La musica secondo... Sir Georg Solti
Da uno speciale del 1987, in occasione dei 75
anni di Georg Solti.
Discografia ragionata di Sir Georg Solti, di Danilo
Prefumo.
Sir
Georg Solti, figlio di un commerciante, è nato il 21 ottobre
1912 a Budapest.
«Devo ammettere di aver avuto un bel po' di fortuna nella vita,
ed una delle cose più fortunate che mi siano potute capitare è
di essere nato in una città che aveva la più bella e migliore
accademia musicale del mondo. All'Accademia Liszt di Budapest non
c'erano soltanto degli eccellenti professori come Bartók,
Kodály, Leo Weiner Dohnányi, ma anche un clima fortemente
competitivo tra gli studenti. Noi studenti dovevamo suonare di
fronte a tutta la classe che sedeva ascoltando le correzioni dell'insegnante
- era una cosa crudele ma meravigliosa allo stesso tempo. Avevo
dimostrato di possedere un grande talento pianistico fin da
giovanissimo e a soli sei anni era ormai evidente che sarei
diventato un musicista: a tredici fui ammesso come studente all'Accademia.
Mi resi conto di voler diventare un direttore d'orchestra dopo
aver ascoltato Erich Kleiber dirigere la Quinta di
Beethoven. A diciotto anni mi recai segretamente dal direttore
dell'Opera di Budapest per domandargli se mi fosse stato
possibile esercitarmi e lavorare presso quell'istituzione.
«Certamente è una cosa possibile» - mi rispose - «ma cosa
direbbero i tuoi genitori? L'opera è un ambiente estremamente
immorale e tu hai solo diciotto anni ». «Oh» - risposi - «non
ci saranno problemi» e così fu, i miei genitori furono
assolutamente d'accordo.
Gli anni che passai al Teatro dell'Opera - dal 1932 al 1939 -
costituirono una preziosissima esperienza, permettendomi d'imparare
qualcosa come trenta o quaranta opere. Non posso dire se fossi un
buon direttore, ma ero sicuramente il miglior maestro sostituto
che ci fosse. Nel 1937 ottenni una borsa di studio per recarmi al
festival di Salisburgo dove arrivai presentandomi al presidente
della manifestazione con una lettera di raccomandazione. Dopo
aver letto la lettera il presidente mi chiese se conoscessi Il
flauto magico perché il maestro sostituto era malato
- c'era un'epidemia di influenza quell'estate - ed avevano
urgente bisogno di qualcuno che suonasse alle prove. Fu così che
conobbi il famoso direttore Dr. Graf e cominciammo subito le
prove. Tutto andò per il meglio finché non notai un piccolo
uomo sul palcoscenico; io ero nella fossa ma lo riconobbi
immediatamente: era Toscanini che cominciò a dirigere. Ero
terrorizzato e non mi rimase che sperare di suonare abbastanza
bene per lui. Quando la prova terminò disse soltanto «bene»;
quel «bene» significò per me molto più di ogni altra cosa che
mi fosse successa prima d'allora. Fortunatamente per me l'epidemia
influenzale continuò ed ebbi la possibilità di suonare alle
prove del Flauto magico, dei Maestri cantori e del Fidelio.
Alla fine del festival il presidente mi offrì il posto di
maestro sostituto per l'anno successivo, il 1938.
Nel frattempo i giornali di Budapest avevano cominciato a notarmi
e si domandavano: « C'è questo giovane che ha molto talento,
non sarebbe possibile farlo lavorare qui?» Era assolutamente
fuori questione: l'Opera di Budapest non aveva mai permesso ad un
ebreo di dirigere. Certo mi potrete dire che Mahler l'aveva fatto,
ma quando Mahler divenne direttore dell'Opera di Budapest non era
gia più ebreo, essendosi ormai convertito al cattolicesimo - e
non per ragioni professionali, ma perché ci credeva; rimase un
fervente cattolico fino alla fine dei suoi giorni. Una persona di
fede ebraica in un posto di stato all'Opera di Budapest era un
fatto inaccettabile, ecco l'ostacolo che mi trovai ad affrontare.
Suggerisco sempre ai giovani di avere fede e costanza - bisogna
credere in se stessi. Continuai così a chiedere di darmi una
possibilità, finché un bel giorno il direttore mi mandò a
chiamare - non il direttore che avevo conosciuto prima ma uno
nuovo - e mi disse che l'undici marzo avrei diretto Le nozze
di Figaro. Era la prima volta che dirigevo dalla fossa d'orchestra
senza prove, e tutto andò sorprendentemente per il meglio. Dopo
l'intervallo il cantante che impersonava il conte cominciò a
fare un errore dopo l'altro e con mio sgomento non riuscii a
capacitàrmene fino alla fine della rappresentazione: durante l'intervallo
un'edizione straordinaria del quotidiano di Budapest aveva reso
noto che le truppe di Hitler erano entrate a Vienna - era il
giorno dell'Anschluss e mentre io non ero stato informato
il baritono, anch'egli ebreo, ne era venuto a conoscenza durante
la pausa e non riusciva a riaversi dallo shock.
Questa serata costituì una svolta decisiva nella mia vita.
Sapevo di non avere più nessuna chance a Budapest, così queste Nozze
di Figaro furono la mia prima ed ultima esperienza nella mia
città natale. Evidentemente avrei dovuto abbandonare l'Ungheria
nonostante fossi ungherese fin nel midollo. Gli ungheresi
posseggono questa capacità di sentirsi talmente bene nel proprio
paese che la vita fuori da esso pare loro assolutamente barbara:
non ci sono neanche i caffè che noi amiamo così tanto
frequentare! Continuai a provare quella sensazione finché non
cominciai a diventare cosmopolita; adesso non appartengo a nessun
paese, a nessuna città, il che ha i suoi lati sgradevoli ma
anche alcuni vantaggi. Sapevo che avrei dovuto cercare di
raggiungere gli Stati Uniti dove speravo che Toscanini mi avrebbe
aiutato. Non appena Toscanini e Adolf Busch vennero a conoscenza
dell''Anschluss annullarono il festival di Salisburgo, che
quell'anno ebbe luogo per la prima volta a Lucerna. Fu così che
il 14 agosto 1939 mi recai a Lucerna convinto di restarvi una
settimana. Mio padre mi accompagnò alla stazione e quando salii
sul treno pianse. Ero molto irritato dal suo comportamento, dopo
tutto avevo ventiquattro anni e mi sentivo adulto, gli chiesi:
«perché piangi? Sarò di ritorno tra una quindicina di giorni
... » «Si, si» - mi disse - «ma ...». Non ho più rivisto
mio padre.
A Lucerna, Solti dovette aspettare molti giorni finché non si
fece coraggio ed osò avvicinare Toscanini che si ricordava di
lui e promise di scrivergli una lettera di raccomandazione, però
per andare negli Stati Uniti aveva anche bisogno di un visto.
«Il trenta agosto ricevetti un telegramma che mi chiedeva di non
tornare a casa; compresi benissimo cosa stava succedendo, sapevo
che avrei dovuto trovare una soluzione e così restai in Svizzera.
Non conoscevo nessuno in quel paese, ad eccezione del tenore Max
Hirsch. Lo chiamai ed egli mi chiese cosa stavo facendo in
Svizzera; io fui tanto ingenuo da rispondergli che ero in attesa
di ottenere un visto per gli Stati Uniti, ed una volta
soddisfatta la sua curiosità su quanto tempo mi sarebbe stato
necessario (gli dissi che non ci sarebbe voluto più di qualche
settimana), egli m'invitò a casa sua chiedendomi di fargli
studiare Tristano. Rimasi a casa di Hirsch per un anno e
mezzo. La prima volta cantò a Berna ed andò tutto bene, anche
se devo ammettere che non riuscì mai ad imparare la parte alla
perfezione. Verso l'inizio di ottobre ottenni un appuntamento all'ambasciata
americana (il che non era assolutamente facile; centinaia di
persone l'assediavano di continuo). Mi dissero che avrei ottenuto
il visto soltanto se avessi potuto dimostrare di avere un
ingaggio negli Stati Uniti. Fu così che mi misi in contatto con
i molti amici ungheresi che risiedevano in America per domandare
se potessero aiutarmi a trovare un lavoro. Sandor Salgo, un
violinista che viveva in California, mi mandò una lettera d'ingaggio
per la St. Louis Summer Opera per dirigere Lucia di Lammermoor.
Ovviamente si trattava di una truffa. Non mi rimaneva che
aspettare, ma prima dovetti inviare ad un direttore italiano
circa 500 dollari e, dopo avere dato metà del mio capitale a
questo gangster, ricevetti un documento che comprovava l'ingaggio
per dirigere Lucia di Lammermoor alla St. Louis Summer
Opera. Armato di queste carte mi recai tutto fiero al consolato
dove non restai più di cinque minuti, il tempo necessario
perché l'impiegato leggesse i documenti e li rimettesse sul
tavolo con queste parole: «Questa è una frode bella e buona,
non potrà ottenere un visto per gli Stati Uniti né ora né mai
perché la segnerò su di una lista nera». Beh, adesso sappiamo
che non è stato così, ma allora mi sentii finito, non mi
restava niente da fare.»
A Solti si presentò una nuova possibilità: il concorso
pianistico di Ginevra. Quando Solti s'iscrisse aveva trent'anni,
il limite massimo d'ammissione. Un premio a Ginevra significava
un po' di denaro, un po' di fama ed un concerto con l'Orchestre
de la Suisse Romande di Ansermet. Alla prima prova Solti passò
senza problemi, ma poi venne l'eliminatoria finale, l'esame
decisivo per il talento, i nervi e la memoria.
«Dato che avevo sempre suonato a memoria mi recai al
conservatorio di Ginevra soltanto un'ora prima del mio esame. Ero
l'ultimo, per questo sapevo che non sarebbe stato il mio turno
per un'altra ora e mezzo. Poi, durante l'ultima mezz'ora andai
nel camerino per riscaldarmi le dita. Cominciai a suonare, senza
anticipare nulla. C'era una fuga nella Sonata in la bemolle di
Beethoven che avrei dovuto suonare, cominciai ma non sapevo dove
dovevo mettere la mano destra. Cominciai di nuovo, e di nuovo
ancora. Mi stavo gradualmente facendo prendere dal panico -
immaginatevi, dopo quindici minuti avrei dovuto suonare di fronte
ad un pubblico e non sapevo da che parte iniziare. Pensai che
sarei dovuto andare a prendere lo spartito, ma mi era impossibile
perché vivevo troppo lontano, così fui costretto a dire al
segretario che mi sentivo male e che non avrei potuto suonare. Ma
nella confusione il terzo concorrente aveva finito la sua prova
ed io fui scaraventato sul palcoscenico e dovetti suonare. Era un
rischio tremendo; ma devo aver suonato in trance perché non mi
ricordo assolutamente nulla. In breve, vinsi il primo premio.
Verso il 1943/44 ero diventato un pianista abbastanza noto in
Svizzera, ma mi rendevo benissimo conto che avrei suonato solo
fintanto che non avessi avuto la possibilità di dirigere».
1945 - la guerra finisce, i generi alimentari sono irreperibili,
non ci sono treni ma tutti parlano di un nuovo inizio della
ricostruzione; sia la musica che il teatro rinascevano. Solti
scrisse al suo amico ungherese Edvard Kilenyi per chiedergli se
ci fosse bisogno di lui nell'opera di ricostruzione della
Germania (Kilenyi era ufficiale musicale con le forze d'occupazione
americane a Monaco di Baviera). La risposta arrivò dopo poco
tempo: Solti doveva recarsi il 15 marzo a Kreuzlingen dove l'avrebbe
aspettato una Jeep dell'esercito americano.
«1946. Era nel bel mezzo della notte e la Jeep era scoperta,
faceva un freddo terribile. Semi-congelato e nel buio non mi resi
conto dello stato di devastazione finché non arrivammo a Monaco
verso le due o le tre del mattino. Per la prima volta nella mia
vita vidi fino a che punto era possibile distruggere; era una
cosa indescrivibile; man mano che ci avvicinavamo al centro della
città la situazione peggiorava, non c'era praticamente neanche
una casa in piedi, soltanto un mare di macerie. L'impressione che
ne riportai, io che in Svizzera non ero venuto a contatto con la
tragica realtà del bombardamenti, era agghiacciante! Mi fu data
una sedia e mi sforzai di dormire. La mattina seguente Kilenyi mi
fece fare colazione (e non era facile, dato che ero un civile in
una mensa ufficiali) e mi portò in seguito all'Opera. Bauchner,
il direttore generale del teatro, disse: «felice di vederla, ma
non abbiamo bisogno di lei». «Ma se mi avete chiesto di
aiutarvi» - fu la reazione di Kilenyi - «ed io vi avrei portato
questo giovane pieno di talento solo per vederlo rifiutare!»
Kilenyi era sconvolto ed irritato, così chiamò un amico che
faceva l'ufficiale musicale a Stoccarda, ed il giorno seguente mi
recai in quella città con un treno tedesco semi-distrutto, con i
finestrini rotti, ma non m'importava perché l'unica cosa a cui
tenevo era dirigere. Arrivato all'Opera di Stoccarda domandai se
potevo fare Fidelio, che non avevo mai diretto prima. Non
dimenticherò mai l'imbarazzo che provai alla prima ed unica
prova con l'orchestra: c'è una famosa aria di Leonore ed io
chiesi dov'era il quarto corno - era scritta per tre corni, l'unica
che Beethoven abbia mai scritto per tre soli corni! Fidelio
andò benissimo e mi fu chiesto di recarmi dal ministro della
Cultura del Baden-Württemberg per discutere un ingaggio. Aveva
sentito dire che ero un buon direttore e voleva offrirmi un
lavoro per il settembre seguente. Io accettai ed in seguito
Bauchner, che aveva sentito il Fidelio, mi offrì un
lavoro a Monaco. Per questa ragione Kilenyi mi riportò a Monaco
un mese dopo. Bauchner mi offrì il posto di direttore musicale
del teatro dell'Opera.
Fu un periodo splendido che ricorderò per tutta la vita. Si
andava in scena al Prinzregenten Theater, l'unico posto in tutta
Monaco dove era ancora possibile rappresentare un'opera -
nonostante ciò anche questo teatro era in parte danneggiato, e
sia i costumi che le scenografie erano andati distrutti. Per
questa ragione eseguimmo il Requiem di Verdi, che non ha
bisogno di scene, tre volte alla settimana. La mia prima opera fu
Carmen. Faceva talmente freddo durante le prove che dalla
mia testa cominciava a formarsi del vapore: il sudore si
congelava ed evaporava. La cosa più incredibile è che non mi
sono mai preso neanche un raffreddore. Le serate erano appena
più calde grazie all'aiuto degli americani ed al calore corporeo
del pubblico. I biglietti erano sempre esauriti, tanto che
potevamo vivere confortevolmente con würstel e verdura tutti i
giorni, ma niente frutta perché non ce n'era. Il morale era
comunque alto, ognuno di noi era ottimista e sollevato. Il
pubblico era sempre così folto che mi sconvolge pensare a quanto
oggigiorno sia blasé il pubblico di tutto il mondo che si
aspetta sempre il meglio come se fosse un fatto ovvio - niente è
mai abbastanza buono. Quella gente nel 1946 veniva a teatro con
un entusiasmo senza pari.
Avevo molto tempo a disposizione per studiare ogni pezzo e
provarlo con i cantanti e con l'orchestra - adesso non c'è più
quella mentalità, un direttore d'orchestra deve dirigere di
tutto senza batter ciglio, tutto Mozart, Verdi, Strauss, Wagner
etc.
Nel giugno del 1949 Richard Strauss tornava a Garmisch per il suo
ottantacinquesimo compleanno. Dovevamo provare il Rosenkavalier
ed egli arrivò alla prova generale dell'ultimo atto con
Georg Hahn nella parte del Barone Ochs. In onore di Strauss demmo
un concerto a sorpresa a Garmisch ed io eseguii la sua sonata
giovanile per violino e pianoforte. Strauss fu molto gentile e m'invitò
a casa sua dove mi recai con tonnellate di partiture - Elektra,
Rosenkavalier - chi poteva insegnarmi meglio del compositore
in persona? Non volle saperne: «è molto semplice» - mi disse -
«se si recita il testo di Hoffmansthal a tempo ci si riesce».
Ed è vero, non conosco un altro compositore che possegga la
maestria di Strauss nel mettere le parole in musica. «Conosce Tristano?
- mi chiese - ed io che lo avevo diretto a Monaco risposi di
si. «Si è mai domandato perché nell'ultimo accordo suonano
tutti gli strumenti all'infuori del corno inglese?» Non ne avevo
la minima idea ed egli mi spiegò che il corno inglese è il
simbolo del veleno e che nella morte non c'è veleno, pertanto
nell'accordo finale non compare il corno inglese. Avrebbe voluto
continuare a parlare ma sua moglie Pauline mi pregò di andarmene
cosicché Strauss potesse riposare nel pomeriggio. Morì quella
stessa estate ed io ebbi l'onore di suonare al suo funerale.
Pauline morì pochi mesi dopo - senza il suo Richard non poteva
sopravvivere. Tutto andò per il meglio a Monaco, dove imparai e
diressi circa quaranta opere nel corso di sei anni - il che non
era un compito facile, cui si aggiungeva inoltre la direzione del
teatro, l'insegnamento e lo studio, di giorno e di notte. Persi
il ritmo, poi incontrai Harry Buckwitz che m'invitò a
raggiungerlo presso il suo nuovo teatro a Francoforte che doveva
essere inaugurato nel settembre 1952. Accettai senza pensarci due
volte.»
I dieci anni che seguirono segnarono il passaggio ad una carriera
di carattere internazionale: da Francoforte Solti partì per
tenere i primi concerti in America. Questa volta sia i
contratti che il visto erano autentici. Nel frattempo la Royal
Opera House, Covent Garden, lo aveva invitato a dirigere Rosenkavalier.
«Arrivai a Londra nel dicembre del 1959. Fu un esecuzione fatale
perché il presidente del teatro, Lord Drogheda, era talmente
entusiasta che mi offrì l'incarico di direttore musicale. Fui
molto sorpreso e gli risposi che mi sentivo molto onorato della
sua proposta ma che non l'avrei mai accettata. Erano ormai
quindici anni che dirigevo opere ed avendo ricevuto un invito da
parte della Los Angeles Philharmonic non avrei voluto rinunciarvi.
Fu allora che il mio angelo custode si presentò sotto le spoglie
di Bruno Walter. Lo avevo incontrato precedentemente a Los
Angeles ed andai a chiedergli consiglio sull'offerta del Covent
Garden. Mi disse che avevo torto e che era mio preciso dovere
accettare l'offerta. «Non deve interrompere la linea
generazionale; la vecchia generazione si sta gradualmente
ritirando dell'opera e la nuova deve accettare la sfida di
continuare altrimenti si formerà un abisso incolmabile nella
tradizione». Mi persuase. Londra fu un capitolo strano ma
fondamentale nella mia vita. All'inizio detestavo la città, non
riuscivo a parlare correttamente e la gente mi disprezzava
giudicandomi troppo 'prussiano', mi chiamavano il Prussiano del
Covent Garden. Mi ci volle un bel po' di tempo per
familiarizzarmi col modo di vita inglese e per imparare ad
apprezzarlo. Ma ci volle anche molto tempo perché gli inglesi
capissero che il mio non era un atteggiamento dispotico ma che
tentavo semplicemente di incoraggiare la gente a migliorare.
Inizialmente la ritenevano una cosa strana. Sono estremamente
grato all'Inghilterra di avermi fatto sentire a casa - non mi ero
più sentito così da che avevo lasciato l'Ungheria; in
Inghilterra incontrai mia moglie, e i miei due figli sono nati in
quel paese. Ovviamente tutto questo ti fa sentire a casa, che per
me si trova dov'è la mia famiglia.».
Ciononostante Solti voleva diventare direttore di un'orchestra
sinfonica. La Chicago Symphony Orchestra stava cercando un
direttore di altissima qualità, con talento ed energia. Il posto
fu offerto a Solti che lo accettò.
«Nel settembre del 1969 diedi il mio primo concerto a Chicago in
qualità di direttore musicale. Quel settembre si allungò fino a
diventare diciotto interi anni, i diciotto anni musicali più
felici della mia vita. Sono fiero di poter dire che in diciotto
anni non ho mai avuto occasione di litigare con l'orchestra. Non
ho mai parlato 'fortissimo', e lavoriamo sempre più nel sereno
accordo musicale. All'inizio pensavo che fosse soltanto una luna
di miele e che presto sarebbe finita. L'orchestra era famosa per
essere difficile, era chiamata il cimitero dei direttori perché
ne bruciava uno dopo l'altro. Io non sono ancora morto. Sono
direttore di questa orchestra da diciotto anni ed intendo
rimanerlo ancora a lungo, almeno finché il fisico regge. Con un
direttore che rispetta, quest'orchestra esegue una sinfonia di
Beethoven o di Brahms con l'entusiasmo della prima volta; è una
cosa che io trovo commovente ed è la ragione per cui sono
restato qui così a lungo. Abbiamo tenuto più di settecento
concerti assieme, inciso innumerevoli dischi, siamo apparsi
moltissime volte in televisione, ed abbiamo ripetutamente
viaggiato insieme: è un ottimo matrimonio. La comprensione e la
stima sono reciproche.»
Negli ultimi trenta anni Sir Georg Solti è stato intimamente
legato ai Wiener Philharmoniker con i quali ha fatto un'incisione
storica come il Ring wagneriano. Lohengrin segna il
punto finale con cui Sir Georg completa l'incisione delle
principali opere di Wagner - registrate tutte (eccettuato Il vascello
fantasma) con i Wiener Philharmoniker.
«Erano molti anni che mi si chiedeva d'incidere Lohengrin,
ma io non volevo farlo per due ragioni: non mi piaceva molto e
non riuscivo a trovare il cast giusto. Lavorare al Lohengrin mi
ha cambiato moltissimo ed ho scoperto profonde affinità con esso.
Ritengo d'aver trovato il cast ideale: nel caso di Jessye Norman
e di Placido Domingo non posso che dire che sono meravigliosi, ma
anche gli altri sono cantanti eccellenti. Nel corso della
registrazione del Ring ho inciso con Birgit Nilsson e Hans
Hotter, e molti altri cantanti importanti tra cui Windgassen,
Frick, e Christa Ludwig. Se dovessi fare tutto l'elenco mi
troverei a narrare la storia dell'opera e del disco degli ultimi
quarant'anni.
Mi si chiede spesso il segreto della mia inesauribile energia: l'unico
segreto consiste nella mia abituale pausa estiva durante la quale
mi ritiro per sei, sette, talvolta otto settimane nella mia casa
italiana, non per lavorare ma per giocare con i figlioli, passare
un po' di tempo con mia moglie, giocare a tennis, fare delle
nuotate, delle passeggiate e condurre una normalissima vita
privata. Ma devo ammettere che è molto difficile, mi ci vogliono
diverse settimane per bandire dalla testa ogni pensiero musicale,
per smettere di sognare e nutrirmi di musica. È la terribile
condanna di un musicista, ma dopo alcune settimane la situazione
migliora e divento una persona normale.
Dopo due o tre settimane, però, devo gradualmente riprendere il
lavoro, prima un'ora al giorno poi un po' di più, nello studio
che mi sono fatto appositamente costruire vicino a casa. Da lì
posso vedere il mio cortile incantato, ho anche un vecchio tavolo
il cui piano ha circa cinquecento anni: i monaci lo usavano come
desco (mensa, n.d.t.) nel medioevo - i pasti erano
consumati in assoluto silenzio, meditando. È un posto ideale per
studiare.
Ho ancora due desideri: il primo e più importante è che possa
vivere ancora abbastanza per andare al matrimonio delle mie
figlie e conoscere i miei nipotini; il secondo è che non possa
mai essere soddisfatto del mio lavoro - se dovessi svegliarmi ed
esclamare 'ieri sono stato perfetto!' sarebbe la fine della mia
evoluzione musicale. Si, desidero che il mio lavoro migliori
sempre più.»
Discografia ragionata di Sir Georg Solti, di Danilo Prefumo, (da un articolo del 1987).
A settantacinque anni, Georg Solti potrebbe
guardare ormai alla propria attività direttoriale con quell'attenzione
selettiva nei confronti di un ristretto numero di opere che è
talvolta caratteristica del conseguimento di quella che
eufemisticamente si ama definire «la tarda maturità». Ma per
Solti non è così. Lungi dall'aver diradato i propri impegni,
Georg Solti dimostra in campo discografico una vitalità che non
ha nulla da invidiare a quella di un altro quasi coetaneo, il
settantanovenne Herbert von Karajan. I due, recentemente, si sono
contesi un invidiabilissimo primato di vendite a colpi di milioni
di Compact disc venduti. Karajan, ormai sempre più gravato da
problemi fisici, sembra voler ripercorrere in un grande gesto
retrospettivo tutte le tappe più significative della sua
carriera, reincidendo tutti i pezzi più celebri del suo
repertorio, oppure, come nel caso del recente e discusso Don
Giovanni, affidando al disco opere mai incise prima, ma più
volte dirette nel corso della sua lunga carriera. Solti guarda
invece al futuro senza porsi troppi problemi; anch'egli propone
classici del repertorio - la Nona Sinfonia di Beethoven - ed
opere mai incise in precedenza, come il recentissimo Lohengrin,
che già in un'intervista del 1979 aveva indicato come «di
imminente realizzazione»; ma lo fa, si direbbe, senza attribuire
alle sue incisioni il significato - esplicito o implicito - di
realizzazione ultima ed in qualche modo definitiva, di punto di
arrivo; ogni nuova incisione è, per Solti, soltanto una tappa di
un cammino che rimane aperto ad ogni sollecitazione.
La ricorrenza del settantacinquesimo compleanno del direttore
ungherese non mancherà certamente di produrre una quantità di
letteratura agiografica; ma sarebbe fare un torto a Solti e alle
grandi realizzazioni di un'attività discografica ormai
quarantennale, dimenticare sullo slancio dell'enfasi celebrativa
le differenze qualitative che hanno caratterizzato le
innumerovoli tappe di tale attività. Solti, in effetti, ha
alternato assai umanamente incisioni discografiche memorabili ad
altre meno esaltanti; è però riuscito sempre a conferire a
queste sue interpretazioni, se non altro, un tratto individuale,
un segno inconfondibile, una sorta di marchio di fabbrica
facilmente riconoscibile: quello cioè di una estrema cura nella
ricerca del bel suono quale che fosse il repertorio eseguito:
classico, romantico o novecentesco. Solti ha sempre rifiutato gli
stereotipi, ma in effetti non è stato mai possibile
identificarlo in modo speciale con un autore. A conti fatti, si
potrà forse ravvisare nelle incisioni wagneriane il momento
complessivamente più alto della poetica musicale soltiana; resta
però il fatto che Solti non ha mai legato il proprio nome ad un
periodo o ad un settore particolare della storia della musica,
né tantomeno ve lo ha legato la critica. Le sue incisioni, anche
quelle in cui le scelte interpretative possono apparire
eccentriche rispetto ai parametri consueti, raramente contengono
aspetti che possano essere definiti veramente «provocatori»,
come invece qualcuno ha sostenuto. Anzi, è proprio l'impressione
di rassicurante normalità, di cospicua profusione di mezzi, di
largo impegno collettivo, che caratterizza tali interpretazioni;
se a ciò si aggiunge il contributo di registrazioni generalmente
di livello eccezionale, non si avrà difficoltà a comprendere
come l'ampio successo delle incisioni soltiane, nei paesi
anglosassoni, poggi su basi solidissime. Come direttore
operistico, Solti si è cimentato soprattutto nel grande
repertorio, dando la netta preferenza a quattro autori: Mozart,
Richard Strauss, Wagner e Verdi. Per il resto, niente Rossini,
Bellini, Donizetti, Weber, nessuna opera francese tranne la Carmen
di Bizet e La Damnation de Faust di Berlioz, poco
Puccini (una Bohème del 74 e la recente Tosca
con la Te Kanawa). Pochissime le incursioni fuori del repertorio
corrente. Un solo autore settecentesco oltre a Mozart, e cioè
Gluck, con il felicissimo Orfeo ed Euridice con la Horne
come protagonista; poche opere di autori del Novecento storico:
il Castello di Barbablu di Bartók, opera che
costituisce una sorta di must per ogni direttore
ungherese (da Ferencsik a Fricsay e Ormandy a Dorati a Kertesz),
l'Oedipus Rex di Stravinsky ed infine il Moses und
Aron di Schonberg, di cui però Solti ha tenuto soprattutto
a sottolineare, nelle interviste, i legami con la tradizione.
Nell'ambito di cui si è detto, Solti ci ha lasciato peraltro
incisioni di eccezionale importanza, specialmente nel repertorio
wagneriano e in quello straussiano. Il suo Ring, apparso
tra il 1958 ed il 1965 e più volte paragonato, confrontato e
contrapposto a quello di Karajan, resta complessivamente una
delle sue realizzazioni più felici. Qui Solti ha potuto mettere
adeguatamente in luce il suo talento di colorista insigne e di
dominatore abilissimo della compagine orchestrale, fornendo
letture in cui alla tesa drammaticità, al calore del suono, alla
magnificenza di una resa vocale di un cast di interpreti di
altissimo livello, si univa anche un gusto accentuato per la
nuance, per la delicatezza, per la morbidezza del fraseggio; pur
senza raggiungere le squisitezze cameristiche e le finezze
introspettive di un Karajan, ma col vantaggio di una
registrazione tecnicamente di gran lunga superiore, Solti ha
saputo offrirci un Ring vivo, mosso, vario e umano, di
grande godibilità, saggiamente a metà strada tra tradizione e
innovazione. Solti ci ha fornito inoltre una versione del Tannhäuser
al momento insuperata per intensità, calore e lirismo, oltre che
splendidamente cantata, ed un Parsifal dai mirabili
incanti sonori, in cui il lavoro di cesello si accompagna ad una
tensione che non viene mai meno per tutto il corso dell'opera. In
campo straussiano, fanno tuttora testo la sua Salome del
'61 e l'Elektra del 1966, entrambe con una magnifica
Birgit Nilsson; ma importante è anche il Rosenkavalier
del '68, sebbene la protagonista, Régine Crespin, non possa
competere con altre più celebri Marescialle. Certamente Strauss
è uno degli autori che appaiono sulla carta più congeniali allo
stile interpretativo di Solti, e c'è veramente da dispiacersi
che egli non affronti oggi le opere sinfoniche del compositore
bavarese con maggior frequenza.
Anche nelle incisioni verdiane, sebbene frequentemente discusso
per una certa sua indiscutibile tendenza all'enfatizzazione del
tessuto, troviamo prestazioni di grande rilievo; pensiamo alle
due incisioni (1961 e 1985) del Ballo in maschera, piene
di senso del teatro ed esaltate da interperti vocali di prim'ordine
(Bergonzi nel '61, Pavarotti nell'85), ancorché non aliene da
ridondanze tipiche del direttore ungherese (gusto per l'effetto
che talvolta degenera in effettismo, a tratti pesantezza ritmica);
e pensiamo anche al Don Carlo del '65, grandioso ed
epico. Grossi problemi sono nati, talvolta, dalla scelta poco
felice degli interpreti; è il caso, ad esempio, del Falstaff
del 1964, afflitto dalla prestazione mediocre di Geraint Evans.
Il problema della mediocrità delle voci si è del resto
ripresentato frequentemente, a voler ricordare solo la riuscita
complessivamente non esaltante di un Fliegende Holländer
wagneriano per molti versi assai interessante dal punto di vista
direttoriale.
Altra grande presenza nella discografia operistica di Solti è
quella mozartiana, segnata dalle incisioni della Trilogia
dapontiana (Nozze di Figaro, Don Giovanni e Così
fan tutte). Qui le cose migliori Solti le ha fatte
soprattutto nel Flauto magico (1974), piuttosto che
nella trilogia italiana, dove è apparso in genere meno
convincente e in un caso (prevedibilmente, Così fan tutte)
piuttosto lontano dallo spirito dell'opera.
Come direttore sinfonico, Solti è stato tra i primi, all'inizio
degli anni Settanta, a progettare l'incisione integrale delle Sinfonie
di Mahler. Proprio questo suo Mahler, poi replicato in una nuova
edizione in digitale negli anni Ottanta, ci offre una cifra
interpretativa tra le più caratteristiche di Solti direttore
sinfonico: opulenza di suono, realizzazione di grande effetto,
resa orchestrale ammirevole, registrazione splendida: è, il suo,
un Mahler a tutto tondo, di impatto certo straordinario, ma senza
le sottigliezze, le ambiguità, e le tensioni che altri
interpreti (Walter, Karajan, Bernstein, Abbado, recentemente
Inbal) hanno saputo rivelare.
Il gusto per le sonorità orchestrali dense, gonfie e squillanti
ha del resto condotto frequentemente Solti sulla strada di una grandeur
e di un'enfasi piuttosto fini a se stesse; tale è il caso, per
fare due soli esempi, di due opere incise negli anni Ottanta con
la Chicago Symphony Orchestra: la Romantica bruckneriana,
tonitruante nella sonorità ma povera di poesia, e la Sinfonia
dal Nuovo Mondo di Dvorák, enfatica, trionfalistica, e con
un Largo centrale fiacco e inerte. Ciò non toglie comunque che,
pur partendo da analoghe premesse, Solti abbia frequentemente
raggiunto risultati di grandissima suggestione e di autentica
bellezza. Molti sono i casi che potremmo citare, ma ci limiteremo
a ricordarne, anche questa volta, due: la magnifica Eine
Faust Symphonie lisztiana dello scorso anno, per la cui
edizione discografica Solti ha scritto anche una breve
introduzione traboccante di entusiasmo (un entusiasmo che la dice
lunga sull'esuberante carattere e sulla vitalità dell'uomo Solti)
e la Nona Sinfonia schubertiana, tesa, nobile, opulenta,
piena di vigore. Il suo approccio al grande sinfonismo austro-tedesco
dell'Ottocento non ha condotto quasi mai a risultati memorabili.
Le sue Sinfonie di Brahms, registrate per la prima volta
a partire dalla fine degli anni Settanta, sono state giudicate
piuttosto negativamente dalla critica internazionale, a causa
della loro sostanziale freddezza e del loro impietrito
accademismo interpretativo. Anche in Beethoven, come conferma la
recente incisione della Nona Sinfonia, Solti non è andato oltre
i limiti di un nerboruto classicismo, offrendoci letture pervase
da un vigore piuttosto stereotipo ed aliene da ogni problematismo,
a volte inerti (si pensi ad esempio al primo tempo della Terza
Sinfonia nell'edizione di Chicago, greve e monotono) oppure
inutilmente drammatizzate (la Pastorale, sempre con la
Chicago Symphony Orchestra).
Molto più consistenti sono stati invece i risultati che Solti ha
ottenuto allorché si è cimentato con la musica novecentesca:
del suo Richard Strauss in genere di grande forza e spettacolare
virtuosismo gia si è detto; e a questo andrebbero perlomeno
aggiunte quasi tutte le realizzazioni bartokiane, che rivelano
una volta tanto, oltre alla consueta tecnica impeccabile, quella
partecipazione emotiva che non sempre si ritrova con facilità
nelle interpretazioni soltiane. Al repertorio tardo settecentesco
Solti si è accostato piuttosto raramente, ma i risultati sono
stati spesso molto interessanti. Tale è il caso, ad esempio, del
ciclo non ancora concluso delle Sinfonie Londinesi di
Haydn, incise con la London Philharmonic Orchestra. Qui Solti,
pur muovendosi naturalmente in un'ottica sonora e drammatica
eminentemente ottocentesca - come Karajan, del resto - è
riuscito ad offrire una visione di queste opere tesa, concentrata,
piena di vita e di robusto ottimismo. Assolutamente folgorante è
stata poi, nel 1985, la stupenda incisione delle Sinfonie N.
40 e 41 di Mozart, effettuata con la Chamber Orchestra of
Europe, ammirevole per freschezza ed equilibrio, diretta,
incisiva e priva di manierismi.
Dall'alto del suo successo di vendite e dei ventisette Grammy
Awards conquistati, Solti è oggi in una posizione dominante nel
mondo discografico. Le sue nuove incisioni si susseguono a ritmo
regolare, e fanno quasi sempre parlare di se. Solti, del resto,
sa scegliere molto bene i suoi programmi, e le sue realizzazioni
si distinguono sempre per la loro proverbiale accuratezza; e
possiamo essere certi che il futuro, a cominciare dal Lohengrin
che dovrebbe essere già nei negozi, ci riserverà ancora delle
sorprese molto interessanti.
Danilo Prefumo