La musica secondo... Riccardo Muti
Da un'intervista di Stefano Miliani su "l'Unità online"
FIRENZE Altro che «chisto è o paese do sole»,
della canzone napoletana come di Verdi e Puccini, di Monteverdi
come di Modugno e Vasco Rossi, qua per la musica la situazione si
fa sempre più tetra. Giudicate un po voi: il ministro per
lIstruzione e la ricerca Letizia Moratti il 14 gennaio ha
inviato alle Camere uno schema di decreto legislativo in cui
intende sopprimere linsegnamento della materia musicale da
ogni tipo di scuola superiore salvo i licei musicali, i quali,
come già previsto dalla riforma dei conservatori, diventano
istituti che preparano professionalmente a diventare musicisti ma
se uno ha altre intenzioni ne starà lontano.
In altri termini, si cancella la musica anche dagli attuali licei
di formazione socio-pedagogica, ex magistrali, per cui un/una
insegnante potrà mettersi dietro una cattedra, non avere la più
pallida idea di cosa sia una nota, uno spartito, chi siano stati
Mozart, i Beatles o Miles Davis, e andrà bene lo stesso. Perché,
con questo schema, o uno si prepara alla professione o niente di
niente, neppure se deve insegnare. «È gravissimo, assurdo,
inqualificabile», commenta da Firenze Riccardo Muti, artista che
più volte ha dimostrato di avere a cuore leducazione e la
civiltà musicale: il direttore d'orchestra, che venerdì ha
diretto magnificamente la Messa di Cherubini con l'Orchestra del
Maggio Musicale e che replica oggi, proprio laltro ieri ha
definito «un delitto» i tagli alla cultura di questo governo.
Sfortunatamente per la Moratti, essendo lui uno degli artisti
più importanti e amati al mondo, Muti è anche la prova vivente
di quanto sia devastante un'impostazione come quella concepita
del nostro attuale ministro. Perché, quando a sette anni
ricevette da suo padre un violino, non si sognava neppure di
diventare quel che è diventato.
Maestro, per quale motivo giudica gravissimo questo
progetto del ministero?
Per usare una frase un po' retorica, la notizia che si vuole
togliere totalmente la musica dalle scuole è gravissima perché
avremo insegnanti, cioè coloro che devono insegnare ai bambini e
formarli, totalmente privi di quell'educazione musicale che
ingentilisce l'anima.
Lei ha affermato a più riprese anche che far musica
insieme è prima di tutto un esercizio per imparare a convivere
civilmente con gli altri.
Esatto, suonare insieme è educazione civica, educa alla
convivenza civile, a rispettare gli altri e lo ribadisco con
forza. La conoscenza della musica rende un popolo migliore, più
sensibile. La musica infatti è un elemento fondamentale della
costruzione della personalità di un individuo e della
personalità di un popolo.
E come si può spiegare questo progetto ministeriale?
Lo trovo assurdo, inqualificabile, non vedo una spiegazione.
Se uno riflette sullo stato delle cose oggi elabora riflessioni
amare e purtroppo devo tornare alla frase detta l'altro giorno:
tagliare la cultura come fa questo governo non è grave, è un
delitto.
Perché lo fanno?
Probabilmente le persone inclini a prendere queste decisioni
sono vittime loro stesse, vittime di generazioni precedenti e di
personaggi privi di conoscenza che a loro volta erano vittime di
altri privi di questa conoscenza. Penso allora al perché sono
diventato musicista...
Perché?
Sono musicista perché mio padre, medico del sud, di Molfetta,
riteneva che linsegnamento privato della musica che
sopperiva alla carenza scolastica fosse fondamentale per la
formazione di un giovane. A sette anni mi mise in mano un violino,
piccolo, a due quarti, e non per farmi diventare musicista.
Invece di un trenino o una pistola ad acqua ebbi uno strumento e
ora mi trovo qui, da lì è nata questa mia vita. Anche da
ragazzo, quando studiavo non per intraprendere la professione ma
come formazione complementare agli studi, sentivo che
linsegnamento della musica è imprenscindibile dalla
formazione di un uomo, di un cittadino europeo, del mondo.
Popolazioni lontane dalla nostra cultura lo stanno capendo.
Noi sempre meno. Oggi come non mai.
Invece un Paese con un passato musicale così importante come
il nostro non può prescindere dalla conoscenza di questa storia,
della sua storia. Già quando ero io liceale, e quindi
andiamo indietro nel tempo, io e altri più aperti alla
necessità di apprendere, avvertivamo come una menomazione della
conoscenza generale il fatto che un ragazzo potesse uscire dal
liceo, dal classico, sapendo chi erano Carpaccio, Mantegna, il
Sassetta, ma poteva non sapere assolutamente nulla di Pergolesi,
Cimarosa, Verdi, Puccini e lasciamo stare Monteverdi. Avere
uninfarinatura di storia dellarte e togliere la
musica era un errore allora. Adesso arriva questa notizia, dopo
che altri e io abbiamo sempre combattuto per farla diventare
materia fondamentale fino alla fine degli studi, affinché fosse
inserita nelle scuole medie...
Ascoltare Beethoven senza saperne niente di niente, che
vuol dire?
Se si ha qualche conoscenza storica e generale della materia
significa ascoltarla e trarne godimento in un certo modo, più
vivo e profondo. Viceversa senza avere nessuna cognizione, come
semplici orecchianti, è unaltra cosa.
Giovedì scorso, qui da Firenze, lei ha pronunciato parole
chiarissime, ha detto che i tagli alla cultura significano far
sprofondare il Paese in un baratro e lUnità ha ripreso la
frase per la «striscia rossa» in prima pagina.
Sì, e ne sono stato molto contento, perché credo fermamente
che la musica, la cultura, siano fondamentali in un momento in
cui spesso si abusa della parola «cultura» fino al punto di
volerla far sembrare qualcosa di oppressivo e pesante. Non è
così.