dalla
London Symphony Orchestra; gli altri erano amici che conoscevano
bene lo stile e il repertorio e che noi ammiravamo. Tutti avevamo
le stesse idee sulla musica. Questo è molto importante per noi.
Per esempio, fra i diciassette ragazzi che ho ascoltato oggi,
cinque avrebbero le qualità strumentali per far parte
dellAcademy; a questo si deve poi aggiungere una capacità
di integrarsi che è solo di pochi. Pensi che chi lavora in
questa orchestra passa molto più tempo con i suoi colleghi che
non con la propria moglie: senza unarmonia totale questo
sarebbe impossibile. Tenga poi presente che lAcademy paga i
suoi membri da sempre un po più di quanto indicherebbero i
parametri sindacali, ma questo permette di esigere anche di più
dagli strumentisti. Nessuno può recriminare se cè da
provare di più, e fin quando un pezzo non è a posto si continua
a lavorarci sopra. Vogliamo ottenere ciò che abbiamo in mente, e
la coscienza di fare un buon lavoro, lorgoglio del gruppo,
sprona tutti a dare il massimo. La Phonogram, con un contratto
molto generoso, fin dagli inizi ha favorito le nostre condizioni
di lavoro. Dapprima ci ha fatto registrare il repertorio per
così dire più familiare, ovvero Bach, Haendel, Vivaldi.
Successivamente, si sono accorti che non potevamo ripetere
allinfinito questo repertorio, e allora abbiamo cominciato
ad avvicinarci sempre più alla musica del XIX secolo, con
Schubert, Beethoven, Mendelssohn e così via. Al momento, la cosa
che mi attira di più è fare lopera, in particolare i
melodrammi di Mozart e di Rossini.
Ha
diretto spesso le opere in teatro?
No, di rado, ma dal mio punto di vista, che è una sorta di
morale musicale, trovo che nei teatri lopera viene molto
spesso stravolta nei suoi veri significati. È anche una
questione dinvestimenti. Di solito, per esempio, si
spendono molti più soldi nelle scene e nei costumi che non per
gli aspetti più propriamente musicali, a parte i cachets favolosi
concessi a certe stelle del belcanto. Così, troppe volte la
gente presta più attenzione a quello che vede invece che a
quello che ascolta. Inoltre, non mi trovo a mio agio con gran
parte dei registi. Può capitate di avere anche delle buone
esperienze, come nel nostro caso a Salisburgo, dove abbiamo
collaborato col regista John Cox per lopera giovanile di
Mozart Il re pastore, che è stata anche registrata in
video. Cox sapeva come far risaltare i diversi momenti dellopera,
sia per gli ensembles che per le arie solistiche. Di norma,
però, i registi non creano altro che problemi. Per me, la cosa
migliore è registrare lopera in studio, dove posso avere
il pieno controllo della musica, senza distrazioni per me e per i
cantanti. È comunque necessario aver fatto lesperienza
dellesecuzione in teatro, per riprodurre in disco gli
effetti drammatici che sono evidenti sulla scena.
E
per quanto riguarda il suono e il rapporto fra orchestra e
palcoscenico?
Bisogna avvolgere con lorchestra le voci, anche se in
teatro è possibile solo raramente. Lideale sarebbe un
effetto come quello di Bayreuth, dove lorchestra è del
tutto a suo agio perché in ogni caso dominano le voci. Nei
teatri tradizionali invece si deve sempre tener bassa
lorchestra.
Registrerà
le opere giovanili di Mozart?
Purtroppo non credo, perché sono già state registrate da
altri per la stessa compagnia discografica, e dal punto di vista
economico la Polygram non ha interesse a creare un doppione in
questo repertorio non molto popolare. Diverso è invece il
discorso per le opere della maturità, come le Nozze di Figaro
o il Don Giovanni, che saranno sempre popolari in ogni
nuova interpretazione, a dispetto della ventina e più di
registrazioni che sono in commercio.
Ad
ogni modo, ha registrato il primo lavoro teatrale di Mozart, Die
Schuldigkeit des ersten Gebots ...
Si, ma non so quanto pubblico potrà trovare interessante un
lavoro così particolare, per molti aspetti ancora immaturo. Per
me, comunque, è stata una vera sorpresa musicale, frutto di un
lavoro molto impegnativo. Ancora di più lo è stata la Grabmusik,
inclusa nello stesso CD, che è un pezzo assolutamente
fantastico, sorprendente. Ma abbiamo dovuto lavorare molto
duramente per superare certe ingenuità di struttura che
potrebbero limitare le intuizioni geniali di quella musica.
E
riguardo al suo ciclo rossiniano?
Al momento sto pensando al Turco in Italia, ma questo
dipende soprattutto dalla casa discografica, perché proprio ora
ha realizzato con altri interpreti unopera che avrei amato
moltissimo fare, Le comte Ory. Io lo proposi due anni fa
alla Polygram , ma era già stato programmato per John Eliot
Gardiner. Il Turco in Italia non è forse unopera di
grandi ensembles, che è poi laspetto che mi
interessa di più in Rossini, ma è molto interessante ed ha
bisogno di un restauro perché in passato è stata
disastrosamente sottoposta a tagli. Ora cè però
unottima edizione critica.
Ora
sta anche portando a termine unintegrale delle Sinfonie di
Beethoven ...
È già conclusa. Pochi giorni fa ascoltavo il nastro della Nona,
che abbiamo registrato da poco, e anche della Sinfonia
della Battaglia (La Vittoria di Wellington), che è un pezzo
molto divertente, e che abbiamo riempito degli effetti teatrali
voluti dallautore, colpi di cannone, scariche di fucileria,
raganelle, nitriti di cavalli, tutto molto spettacolare.
Ho
saputo che lAcademy si sta ora cimentando con un nuovo
genere di repertorio: Debussy, Ravel ...
È vero, ed è una nostra ambizione. Abbiamo dato un concerto
di queste musiche pochi giorni or sono e la stampa è stata
abbastanza aggressiva in merito, perché la gente non ama i
cambiamenti, vorrebbe che restassimo sempre il medesimo gruppo.
Io invece penso che, dopo trentanni, si possa e si debba
cambiare un po; non dico che lAcademy si debba
trasformare in una grande orchestra sinfonica, ma cè tanta
musica che richiede un organico sinfonico affatto normale e che
noi possiamo eseguire. Potrebbe essere unaltra delle facce
dellAcademy: abbiamo il gruppo da camera, con un massimo di
otto membri, abbiamo lorchestra da camera guidata dal primo
violino, composta da diciassette o venti musicisti, e poi
lorchestra che ha bisogno del direttore, da trenta
componenti in su e, quando cè bisogno, il coro.
A
proposito di coro, perché non avete più registrato gli Oratori
di Haendel?
Non abbiamo veramente smesso, ma piuttosto esitato, perché i
gruppi con strumenti originali hanno conquistato presso il
pubblico una sorta di posto preferenziale per quel genere di
musica, e di conseguenza anche presso le compagnie discografiche.
Facciamo ancora Haendel in concerto, e il coro continua ad
esistere: è formato da dilettanti per lo più giovani, perché
per cantare ci vogliono voci fresche e duttili. Non mi piacciono
i cori geriatrici dei teatri dopera o delle grandi
istituzioni concertistiche. Noi cambiamo spessissimo i componenti
del coro, che oggi è cresciuto fino a raggiungere lo stesso tipo
darticolazione e dimpostazione dellorchestra,
grazie soprattutto alle cure che gli ha dedicato il suo direttore,
Laszlo Heltay. In ogni caso, se la Polygram non si è rivelata
molto interessata a produrre le nostre esecuzioni degli Oratori
di Haendel, abbiamo comunque progettato di registrarli con altre
case discografiche.
Cosa
pensa delle cosiddetteesecuzioni filologiche con
strumenti originali?
In generale, sono migliori in disco che in concerto, perché
gli strumenti originali creano non pochi problemi
dintonazione. Ricordo che Robbins Landon, il più grande
studioso di Haydn, che prima suonava la tromba in gruppi come
quelli, una volta mi disse che lunica cosa autentica in
quegli strumenti è la forma, ma che per il resto cè tutta
una serie di accorgimenti tecnici che in effetti eliminano tanti
problemi desecuzione, e che quindi sono originali solo in
apparenza. Daltronde, la maggior parte degli strumenti che
usiamo nellAcademy risalgono al Sei-Settecento, mentre
quasi tutti gli strumenti di un ensemble filologico sono
copie fatte una decina danni fa. Lautenticità
risiede allora soltanto nella mente e nellesecuzione. Mi
piace, comunque, questa disciplina di ricerca, anche se mai come
ora esistono differenze dopinione fra luna e
laltra scuola su come veramente si eseguiva in questa o
quellepoca.
Anche
Cristo non rispose quando Pilato gli chiese che cosera la
verità
Esattamente. Tuttavia, ascoltare tutti questi effetti
accademici stimola molte idee. Per esempio, stiamo per registrare
di nuovo il Messiah di Haendel, e ce ne saranno già
centinaia in commercio: io lho già registrato tre volte.
Questa volta sarà in CD video, e sarà necessariamente diverso
dagli altri, sia per le nuove scoperte critiche di cui disponiamo
nelle nuove edizioni, sia per il diverso stile del canto e
dellornamentazione, anche se sarà suonato con strumenti
tradizionali. Non cè più nessuno che canti oggi il Messiah
nello stile del XIX secolo, altrimenti i critici
lammazzerebbero.
In
fin dei conti, allora, lesecuzione filologica è
unesperienza positiva?
Si, per tutti. Ma lautenticità dipende dalle idee,
dalle fonti, dallo studio, non certo dalle copie di strumenti.
Chi suonava nel Seicento o nel Settecento era una persona
esattamente come noi, con gli stessi impulsi, le stesse emozioni,
forse con esperienze diverse, e noi siamo certamente più
sofisticati. Il polso degli strumentisti suggerisce loro ancora
lo stesso tempo, hanno la stessa temperatura corporea. La musica
parla poi lo stesso linguaggio allora come adesso. Una musica
lenta e solenne fa ancora quelleffetto, così come una
musica brillante e veloce.
E
la musica del Novecento?
LAcademy commissiona ogni anno una o due nuove
composizioni per il suo organico. Sulle circa quaranta-cinquanta
che abbiamo finora commissionato, forse due vengono suonate
regolarmente. La maggior parte è scomparsa dopo la prima
esecuzione. Per eseguire questa musica è necessario un lungo
tempo di prove, e quindi costa molto. Daltra parte, se si
esegue male questa musica, la gente non si accorge che è mal
suonata, ma pensa che sia semplicemente un brutto pezzo, e non si
fa allora un buon servizio al compositore. Provare molto
significa però compromettere il bilancio economico, che si regge
sulla produzione continua. Inoltre, ogni volta che si mette in
programma, in Inghilterra, un pezzo contemporaneo, si sa di
deludere automaticamente un terzo delluditorio, ed è
quindi molto difficile riempire la sala da concerto, provocando
ancora problemi di carattere economico. Per questo oggi si può
eseguire musica contemporanea in pubblico soltanto se alle spalle
cè uno sponsor che garantisca le spese di prova e
leventuale deficit sulla vendita dei biglietti. Con le case
discografiche il discorso non è diverso. Colin Davis, per
esempio, aveva già registrato le prime tre Sinfonie di Tippett
ma non è stato in grado di registrare la Quarta.
Qual
è il compositore contemporaneo che sente più vicino alla sua
sensibilità?
Nella scuola inglese, i compositori di cui suoniamo più
frequentemente le opere sono Michael Tippett e Nicholas More, che
non sono propriamente dei musicisti davanguardia, ma
piuttosto inseriti in una corrente principale storicamente legata
alla tradizione inglese, sia sul piano armonico che sul piano
ritmico. Tra gli altri, sento più vicino a me Lutoslavsky
piuttosto che Penderecki.
E
Benjamin Britten?
Per noi ormai fa parte del repertorio, come Bartok o
Stravinskij. Il pubblico non ha più problemi con questo tipo di
musica. In Francia, per esempio, sono molto più ricettivi
riguardo alla musica contemporanea. In America, quando dirigevo
una grande orchestra, portavo in sala lautore e lo facevo
parlare della sua opera per qualche minuto prima
dellesecuzione; così lattenzione del pubblico era
garantita. Vedendo il compositore, la sua musica diventava per
loro una cosa umana.
Dirige
ancora grandi orchestre sinfoniche?
Si, al momento sono impegnato con lOrchestra della
Süddeutsche Rundfunk di Stoccarda come direttore principale.
Lavorare in una città della mitteleuropa è affascinante, ma non
per sempre. Sono molto contento dellorchestra, con la quale
la settimana scorsa ho finito di registrare la Quarta Sinfonia
di Mahler. Lavoro poi regolarmente con la National Symphony
Orchestra di Washington, con lOrchestra di Pittsburgh e con
quella di Philadelphia. Non voglio comunque impegnarmi più come
direttore principale di una grande orchestra, specialmente qui in
Gran Bretagna, dove non è possibile fare un buon lavoro essendo
inglese: molto meglio essere straniero.
Quali
sue registrazioni appariranno prossimamente sul mercato?
Prima di tutto, il Flauto magico, del quale sono molto
soddisfatto, e poi Così fan tutte, che mi ha creato
qualche problema perché la cantante che faceva Dorabella è
rimasta incinta e abbiamo dovuto registrare tutta la sua parte
successivamente. Non è bello lavorare con un buco nel cast.
E
il Don Giovanni?
Don Giovanni è programmato per lanno prossimo,
e probabilmente il protagonista sarà Thomas Allen. Ma il mio
sogno proibito è quello di fare una Boheme assolutamente
rivoluzionaria. Lho gia diretta in teatro, a Manchester,
con una compagnia di giovani; Mimì aveva solo ventun anni. Ne
vorrei registrare una così, con un cast tra i diciannove e i
venticinque anni, ma capisce bene che è molto difficile da
realizzare. Mi piacerebbe poi fare The Rakes Progress,
Billy Budd, Peter Grimes. Per Verdi, invece, credo
proprio di non avere il temperamento adatto. Forse dovrei provare,
in teatro.
Qualè
invece lautore che sente di aver diretto meglio nella sua
carriera, e quello a cui è più legato?
Mozart, senza dubbio, che è poi anche lautore che
lorchestra esegue più volentieri.
Alberto Batisti