La musica secondo... Riccardo Muti

Da un'intervista di Stefano Miliani su "l'Unità online"

5 Febbraio 2005

È un delitto una scuola senza musica

FIRENZE Altro che «chisto è o paese d’o sole», della canzone napoletana come di Verdi e Puccini, di Monteverdi come di Modugno e Vasco Rossi, qua per la musica la situazione si fa sempre più tetra. Giudicate un po’ voi: il ministro per l’Istruzione e la ricerca Letizia Moratti il 14 gennaio ha inviato alle Camere uno schema di decreto legislativo in cui intende sopprimere l’insegnamento della materia musicale da ogni tipo di scuola superiore salvo i licei musicali, i quali, come già previsto dalla riforma dei conservatori, diventano istituti che preparano professionalmente a diventare musicisti ma se uno ha altre intenzioni ne starà lontano.
In altri termini, si cancella la musica anche dagli attuali licei di formazione socio-pedagogica, ex magistrali, per cui un/una insegnante potrà mettersi dietro una cattedra, non avere la più pallida idea di cosa sia una nota, uno spartito, chi siano stati Mozart, i Beatles o Miles Davis, e andrà bene lo stesso. Perché, con questo schema, o uno si prepara alla professione o niente di niente, neppure se deve insegnare. «È gravissimo, assurdo, inqualificabile», commenta da Firenze Riccardo Muti, artista che più volte ha dimostrato di avere a cuore l’educazione e la civiltà musicale: il direttore d'orchestra, che venerdì ha diretto magnificamente la Messa di Cherubini con l'Orchestra del Maggio Musicale e che replica oggi, proprio l’altro ieri ha definito «un delitto» i tagli alla cultura di questo governo. Sfortunatamente per la Moratti, essendo lui uno degli artisti più importanti e amati al mondo, Muti è anche la prova vivente di quanto sia devastante un'impostazione come quella concepita del nostro attuale ministro. Perché, quando a sette anni ricevette da suo padre un violino, non si sognava neppure di diventare quel che è diventato.

Maestro, per quale motivo giudica gravissimo questo progetto del ministero?
Per usare una frase un po' retorica, la notizia che si vuole togliere totalmente la musica dalle scuole è gravissima perché avremo insegnanti, cioè coloro che devono insegnare ai bambini e formarli, totalmente privi di quell'educazione musicale che ingentilisce l'anima.

Lei ha affermato a più riprese anche che far musica insieme è prima di tutto un esercizio per imparare a convivere civilmente con gli altri.
Esatto, suonare insieme è educazione civica, educa alla convivenza civile, a rispettare gli altri e lo ribadisco con forza. La conoscenza della musica rende un popolo migliore, più sensibile. La musica infatti è un elemento fondamentale della costruzione della personalità di un individuo e della personalità di un popolo.

E come si può spiegare questo progetto ministeriale?
Lo trovo assurdo, inqualificabile, non vedo una spiegazione. Se uno riflette sullo stato delle cose oggi elabora riflessioni amare e purtroppo devo tornare alla frase detta l'altro giorno: tagliare la cultura come fa questo governo non è grave, è un delitto.

Perché lo fanno?
Probabilmente le persone inclini a prendere queste decisioni sono vittime loro stesse, vittime di generazioni precedenti e di personaggi privi di conoscenza che a loro volta erano vittime di altri privi di questa conoscenza. Penso allora al perché sono diventato musicista...

Perché?
Sono musicista perché mio padre, medico del sud, di Molfetta, riteneva che l’insegnamento privato della musica che sopperiva alla carenza scolastica fosse fondamentale per la formazione di un giovane. A sette anni mi mise in mano un violino, piccolo, a due quarti, e non per farmi diventare musicista. Invece di un trenino o una pistola ad acqua ebbi uno strumento e ora mi trovo qui, da lì è nata questa mia vita. Anche da ragazzo, quando studiavo non per intraprendere la professione ma come formazione complementare agli studi, sentivo che l’insegnamento della musica è imprenscindibile dalla formazione di un uomo, di un cittadino europeo, del mondo. Popolazioni lontane dalla nostra cultura lo stanno capendo.

Noi sempre meno. Oggi come non mai.
Invece un Paese con un passato musicale così importante come il nostro non può prescindere dalla conoscenza di questa storia, della sua storia. Già quando ero io liceale, e quindi andiamo indietro nel tempo, io e altri più aperti alla necessità di apprendere, avvertivamo come una menomazione della conoscenza generale il fatto che un ragazzo potesse uscire dal liceo, dal classico, sapendo chi erano Carpaccio, Mantegna, il Sassetta, ma poteva non sapere assolutamente nulla di Pergolesi, Cimarosa, Verdi, Puccini e lasciamo stare Monteverdi. Avere un’infarinatura di storia dell’arte e togliere la musica era un errore allora. Adesso arriva questa notizia, dopo che altri e io abbiamo sempre combattuto per farla diventare materia fondamentale fino alla fine degli studi, affinché fosse inserita nelle scuole medie...

Ascoltare Beethoven senza saperne niente di niente, che vuol dire?
Se si ha qualche conoscenza storica e generale della materia significa ascoltarla e trarne godimento in un certo modo, più vivo e profondo. Viceversa senza avere nessuna cognizione, come semplici orecchianti, è un’altra cosa.

Giovedì scorso, qui da Firenze, lei ha pronunciato parole chiarissime, ha detto che i tagli alla cultura significano far sprofondare il Paese in un baratro e l’Unità ha ripreso la frase per la «striscia rossa» in prima pagina.
Sì, e ne sono stato molto contento, perché credo fermamente che la musica, la cultura, siano fondamentali in un momento in cui spesso si abusa della parola «cultura» fino al punto di volerla far sembrare qualcosa di oppressivo e pesante. Non è così.


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